LA SICUREZZA FERROVIARIA: UN PROBLEMA CHE TRAVALICA LA DIMENSIONE LOCALE E ACCOMUNA LAVORATORI E CITTADINI
Qualche anno fa i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza di Trenitalia inviarono un esposto a tutte le Procure della Repubblica d’Italia e agli Organi di Vigilanza delle Aziende Sanitarie Locali.
Il problema lamentato riguardava il cosiddetto “agente solo”.
I Servizi di Prevenzione delle ASL hanno un ruolo ben definito e circoscritto e quindi, laicamente, ho iniziato a guardare al problema per i riflessi che lo stesso può determinare per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
In questi anni con maestri come il dottor Guariniello, ho finito per occuparmi di rischi un po’ particolari e normalmente poco praticati, dunque l’agente solo ha portato a considerare, in prima battuta, un rischio non certo irrituale, ma anzi noto, come il lavoro in solitudine. Gli accertamenti hanno quindi riguardato prima l’organizzazione dei soccorsi e poi lo stress lavoro correlato.
Gli accertamenti sull’organizzazione del primo soccorso sono stati svolti dalla ASL TO3 alla quale appartengo, unitamente con le ASL TO1, TO4 e TO5 e hanno riguardato tutte le imprese ferroviarie operanti sui territori di competenza.
Sul punto, il quadro normativo si può così riassumere:
L’articolo 45 del D.Lgs. 81/08, recante “Primo soccorso”, stabilisce che il datore di lavoro, tenendo conto della natura delle attività e delle dimensioni dell’azienda o della unità produttiva, sentito il medico competente ove nominato, prende i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati.
La norma del D.Lgs. 81/08 trova regolamentazione nel D.M. 388/03, che a sua volta, in ambito ferroviario, trova una applicazione particolare definita con il Decreto Interministeriale 24 gennaio 2011, n. 19, recante “Regolamento sulle modalità di applicazione in ambito ferroviario, del Decreto 15 luglio 2003, n. 388, ai sensi dell’articolo 45, comma 3, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81”.
Il Decreto Interministeriale è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.58 del 11/03/11 ed è entrato in vigore il 26/03/11. Occorre però tenere conto del fatto che l’articolo 7 del suddetto Decreto contiene disposizioni transitorie che prevedono, tra l’altro, che le procedure operative di intervento in modo coordinato con le procedure attivate dagli altri soggetti operanti in ambito ferroviario e con i servizi pubblici di Pronto Soccorso, anche per il trasporto degli infortunati, dovessero essere predisposte entro 12 mesi.
Detto che in Piemonte nei termini stabiliti è stato redatto un protocollo tra il gestore delle infrastrutture, il 118 e le imprese ferroviarie, ci si è posti il problema di comprendere se tale protocollo unito alle singole procedure aziendali avesse raggiunto l’obiettivo fissato dall’articolo 4 del Decreto Interministeriale 19/11.
A tal proposito è bene ricordare che l’articolo 4 stabilisce che “i gestori delle infrastrutture e le imprese ferroviarie, coordinandosi fra loro e con i servizi pubblici di Pronto Soccorso, predispongono procedure operative per attuare uno specifico piano di intervento che preveda per ciascun punto della rete ferroviaria le modalità più efficaci al fine di garantire un soccorso qualificato nei tempi più’ rapidi possibili anche per il trasporto degli infortunati”.
A noi è parso evidente il collegamento tra questo obbligo e l’obbligo principale definito dal D.Lgs. 81/08, ovvero l’obbligo di valutazione di tutti i rischi. In particolare abbiamo ritenuto che le scelte organizzative aziendali, potessero portare ad avere riflessi significativi sui tempi e sulle modalità di soccorso.
Ciò ha portato anche a una riflessione sul ruolo e sull’individuazione del datore di lavoro. A tale riguardo, come noto, l’articolo 2 del D.Lgs 81/08 definisce il datore di lavoro come “il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
La possibilità di individuare questo livello di responsabilità nell’ambito dell’intera organizzazione ovvero in un ambito più ristretto come l’unità produttiva ha indotto molte organizzazioni complesse a ricercare questa figura al livello inferiore. Anche in alcuni casi analizzati in questa vicenda la scelta aziendale è stata questa. Occorre però ricordare che anche la “unità produttiva” trova una sua definizione nell’articolo 2, comma 1, lettera t), del D.Lgs. 81/08 che la descrive come “stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”. Inoltre occorre ricordare l’articolo 299 del D.Lgs. 81/08 che descrive l’esercizio di fatto di poteri direttivi, stabilendo che le posizioni di garanzia relative alle figure di datore di lavoro, di dirigente e di preposto, gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti.
