La sinistra palestinese
Le principali formazioni politiche della sinistra palestinese di ispirazione marxista e socialista sono il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina e il Partito del Popolo Palestinese. Sono partiti che hanno alle loro spalle una lunga storia e anche divergenze politiche e ideologiche che negli ultimi anni si è cercato di stemperare per trovare nuove ma non facili forme di unità.
La sinistra palestinese nel suo complesso ha oggi un’influenza e un radicamento sociale molto minori di quelli su cui poteva contare negli anni ’70 e ’80, in parte per il riflesso negativo che ha avuto la caduta del blocco sovietico e la crisi del nazionalismo arabo e in parte perché non ha saputo reagire adeguatamente alla polarizzazione tra Fatah e Hamas. Il movimento diretto fino alla morte da Arafat si è trasformato nel governo dell’Autorità Nazionale Palestinese e ha largamente dominato l’apparato amministrativo e di sicurezza, mentre il movimento islamista ha raccolto l’insoddisfazione per gli esiti del dopo-Oslo.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
Il Fronte Popolare nasce dopo la sconfitta araba nella guerra del 1967, grazie alla quale Israele ha occupato la parte restante della Palestina. Le sue radici sono però rintracciabili nel Movimento Nazionalista Arabo, sorto per iniziativa di studenti dell’Università Americana di Beurut, tra cui il carismatico George Habash. Da medico aveva assistito personalmente alla pulizia etnica messa in atto dai militari israeliani nella città di Lydda (poi ribattizzata Lod dalle forze di occupazione ebraiche per cancellare la memoria araba). Aveva perso la sorella nella “marcia della morte”, in cui migliaia di palestinesi furono costretti a fuggire a piedi dalla loro città restando diversi giorni senza cibo e senz’acqua.
L’MNA, dopo un inizio ideologicamente piuttosto contraddittorio, si avvicinò alle posizioni del nasserismo e vedeva la soluzione del problema palestinese all’interno di un generale rivolgimento del mondo arabo. Dopo la guerra del 1967, nella quale anche Nasser e il suo regime uscirono politicamente indeboliti, il Fronte adottò progressivamente posizioni che univano nazionalismo, marxismo-leninismo e anti-imperialismo. Critico delle posizioni sovietiche, era fortemente influenzato dalle correnti più radicali che agivano sulla scena internazionale come il maoismo e il guevarismo.
Ha sempre considerato Israele, normalmente definito come “entità sionista” come un progetto neocolonialista promosso e sostenuto dall’imperialismo occidentale. Considera come obbiettivo finale della lotta di liberazione palestinese la costruzione di un unico stato dal fiume Giordano al mare, nel quale possano convivere musulmani, cristiani ed ebrei con pari diritti. A questo fine ha sempre ritenuto indispensabile il ricorso alla lotta armata che nei primi anni ’70 ha assunto anche la forma del terrorismo nei confronti dei civili israeliani. Strumento razionalizzato con la necessità di contrastare la propaganda sionista che ha presentato Israele come un luogo sicuro per gli ebrei di tutto il mondo.
Fra le iniziative più clamorose vi sono stati anche i dirottamenti di aerei civili, utilizzati secondo la narrazione del Fronte, quale mezzo per richiamare l’attenzione mondiale sulla condizione di oppressione nella quale vivevano e vivono i palestinesi.
Per molto tempo è stata la seconda organizzazione palestinese per forza all’interno dell’OLP, ma i rapporti con Fatah sono sempre stati piuttosto complessi. Nel momento in cui l’organizzazione di Aarafat ha iniziato a prospettare la possibilità di accettare l’istituzione di uno Stato palestinese sui territori occupati nel 1967 e quindi di accettare di fatto l’esistenza di Israele e la prospettiva dei due stati, l’FPLP ha costituito alleanze con altre forze palestinesi minori contrarie a tale prospettiva.
Nel 1978, il Fronte Popolare ha deciso di abbandonare le operazioni militari al di fuori del contesto specifico del conflitto israelo-palestinese e dieci anni dopo ha approvato la Dichiarazione di Indipendenza proclamata ad Algeri, con la quale di fatto si accettava una soluzione intermedia alla soluzione del problema palestinese.
