LA SOLITUDINE DEI LAVORATORI E DEGLI OPERATORI DELLA PREVENZIONE

Tra le risultanze del processo per il crimine Thyssen di Torino del 5.12.2007 risuona ancora, pur virtualmente ma non meno assordante, la risposta alle segnalazioni telefoniche dei lavoratori che chiedevano interventi alla competente ASL, una risposta burocratica ma in linea con l’attuale rapporto tra servizi pubblici di prevenzione (ASL) e lavoratori/”utenti” : la necessità di inviare un formale scritto di richiesta per poter (eventualmente) attivare l’intervento dell’organo di vigilanza (1).
Dai dati processuali, emergono le mail aziendali in cui un dirigente (poi imputato e condannato) preannunciava ad altri l’arrivo di ispezioni sulla sicurezza sul lavoro.
E’ anche emersa la realtà di tecnici ASL “locali” che svolgevano attività di consulenza per l’azienda anche se, formalmente, in siti diversi da quello torinese (2).
Solo dopo il crimine, i sopralluoghi della medesima ASL hanno individuato 116 violazioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro, i precedenti sopralluoghi nel 2006 avevano già rilevato violazioni poi considerate come “risolte”.
Il tutto, ovviamente, ha dato agio a chi contesta, indiscriminatamente, l’operato della pubblica amministrazione aggiungendo alle diverse “caste” anche quella degli operatori ASL, al meglio nulla facenti, al peggio complici delle aziende.
Questi fatti, al di là delle responsabilità individuali (peraltro non oggetto del processo ma solo di indagini interne), segnalano quanta acqua è passata sotto i ponti da quando Medicina Democratica e molti consigli di fabbrica sostenevano e organizzavano il confronto e l’azione tra le richieste di sicurezza espresse dai lavoratori e dalle lavoratrici, a partire dalla autoanalisi dei processi produttivi e delle nocività, e la risposta istituzionale, dalla costituzione degli SMAL prima, delle USL poi fino alle attuali ASL (o Agenzie di Tutela della Salute – ATS in Lombardia).
Nonostante l’evoluzione della normativa in materia è arrivata a prevedere una figura (il Rappresentante dei Lavoratori della Sicurezza) deputata a rappresentare le istanze dei lavoratori con le aziende e a rivolgersi agli organi di vigilanza ogni volta lo reputi necessario, il mutato contesto culturale e politico non ha determinato una estensione o almeno un mantenimento delle esperienze
pregresse che avevano il loro “zoccolo” sullo Statuto dei lavoratori (3).
E’ la conferma che l’assenza di iniziativa e di pressione da parte del soggetto interessato – i lavoratori e le lavoratrici – per la conquista di nuovi diritti non determina una “stabilizzazione” di quelli in precedenza acquisiti (di fatto e/o riconosciuti per legge) ma una loro progressiva e sempre più accelerata erosione.
Limitandoci agli aspetti relativi alla sicurezza sul lavoro, il contesto attuale può essere sintetizzato come segue:
a) Uno strumento normativo (a partire dal Dlgs 626/94 confluito nel Dlgs 81/2008) sostanzialmente evoluto, dettagliato e idoneo ad affrontare sia i temi della prevenzione che delle verifiche dopo eventi negativi (infortuni e malattie professionali). Uno strumento impegnativo, che necessità di un aggiornamento continuo degli operatori sia per l’interpretazione normativa (in tale direzione il sistema dell’“interpello” al Ministero del Lavoro) che per l’evoluzione e il cambiamento dei processi produttivi e dei rapporti di lavoro.
b) Una “solitudine” nelle attività di vigilanza: ogni accesso in una azienda significa doversi confrontare con una realtà tecnica diversa, da ricostruire e valutare, quasi sempre con estrema difficoltà di confronto diretto con chi vive la fabbrica, in particolare nelle medie e piccole aziende. L’accesso avviene su programmazione della ASL (a sua volta coordinata con la Regione) o in casi di eventi da indagare. La prevenzione come processo partecipativo concordato e sviluppato tra chi è in fabbrica e chi ha il compito della vigilanza è un lontano ricordo ed una eccezione.
c) Solitudine (e responsabilità) accentuate con l’attribuzione della qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria e con le derivanti
incombenze nell’ambito dei procedimenti penali introdotte dal 1994 (4), si deve rispondere sia al Pubblico Ministero e contestualmente alla dirigenza sui risultati e il contenuto (o meglio l’entità) del proprio lavoro.