Le attività di indagine effettuate utilizzando i consueti strumenti dell’ordine di esibizione di documenti e l’assunzione di sommarie informazioni testimoniali, hanno condotto ad individuare una pluralità di garanti sia tra coloro che formalmente investiti del ruolo di datori avevano assunto la responsabilità di redigere il documento di valutazione dei rischi, sia tra coloro che pur dichiarandosi estranei al ruolo di datore di lavoro occupavano ruoli di vertice e di fatto assumevano decisioni strategiche rilevanti ai fini della salute e sicurezza ingerendosi nell’autonomia decisionale del datore di lavoro.
Per quanto riguarda i moduli di condotta dei treni è noto, che a seguito di accordi sindacali (sarebbe opportuno che i sindacati consultassero i propri RLS) ed in base a regolamenti approvati da ANSF i treni possono essere condotti ad agente solo o a doppio agente. A tale riguardo si è osservato che le Imprese Ferroviarie utilizzano a seconda dei casi e dei servizi sia moduli di condotta ad agente unico/solo, sia moduli di condotta a doppio agente. Ad esempio Trenitalia Direzione trasporto regionale Piemonte adotta la condotta a doppio agente in orario notturno (0.00-5.00), mentre di regola adotta la condotta ad agente solo in orario diurno.
Si evidenzia, inoltre, quanto previsto al punto 4.28 dell’allegato B “Regolamento per circolazione ferroviaria” del Decreto 4/12 emanato dall’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria al fine di attuare il riordino normativo nazionale in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria, entrato in vigore il 01/01/13, precisamente: “sui treni, oltre all’agente di condotta e, per i treni che effettuano servizio di trasporto passeggeri, al capotreno, devono essere presenti gli altri agenti di accompagnamento, in possesso delle previste abilitazioni, necessari a garantire la sicurezza di utenti, clienti, lavoratori interessati e terzi […]”.
In conseguenza alla scelta organizzativa si osserva che anche le procedure per il primo soccorso del macchinista si diversificano:
– in caso di equipaggio a doppio agente utilizzato in alcuni treni il macchinista vittima di un malore viene soccorso presso la stazione o comunque il primo punto accessibile lungo la linea ferroviaria ove il treno viene condotto dal secondo agente.
– in caso di equipaggio ad agente unico, se per un caso fortuito è presente un secondo macchinista sul convoglio si opera come per il punto precedente, viceversa sono i soccorsi a dover raggiungere il treno che si arresta in linea a causa del malore del macchinista.
Gli stessi Documenti di Valutazione dei Rischi mettono in luce come in relazione al territorio e alla linea ferroviaria presa in esame i tempi possano variare sensibilmente tra i due casi. Ad esempio nell’attuale condizione dell’infrastruttura, in caso di malore di un agente unico nella zona tra Salbertrand e Beaulard il soccorso richiederebbe tempi di intervento superiori a 45 minuti, mentre nella condizione, di malore di un treno con due agenti abilitati alla condotta (ad esempio in orario notturno) il tempo di intervento si riduce tra i 5 e i 20 minuti ovvero il tempo necessario agli operatori del 118 per arrivare presso la stazione più vicina.
L’analisi della tratta tra Torino e Bardonecchia ha inizialmente richiesto un intervento prescrittivo volto a rendere efficace il sistema di comunicazione terra-treno migliorando e potenziando i sistemi di comunicazione telefonici.
Le linee considerate sono equipaggiate con sistemi di ripetizione del segnale SCMT e alcuni treni operano con il sistema “vigilante” attivo dunque in caso di malore del macchinista il sistema di sicurezza è in grado di intervenire automaticamente e mandare il treno in frenatura.
La linea Torino-Bardonecchia è caratterizzata dalla presenza di gallerie e viadotti che rendono complicata l’attività di accesso alla linea in tutti i punti. Non si tratta evidentemente di un caso raro, la conformazione del territorio e la storicità di alcune linee ferroviarie portano a ritenere che situazioni analoghe si possano ritrovare in diverse zone d’Italia.
In questi casi non è neppure trascurabile l’effetto sugli utenti dei treni passeggeri, infatti in caso di arresto del treno in linea per il malore del macchinista vi sono criticità anche per le numerose operazioni che il capotreno deve effettuare. Con il macchinista bisognoso di cure e l’arresto del treno in linea, magari in galleria, il capotreno deve in rapida sequenza ricercare, d’intesa con il Regolatore della circolazione competente, a bordo treno o su altri circolanti la disponibilità di agente in grado di completare l’equipaggio e assicurare il proseguimento della marcia, ricercare e richiedere l’intervento di un medico eventualmente presente a bordo treno, mettere a disposizione del personale sanitario intervenuto il pacchetto di medicazione, richiedere al Regolatore della circolazione del Gestore dell’Infrastruttura, RFI SpA l’intervento del Servizio Sanitario Nazionale, informare la Sala Operativa Regionale (SOR) dell’accaduto, effettuare la chiamata in conferenza con il DCCM di RFI e il Servizio 118, fornire ulteriori informazioni richieste e ricevere istruzioni dagli operatori del Servizio 118, stazionare il treno e gestire l’utenza… Tutte operazioni che richiedono tempi non brevi e distolgono il capotreno dall’assistenza al macchinista.