Questa parziale accettazione dei rapporti di forza esistenti, tanto più dopo la caduta dell’Unione Sovietica che ha privato il movimento di liberazione palestinese di una sponda politica importante, oltre che di sostegni concreti, non ha però portato all’accettazione degli accordi di Oslo. Pur avendo costruito un fronte di oppositori non ha cercato di intralciare l’intesa con operazione armate rivolte contro gli occupanti israeliani.
Avendo contestato Oslo ha deciso di boicottare le elezioni del 1996 nell’ambito dell’Autorità Nazionale Palestinese. Una decisione modificata nel congresso tenuto nel 2000, sulla base del quale ha presentato propri candidati nel 2006. In coincidenza con la seconda Intifada, definita come Intifada di Al-Aqsa, l’FPLP ha avviato un rinnovamento della propria leadership con la sostituzione del fondatore Habash con il nuovo segretario generale Abu Ali Mustafa. Nell’agosto del 2001 il nuovo leader veniva assassinato dagli israeliani per mezzo di un’operazione terroristica messa in atto a Ramallah, in quello che dovrebbe essere territorio palestinese. Ad Abu Ali Mustafa è stata intitolata l’organizzazione militare del Fronte.
Per risposta all’assassinio di Mustafa, l’FPLP ha organizzato l’uccisione del ministro israeliano del turismo Rehavam Ze’evi, rappresentante dell’estrema destra all’interno del governo. Questa vicenda ha portato all’arresto del successore di Mustafa, Ahmad Sadat, da parte delle forze di sicurezza dell’ANP. Nel 2006 gli israeliani hanno assaltato la prigione dell’ANP, senza alcuna reazione dalle guardie palestinesi, sequestrato Sadat e trasferito in una delle loro prigioni, dove ancora si trova.
La politica dell’FPLP ha mantenuto fermi gli elementi fondamentali delineati all’inizio del millennio. La prospettiva di soluzione del problema palestinese resta affidata ad un processo a due stadi, nel quale si accetta la formazione di uno Stato palestinese nei territori occupati nel 1967, che dovrebbe però essere un vero Stato dotato di sovranità e continuità territoriale, ma in una prospettiva di lungo termine che vede la formazione di un unico stato laico e democratico in tutta la Palestina, con il ritorno dei profughi che vivono nei paesi arabi confinanti dal 1948.
L’azione politica tiene insieme la partecipazione critica alle istituzioni formate sulla base dell’accordo di Oslo (oggi però ridotte al solo governo controllato da Abu Mazen in alcune isole della West Bank) mantenendo in campo un’azione di resistenza militare. Nel 2006, l’FPLP ha partecipato alle elezioni per il Consiglio Legislativo raccogliendo poco più del 4% dei voti. Un risultato considerato deludente rispetto alle aspettative e anche alla capacità di mobilitazione del partito. Le elezioni lo hanno comunque confermato come la più forte delle organizzazioni della sinistra palestinese.
La partecipazione politica procede di pari passo con il mantenimento di una, seppur limitata, azione militare. Le Brigate Abu Ali Mustafa hanno rivendicato la loro partecipazione all’attacco del 7 ottobre che ha rotto l’isolamento di Gaza e ha portato il conflitto in territorio israeliano.
Il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina
Il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina ha anch’esso origine dal Movimento Nazionalista Arabo di cui ha costituito l’ala sinistra che ha anticipato la svolta marxista. Il suo leader storico è Nayef Hawatmeh. L’FDLP si costituisce nel 1969 da una scissione del Fronte Popolare. La rottura, scrive Michael Broning è “precipitata dal disaccordo ideologico sul panarabismo, il ruolo della diplomazia e l’efficacia dell’uso di operazioni terroristiche nei confronti dell’occupazione israeliana” (“Political parties in Palestine”, Palgrave Macmillan, 2013). Ciò non significa che il Fronte Democratico rifiuti la messa in atto di operazioni armate all’interno di Israele, tra cui il catastrofico attacco ad una scuola di Maalot in Galilea che terminò con l’uccisione di 25 bambini, ma la dimensione armata è collocata in un più ampio contesto di iniziativa politica.
