LA SECESSIONE CON L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA. RIPARTE IL CARROZZONE
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Dopo essere rimasto silente per qualche tempo, ecco riemergere dalle nebbie il carrozzone dell’Autonomia Differenziata. E’ stato infatti introdotto all’ultimo minuto (c’è chi ha parlato dell’intervento della solita “manina”!) nel NADEF (Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza) un capitolo dal titolo: DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata (di cui all’art.116, comma 3 della Costituzione)”.
Questo giornale ha più volte denunciato gli effetti deleteri che comporterebbe l’attuazione del progetto di Autonomia Differenziata. In aggiunta, non si possono che condividere le osservazioni del Comitato contro ogni Autonomia Differenziata sulle ricadute che tale progetto avrebbe sull’insieme delle Autonomie Locali, a partire dai Comuni, ricadute che andrebbero ad aggiungersi alla realizzazione di una nuova centralizzazione regionalistica, moltiplicata per 20.
I Comuni rappresentano tuttora, malgrado tutto, l’istituzione (almeno sulla carta) più vicina alla cittadinanza, suscettibile quindi di rivalutare le istanze di partecipazione alla cosa pubblica. Ciò resta valido malgrado i malèfici effetti della ormai antica riforma che ha introdotto l’elezione diretta del Sindaco, determinando così, fra le altre cose, il pressochè totale svuotamento di ruolo dei consigli comunali. Eppure, quella riforma fu introdotta, paradossalmente, proprio con la motivazione che, in questo modo, sarebbe stato dato modo al cittadino elettore di controllare maggiormente, e direttamente, l’operato dei Sindaci. L’illusione che ciò corrispondesse alla realtà è sopravvissuta per qualche tempo, fino a che non ci si è resi conto che la riforma si accompagnava con la contemporanea riduzione drastica delle risorse destinate ai Comuni, sia in termini di attribuzioni economiche che di dotazioni di personale. Tanto per fare un esempio, il Comune di Torino è passato dai 13.500 dipendenti del 2004 (ma sono stati anche molti di più, sfiorando il numero di 20.000) agli attuali circa 7.800 dipendenti. I recenti dati della partecipazione al voto nelle grandi città (tutte al di sotto del 50%) hanno reso evidente come questa favoletta abbia ormai esaurito i suoi effetti.
Ora, agendo nelle pieghe delle interpretazioni dell’art.116 della Costituzione, si interverrebbe sulle materie di possibile competenza delle Regioni (ben 23!), andando a determinare quel nuovo centralismo regionale di cui si è detto, a tutto scapito del ruolo e del senso dell’istituzione comunale,che potrebbe essere, invece, il possibile terreno di un vero decentramento amministrativo, senza andare ad intaccare l’uniformità dei diritti sul territorio nazionale. Si parla di materie quali ambiente, infrastrutture, beni culturali, sanità (quest’ultima già fortemente interessata da tale processo, che, qualora sfociasse nell’Autonomia Differenziata, rischierebbe di portare allo smantellamento di ciò che resta del SSN), le quali rischierebbero così di perdere qualsiasi valenza di carattere nazionale.
Come è noto, il percorso si è avviato a partire dalla famosa riforma del Titolo V della Costituzione, portata avanti a suo tempo in omaggio alle spinte regionaliste e secessioniste di una Lega non ancora trasformata in forza sovranista nazionale: spinte rinverdite ora da parte di quei settori leghisti considerati (chissà perché) più “moderati” che fanno capo a Presidenti di Regione (ormai definitivamente ribattezzati “governatori”) come Zaia e Fedriga; spinte estese ormai allo stesso PD, per il tramite di una figura tutt’altro che secondaria come il Presidente della Regione Emilia Romagna, Bonaccini.
Tale prospettiva, tradotta sul piano delle scelte concrete, non farebbe che confermare ulteriormente, in un contesto ancora più arretrato, le scelte di privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi locali, sul modello di quanto avvenuto (e sappiamo con quali esiti!) per ciò che riguarda la Sanità lombarda, nella incestuosa commistione fra Pubblico e Privato. E ciò andrebbe ad incidere, con effetto cascata, sia sulle Regioni che sui Comuni.
Così, oggi, ecco uscire nuovamente dal cilindro il coniglio bianco dell’autonomia differenziata. Come purtroppo ormai d’abitudine, ciò avviene con una sorta di colpo di mano, che elude qualunque confronto democratico con la popolazione e con le stesse istituzioni e autonomie locali.
Ecco perché è necessario accendere ulteriormente i riflettori su quanto sta avvenendo, per provare a riprendere il processo di costruzione di un movimento contro l’Autonomia Differenziata e per la partecipazione consapevole dei cittadini e delle cittadine alla gestione del territorio in cui vivono. Lasciamo a chi si pasce dei recenti esiti elettorali, senza nemmeno considerare la drammatica crisi della partecipazione democratica su cui essi si basano, l’illusione di non dover fare i conti con questo ulteriore processo, sociale e istituzionale, di disgregazione.
Per quanto ci riguarda, è il momento, invece, di costruire la più vasta alleanza popolare contro l’Autonomia Differenziata, ricercando il coinvolgimento in un ampio fronte di tutti i movimenti, di tutte le associazioni, le forze politiche e sindacali che sono disposti/e a dare una mano in questo senso.
Fausto Cristofari
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
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