Con lo stazionamento del treno viene a mancare l’illuminazione elettrica e il condizionamento delle carrozze, di conseguenza un fermo prolungato può determinare malori e/o panico tra i passeggeri.
L’attività prescrittiva effettuata dalle ASL Torinesi ha ottenuto una risposta risolutiva da una sola impresa ferroviaria che ha ritenuto (ma solo in Piemonte) di superare il problema organizzando i treni a doppio agente di condotta.
Altre imprese ferroviarie hanno invece intrapreso un lavoro di caratterizzazione delle linee ferroviarie sul territorio, comunque utile e necessario, per individuare le aree più critiche in caso di malore. Qualcuna si è spinta nel fare calcoli probabilistici sulla ricorrenza di questi malori per dimostrare che si tratta di casi remoti. Nulla da eccepire sui calcoli, ma il ragionamento dovrebbe essere almeno fatto su scala nazionale e non locale, ed inoltre a noi pare, al momento invalicabile il fatto che il D.M. 19/11, al quale non si può imputare di non aver tenuto conto di questi numeri, comunque richieda che vengano previste e attuate le modalità più efficaci al fine di garantire un soccorso qualificato nei tempi più’ rapidi possibili per ciascun punto della rete ferroviaria.
Nelle more dei procedimenti avviati e in alcuni casi reiterati per gli avvicendamenti avvenuti nel ruolo di datore di lavoro vi sono stati due importanti pronunciamenti il primo ancora in itinere, mentre il secondo, salvo ripensamenti, definitivo.
Il primo pronunciamento riguarda il procedimento giudiziario, in sede civile, giunto al grado di appello e sul quale pende un ricorso per Cassazione che vede contrapposti Trenitalia SpA e un suo dipendente. La vicenda riguarda il licenziamento disciplinare di un macchinista a fronte del suo rifiuto di condurre il treno senza la presenza in cabina dl un secondo agente abilitato alia condotta. Trattandosi di un procedimento pendente non è possibile ricavarne insegnamenti definitivi, ma è senz’altro utile ricavare spunti dalle due sentenze di merito che sino ad ora hanno visto prevalere le tesi del lavoratore.
Il Tribunale in funzione di Giudice del lavoro, nelle motivazioni della sentenza di primo grado, richiamando anche gli esiti delle attività ispettive svolte dalla ASL Savonese, dalla ASL di Torino 3 e dalla ASL Marche 3, evidenziava il fatto che il modulo ad agente solo “determina un rallentamento dei primi soccorsi al macchinista nel caso in cui questi venga colpito da un malore che gli impedisca di proseguire la conduzione del treno, costringendolo ad attendere sui posto l’arrivo dei soccorsi” con “un considerevole arretramento del livelli dl tutela del macchinista”, rispetto alla condotta a doppio agente.
Avverso alla sentenza di primo grado proponeva opposizione Trenitalia S.p.A. lamentando che “il Tribunale era intervenuto in un ambito proprio dell’autonomia collettiva e le aveva sostanzialmente imposto la presenza a bordo di un secondo agente di condotta benché non esistessero prescrizioni normative e tecniche che lo prevedessero”.
Questo a noi pare un punto fondamentale, perché è sicuramente vero che non esistono norme che impongono la condotta a doppio agente, e che anzi esistono norme che permettono la condotta ad agente solo.
Preziose sono dunque le motivazioni della sentenza di appello, che nelle more del ricorso per Cassazione, confermano l’esito del primo grado.
La Corte di Appello afferma che il giudizio non ha “indebitamente imposto la creazione di una posizione di lavoro da attribuirsi a un secondo macchinista abilitato alia conduzione del treno”, ma si è limitato “a ravvisare la sussistenza di un inadempimento datoriale, dando atto che il modulo del macchinista unico configura un arretramento delle tutele antinfortunistiche”.
Anche l’azione dell’Organo di Vigilanza non può e non deve giungere a considerazioni che riguardino il modulo di condotta in quanto tale, ma deve limitarsi a considerare gli effetti sulla salute e sicurezza dei lavoratori di tale scelta. Potrebbe sembrare un sofisma, ma è necessario che ciascuno si muova nel proprio ambito.