Anche il Fronte Democratico all’inizio era fortemente influenzato dal maoismo, un orientamento che viene abbandonato con l’evoluzione della politica internazionale cinese e sostituito da un netto avvicinamento all’Unione Sovietica, compreso il sostegno all’intervento militare in Afghanistan.
Rispetto al Fronte Popolare, l’FDLP, pur mantenendo la visione di uno stato unico secolare in Palestina se ne è distinto per una visione più complessa della questione ebraica. L’FDLP non nega l’esistenza di un “popolo israeliano in formazione” da cui non deriva automaticamente il diritto di Israele ad esistere in quanto viene negato che si possa riconoscere a questo “popolo” il diritto all’autodeterminazione. Questo principio può essere applicato solo a nazioni che soffrono dell’occupazione coloniale e dell’egemonia imperialista (Qais Abdel Karim e Fahed Suleiman, “The Democratic Front for the Liberation of Palestine: Emergence and Itinerary 1969-2007”, gennaio 2010).
La differenza passa quindi tra uno Stato unico nel quale convivono cittadini di diversa appartenenza etnica o religiosa, e uno Stato che riconosce l’uguaglianza di due popoli. Questo può essere, semplificando, la distinzione dell’approccio teorico dei due Fronti.
Fin dal giugno del 1974 l’FDLP aveva avanzato la proposta di una autorità nazionale in qualsiasi parte del territorio palestinese liberato, anticipando in questo la successiva posizione di Fatah. Ha però criticato gli accordi di Oslo perché questi hanno consentito di fatto la continuazione dell’occupazione, l’espansione delle colonie ebraiche e la repressione e confisca dei diritti nazionali palestinesi.
Nel 2003 Hawatmeh si è appellato a continuare la seconda Intifada con mezzi politici e la mobilitazione popolare evitandone la progressiva militarizzazione. Nel 2006 analogamente all’FPLP ha partecipato alle elezioni, che aveva boicottato 10 anni prima e l’anno precedente aveva presentato un proprio candidato alternativo a Abu Mazen, ottenendo il 3,35% dei voti. L’esito delle due tornate elettorali ha confermato il complessivo indebolimento anche di questa formazione della sinistra. A differenza dell’FPLP ha cercato di contrastare questa perdita di influenza unendosi ad altre formazioni vicine.
Il Fronte Democratico, rendendo forse più difficilmente comprensibile la propria strategia, ha partecipato ai governi costituiti dall’ANP pur continuando ad affermare che costruire uno stato sotto occupazione è solo un’illusione. Mantiene operativa una struttura militare, le Brigate di Resistenza Nazionale, che effettua sporadiche azioni militari. In questo momento le Brigate partecipano alla battaglia di resistenza a Gaza, come ha dichiarato Ramzi Rabah, dell’ufficio politico dell’FDLP.
In merito ai recenti sviluppi, il Fronte sostiene che la leadership palestinese deve unirsi per fronteggiare l’aggressione israeliana a Gaza. Un’invasione che non riguarda solo Hamas e le fazioni della resistenza che operano nella Striscia, ma l’intero popolo palestinese e i suoi diritti. Per questo occorre un’unica struttura centrale nell’ambito dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina alla quale partecipino tutte le organizzazioni comprese Hamas e Jihad Islamica.
Il Partito del Popolo Palestinese
La terza formazione della sinistra è il Partito del Popolo Palestinese, il nome assunto nel 1991 dal Partito Comunista. Le radici storiche del partito vanno fatte risalire alla Lega di Liberazione Nazionale (LLN) sorta nel 1943 dalla separazione della componente araba ed ebraica del Partito Comunista Palestinese. La Lega si organizzava per influenzare la parte araba e, a seguito della decisione sovietica di sostenere la partizione della Palestina, approvava anche il progetto di formazione di due stati contigui. Dopo la fine del conflitto militare, una parte dei suoi militanti entrava a far parte del neonato Partito Comunista Israeliano, mentre in quelli che dovevano essere i territori dello stato palestinese ci si indirizzava verso la costituzione di formazioni separate.
