LA SOCIETA’ PERFORMATIVA SIAMO NOI
Tutti contro la società performativa, ma la verità e che tutti noi l’alimentiamo, ci sguazziamo dentro e ci piace!
Pronti ad indignarci davanti alla notizia di una ragazza di 19 anni che si è tolta la vita alla IULM di Milano probabilmente perché non riusciva a star dietro ai tempi frenetici delle nostre università o forse non era la decisione giusta – se non si sbaglia a 19 anni, quando farlo? -, decidendo di andarsene lasciando un biglietto con scritto “scusate i miei fallimenti”.
Un po’ di tempo fa ho letto un articolo su un sito locale della mia città che elogiava un ragazzo laureato in medicina, era tra i più giovani medici in Italia, ma non solo, coltivava la passione per vari sport, ma non solo vinceva pure gare nazionali, ma non solo, studiava inglese e aveva fatto pure un sacco di viaggi in giro per il mondo; la cosa che mi ha lasciato perplesso, è che quell’articolo è stato condiviso o comunque apprezzato con like e reazioni varie da persone che criticano articoli scritti, praticamente col medesimo modus operandi, da quotidiani nazionali come il Corriere della Sera o da La Repubblica.
A questo ho cercato di darmi delle spiegazioni e sono arrivato alla conclusione che potrebbero essercene due valide: la prima, è che non si comprende quello che si legge, l’altra, che è quella che voglio percorrere in questo articolo, è che si utilizzino, consapevolmente o meno, due pesi e due misure.
Se ad essere elogiato è un nostro amico o conoscente, la società performativa ce la facciamo andar bene, se ad alimentarla è un nostro successo, non c’è nulla di sbagliato, se invece riguarda un articolo su uno sconosciuto diventiamo i paladini e attivisti contro la società performativa, contro le ingiustizie e le disuguaglianze.
Di quest’ultime parlano davvero tutti, praticamente ogni giorno, mi capita di leggere articoli ma soprattutto post contro politici che fanno poco per colmarle, contro gli imprenditori o in generale i ricchi che non vogliono una maggiore tassazione, come potrebbe essere la patrimoniale; è tutto giusto e condivisibile, però prima di evidenziare i privilegi altrui non sarebbe meglio iniziare a riconoscere i nostri?
A quanti l’argomento sta davvero a cuore? Non ho mai letto un post, di quelli egoriferiti e tronfi, in cui si informa i propri followers di un successo raggiunto, magari con un PS finale nel quale è scritto “si mi sono impegnato, come è normale che sia, però avevo le spalle coperte da questo privilegio”.
Inoltre, quando parliamo di disuguaglianze, si pensa sempre al mero aspetto economico, ovviamente fondamentale ma ad esempio, nascere in una famiglia con una libreria piena di libri in casa, rispetto al nascere da due genitori che non ne hanno mai letto uno, è un privilegio? Credo di sì. E siamo pronti a riconoscerlo?
La percentuale di figli laureati con genitori, secondo uno studio INAPP (Istituto Nazionale per le Analisi delle Politiche Pubbliche) del 2021, è del 75% se si ha un genitore laureato, del 48% per chi ha in famiglia dei diplomati e scende sino al 12% se in famiglia il livello d’istruzione più elevato è la licenza media.
La società performativa la creiamo noi ogniqualvolta decidiamo di pubblicare determinate cose, non la crea l’algoritmo o qualcuno dall’alto, ed è troppo facile scaricare tutte le colpe alle categorie sopra citate o peggio, quando parliamo di suicidi di studenti universitari, addossare interamente le responsabilità al sistema universitario, che per carità, andrebbe del tutto riformato. Iniziamo ad assumerci le nostre responsabilità, a renderci conto del nostro contributo ad alimentare una società che ci vuole sempre più competitivi. Pensiamo a come possa sentirsi una persona in un momento di difficoltà, come la studentessa della IULM, una persona in un momento in cui non è soddisfatta di sé, cosa può passarle per la testa
quando vede il nostro post in cui sbandieriamo un traguardo raggiunto, sembrando più soddisfatti nel mostrarlo agli altri che per l’obiettivo personale centrato.
E’ importante parlarne, scriverne, indignarsi ma dobbiamo decidere da che parte stare, oltre che con le belle parole, con determinati comportamenti da adottare, sia nella realtà che nel virtuale, decidendo in che modo vogliamo apparire agli occhi degli altri, altrimenti rimangono solo parole. Francamente inutili.
Giuseppe Lacavalla
4/4/2023 https://www.intersezionale.com
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