LA SCUOLA A PEZZI
Il mondo della scuola è in agitazione . Le organizzazioni sindacali, le associazioni, (Manifesto dei 500, Associazione Nazionale per la Scuola Pubblica, Lipscuola, Gruppo No-Invalsi e molte altre ) negli ultimi mesi hanno lanciato e sottoscritto appelli, raccolto firme , convocato assemblee e conferenze, costituito comitati ,fino alla decisione di indire uno sciopero generale per il 17 maggio 2019. Si reclamano il rinnovo del contratto, soprattutto nella parte economica, la stabilizzazione dei precari e, in particolare, si esprime il rifiuto delle manovre legislative che riguardano la regionalizzazione. Tutto nel silenzio quasi totale della politica, e con scarso rilievo sulla stampa. Poi, improvvisamente, la notte tra il 23 e il 24 aprile, nel corso di un precipitoso incontro voluto dal governo, i sindacati (CGIL CISL UIL GILDA E SNALS) hanno firmato un’intesa , annunciando la sospensione dello sciopero. La formidabile intesa consta di tre paginette scarse (comprese premesse e spazio firme ) di generiche e retoriche rassicurazioni sull’impegno del governo a reperire risorse finanziarie per l’adeguamento ( molto graduale avvicinamento… ) degli stipendi alla media europea, lodevoli intenti per la stabilizzazione dei precari , la valorizzazione del personale ATA e dei dirigenti scolastici, garanzie per l’Università…
Ma è sul tema della regionalizzazione ( o autonomia differenziata, come viene eufemisticamente definita ) che noi tutti possiamo davvero “stare sereni”. Il governo, infatti, si impegna a garantire uniformità e unitarietà del sistema di istruzione, sullo stato giuridico del personale, si prevedono tavoli tematici di discussione e confronto per ognuna delle questioni. Però lavoratrici, lavoratori, associazioni e base sindacale non ci stanno. Rivendicano il diritto e la necessità di scioperare , perché dell’accordo non ci si fida. Per i sindacati, una prova difficile, in cui sono in gioco l’ unità tra le sigle e la rispondenza delle dirigenze alle aspettative della base Non ci sono, nell’intesa, risposte concrete, dettagliate. La questione più spinosa, che nell’intesa non viene neppure citata( pur essendo un percorso legislativo già in fase avanzata) è la regionalizzazione. Respingerla totalmente è una battaglia di civiltà, e il mondo della scuola, nella sua parte migliore, vuole condurla.
La partita dell’autonomia differenziata inizia nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione che consente il trasferimento di numerose materie alle regioni che ne fanno richiesta . Recentemente, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno stipulato accordi separati con lo Stato in cui chiedono, tra le altre, le competenze in materia di istruzione e formazione. Il potere legislativo delle Regioni “autonome “ ( si potrebbero definire a statuto ordinario potenziato) riguarderebbe l’intera organizzazione del sistema scolastico. Si tratta di ampliare enormemente le possibilità già offerte dall’autonomia scolastica e di realizzare pienamente il progetto della legge 107.
Naturalmente il cuore del progetto è l’attuazione del federalismo fiscale. Le Regioni, per assolvere le funzioni che si assumono, dovranno trattenere una maggiore quota del gettito fiscale. Il primo, evidente risultato è quindi un aumento delle differenze già esistenti tra regioni ricche e meno ricche a cui corrisponderanno diversi livelli di qualità dell’istruzione.
Le differenze di opportunità per i cittadini nel campo dell’istruzione (ma anche della sanità, dei trasporti ad esempio ) creano diseguaglianze che violano i principi Costituzionali. Una scuola diseguale, per servizi, orari , strutture, programmi, organizzazione in funzione della residenza non è accettabile in un paese civile. Si tratta essenzialmente della distruzione della scuola pubblica , iniziata con l’autonomia scolastica, che ha consentito via via il disimpegno dello Stato, creando disparità , scuole di serie A e di serie B e favorendo l’ingresso di aziende e fondazioni che finanziano progetti e condizionano così le scelte educative ( si pensi all’alternanza scuola lavoro e alla istruzione professionale ).Le Regioni potrebbero decidere come e quanto finanziare le scuole private.
Per le lavoratrici e i lavoratori della scuola si delinea un peggioramento delle condizioni di lavoro. Il contratto nazionale collettivo sarebbe progressivamente smantellato, limitato a pochi elementi legislativi comuni, sostituiti sempre più da contratti regionali. Ogni regione, avrebbe piena autonomia in materia di modalità di reclutamento, di mobilità del personale, di organizzazione oraria, di determinazione dei piani di studio .La politica avrebbe piena gestione delle risorse umane ed economiche, condizionando fortemente la libertà di insegnamento , attuando in definitiva la privatizzazione della scuola .
Il modello a cui sembrano richiamarsi le regioni che hanno chiesto l’autonomia è quello della scuola del Trentino. Un esempio di come il ventilato “aumento salariale “, che potrebbe colpire favorevolmente l’immaginazione dei docenti, nasconda risvolti molto spiacevoli. La differenza salariale rispetto al resto d’Italia , corrisponde, per i docenti trentini, a un maggior numero di ore, all’utilizzo dei docenti di ruolo per le supplenze, (“risolve” anche il precariato.. ), a una flessibilità obbligatoria che impone allungamento di orari, partecipazione ad attività extrascolastiche e a retribuzioni legate al merito, alla chiamata diretta del dirigente scolastico, a obbligatorietà di inserire nei curricoli degli studenti contenuti di storia locale o dialetti. La categoria dei lavoratori della scuola si troverebbe, frammentata e divisa, a sostenere battaglie regionali, con una drastica perdita di forza contrattuale, a rispondere agli interessi politici ed economici locali.
Un processo, quello della regionalizzazione, che è nel contratto di governo tra lega e 5 stelle, e che potrebbe subire pericolose accelerazioni in prossimità del voto, e sul quale pesano le forti pressioni delle regioni che hanno chiesto l’autonomia e di tutti i soggetti per i quali la scuola pubblica non rappresenta un valore da difendere e promuovere, ma una zavorra di cui ci si libera volentieri.
Loretta Deluca
Insegnante a Torino
Articolo dall’inserto CULTURA/E del numero di maggio del periodico Cartaceo Lavoro e Salute
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