L’LLN aveva sostenuto la nascita dello Stato palestinese, così come previsto dalle Nazioni Unite, ma rimase inascoltata. La Cisgiordania venne assorbita dalla Giordania e Gaza fu soggetta al controllo dell’Egitto. I comunisti attivi nella West Bank parteciparono alla formazione del Partito Comunista Giordano, di cui costituivano la parte più consistente. A Gaza si formò un partito comunista autonomo. Solo nel 1982, si procederà alla formazione di un Partito Comunista Palestinese che operava sia nella West Bank e a Gaza ed era riconosciuto dal movimento comunista internazionale.
Il PCP si era radicato tra la popolazione dei territori occupati del 1967, grazie alla sua presenza in organizzazioni di massa sindacali, femminili, studentesche. I comunisti hanno sempre privilegiato l’azione politica su quella militare. Solo per un breve periodo hanno potuto contare su una piccola organizzazione armata, presente per lo più in Libano, chiamata “Ansar” (partigiani).
L’accettazione della suddivisione della Palestina e ilriconoscimento di Israele e l’affidamento all’azione politica piuttosto che a quella militare, fece sì che i comunisti fossero poco presenti nei campi profughi dove invece prevalevano i due Fronti. Il PCP ebbe un ruolo significativo nella prima Intifada, che cambiò i rapporti di forza politici tra occupanti ed occupati e senza la quale non ci sarebbero nemmeno stati gli accordi di Oslo.
I comunisti, come tutta la sinistra, hanno subito gli effetti di una crisi di identità seguita alla scomparsa dell’Unione Sovietica. La prima reazione è stata quella di mutare nome in Partito del Popolo, mettendo l’accento sulla fase della liberazione nazionale e rinviando a tempi lontani la questione del socialismo. Il Partito, annacquando il proprio profilo ideologico dal marxismo-leninismo di impronta sovietica ad un più generico marxismo di impronta democratica, ha avuto una prima fase di espansione delle adesioni. Questa crescita di iscritti non è durata molto e il partito ha anche subito la separazione di un importante gruppo di leader e militanti, guidati da Mustafa Barghouti, che hano dato vita alla “Iniziativa nazionale”.
Il PPP ha partecipato ai governi dell’Autorità Nazionale pur criticandone l’azione politica su molti aspetti. Con l’integrazione nell’apparato dell’Autorità il partito ha cercato di fronteggiare il calo dei militanti. Dal punto di vista del consenso, ha dovuto però riconoscere di avere pagato un prezzo per questa posizione. Nelle elezioni del 2006 si è presentato con una lista comune al Fronte Democratico di Liberazione della Palestina e all’Unione Democratica Palestinese (FIDA), quest’ultima scissione del Fronte dell’inizio degli anni ’90.
Il PPP ha condiviso gli accordi di Oslo anche se ora critico degli sviluppi successivi. Con le altre formazioni della sinistra ha cercato di organizzare varie forme di alleanze ottenendo solo successi temporanei e parziali. Ritiene che si debba rilanciare e riorganizzare l’OLP come strumento prioritario di definizione della strategia palestinese rispetto all’ANP che risulta sostanzialmente inadeguata e incapace di assolvere tale ruolo. A questo fine distingue il ruolo dell’ANP, valutato ormai negativamente, con quello di Fatah, con la quale ritiene necessario mantenere un rapporto di collaborazione.
Il PPP non ha una propria formazione militare e affida la priorità all’azione politica per sconfiggere l’occupazione, ma non nega la legittimità anche dell’azione armata. E’ contrario ad isolare Hamas che, invece, assieme alla Jihad Islamica, va riportata dentro un quadro di unità delle forze politiche palestinesi.
Riunificazione delle forze palestinesi, riforma e rilancio dell’OLP, critica alla leadership di Abu Mazen sono punti comuni sui quali si ritrovano le diverse forze della sinistra.
Franco Ferrari
20/12/2023 https://transform-italia.it/
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