Un altro aspetto citato nelle motivazioni della sentenza di appello riguarda il territorio ove la prestazione si svolge. Appare evidente che vi possano essere linee ferroviarie che in base al loro tracciato risultano accessibili in diversi punti ravvicinati tra loro e che quindi in caso di arresto del treno in linea vi sia comunque la ragionevole possibilità di accesso diretto da parte dei soccorritori.
Ma ve ne sono altri che “presentano delle caratteristiche peculiari” quali “lunghi tratti a binarlo unico, percorsi ad altimetria variabile con saliscendi che rendono difficile valutare la pendenza, stazioni meccanizzate, spazi particolarmente ristretti che rendono difficile l’accesso dei mezzi di soccorso, numerose gallerie, alcune delle quali a binario unico, particolarmente lunghe […]”.
Pare ovvio che l’azione di vigilanza debba orientarsi prioritariamente su questo tipo di tratte.
Il secondo pronunciamento riguarda la risposta ad interpello, ex articolo 12 del D.Lgs. 81/08, rubricata con il numero 2 del 21/03/16.
Come si ricorderà le attività di indagine svolte da alcune ASL del territorio nazionale avevano avuto origine da esposti presentati in tutta Italia dai RLS di Trenitalia. Non tutte le ASL, e le Procure della Repubblica, interessate da quegli esposti hanno ritenuto di impartire prescrizioni anche per il dubbio fatto proprio dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che ha presentato il quesito alla Commissione Interpelli.
Il quesito posto risulta molto specifico, ma la risposta contiene un principio generale applicabile anche al di là dell’ambito del primo soccorso ferroviario.
La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome dopo aver riassunto la normativa specifica, già citata nella presente relazione, ha rappresentato che “le modifiche recentemente intervenute nella organizzazione del lavoro in ambito ferroviario prevedono a bordo treno la presenza di un solo operatore in grado di condurre il treno (anche in condizioni di emergenza)” e che “a seguito di sollecitazioni pervenute da parte di Rappresentanti di Lavoratori per la Sicurezza e di Organizzazioni Sindacali, è stata manifestata la criticità secondo cui, l’assetto organizzativo assunto dagli enti gestori del trasporto ferroviario potrebbe incidere negativamente sulla tempestività dell’intervento di primo soccorso in caso di malore del macchinista”.
Ed infine ha posto il seguente quesito: “l’obbligo di portare il soccorso qualificato nel più breve tempo possibile va inteso considerando come non in discussione il modello organizzativo scelto dall’azienda (ad esempio l’agente unico) o può invece rimettere in discussione le scelte aziendali di organizzazione del lavoro se le stesse determinano, o possono comunque determinare, tempi di intervento molto più lunghi e certamente superiori a quelli previsti dal comunicato n. 87 della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativo al D.P.R. 27/03/92? ”.
A fronte di una disamina puntuale della normativa le conclusioni della Commissione Interpelli, sono lapidarie: “Fermo restando che il modello organizzativo è una scelta libera del datore di lavoro, l’obbligo di portare il soccorso qualificato nel più breve tempo possibile per ciascun punto della rete ferroviaria va inteso comprendendo anche possibili modifiche al modello organizzativo scelto dall’azienda se lo stesso determina, o può comunque determinare, tempi di intervento più lunghi o modalità meno efficaci per garantire il soccorso qualificato ai lavoratori interessati e il trasporto degli infortunati”.
Il cardine che sorregge la risposta della Commissione è l’articolo 15, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 81/08 che prevede “la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro”.
Dunque le scelte organizzative aziendali, ivi comprese quelle strategiche e di fondo, non possono sottrarsi all’analisi e valutazione dei rischi per la salute e sicurezza del lavoro. Non sono le misure di sicurezza a dover inseguire e mitigare gli effetti delle scelte aziendali, ma piuttosto sono le scelte aziendali che si devono integrare in una politica di prevenzione dei rischi.
Questo insegnamento ricevuto dalla Commissione Interpelli dovrebbe oggi favorire l’azione di vigilanza relativa al primo soccorso in ambito ferroviario, ma dovrebbe essere applicato e divulgato anche in altri contesti. Basti pensare a quante volte parlando con i soggetti della prevenzione siano essi RSPP o coordinatori per la sicurezza raccogliamo la loro frustrazione di fronte al fatto che viene loro richiesto di “porre rimedio” a scelte prese da altri senza neppure consultarli.
Giacomo Porcellana
Tecnico della Prevenzione SPreSAL ASL TO3 Rivoli (TO)
27/4/2017
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