Si conferma, in altri termini, il timore espresso da Dario Miedico anni fa (si veda sul
n. 227-230 “Salute e ambiente in fabbrica” di Elena Davigo) con cui metteva in guardia gli “entusiasmi” sulla estensione delle qualifiche ispettive agli operatori SMAL/USL : “Non è importante entrare in fabbrica, perché se tu non hai i lavoratori maturi per un intervento tu puoi entrarci finchè vuoi, ma non succede esattamente niente”.
L’attuale condizione operativa non spinge ad approfondire l’esame della realtà produttiva, ci si ferma (ed è già un passo significativo dati i tempi) alla verifica dei principali rischi connessi con l’attività e agli interventi prescrittivi conseguenti in caso di non conformità al dettato normativo. Una volta chiusa la porta della fabbrica dietro di sé non si saprà se l’intervento ha modificato l’atteggiamento e l’azione di tutti gli attori nell’affrontare i temi della sicurezza. La soggettività del lavoro difficilmente entra nel campo della nostra attività affinchè l’azione ispettiva si conformi alle esigenze dei lavoratori anziché alla pura applicazione della normativa. Se si “perdesse tempo” nel cercare e sostenere l’azione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti si tratterebbe di una attività “non rendicontabile” (non entra nei “numeri- obiettivo” che la ASL si è data per l’anno in corso). Si può, al più, intervenire per correggere le storture (violazioni) più evidenti (es. impianti non conformi) o introdurre elementi di miglioramento dell’igiene del lavoro (che necessitano però di una continuità di intervento) ma non certo affrontare interventi di modifica significativa dei
processi produttivi, in particolare se complessi, e migliorare la “vivibilità” del luogo di lavoro (basti pensare al tema dello stress lavoro-correlato difficile da cogliere in un “normale” sopralluogo).
Nel migliore dei casi abbiamo un tecnico che entra in azienda (con un mandato spesso “limitato” dalla programmazione e dalle indicazioni dirigenziali) che cerca di svolgere al meglio il suo compito di verifica delle norme e, per meglio inquadrare la situazione, “pretende” la presenza del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) (5) quasi sempre ben “abbottonato” per evitare contrasti con il datore di lavoro.
Contestualmente si crea una situazione, favorita dalla precarietà dei rapporti di lavoro e dalla crisi, in cui lavoratori attendono (“sperano” o “disperano”) in un miglioramento delle condizioni grazie all’azione “salvifica” della istituzione rappresentata dall’operatore che, apparentemente in modo casuale o post evento infortunistico, accede in azienda.
Uno stato di passività che non può trovare soddisfazione, che non produce crescita personale e collettiva né vertenzialità ma solo rabbia che troverà un modo qualunque per manifestarsi : negli ultimi anni sono frequenti le segnalazioni “post”, lavoratori singoli, licenziati, si presentano all’ente per segnalare, in modo più o meno dettagliato, aspetti di non conformità nell’ex luogo di lavoro che hanno fino a quel momento sopportato in silenzio nel timore di perdere il lavoro, comunque perso, alla ricerca di una “vendetta”.
Va anche considerato che è in atto un (lento) ricambio generazionale, i “vecchi” tecnici che hanno iniziato la loro attività nella temperie culturale e nel conflitto degli anni ’70 e seguenti (per lo più con titoli di studio pari a un diploma secondario tecnico) (6) vengono
sostituiti da nuovi tecnici con un curriculum formativo apparentemente migliore (laura triennale in tecnico della prevenzione) ma che vengono inseriti e plasmati da una struttura sempre più gerarchizzata e sempre più fondata sulla produzione di “prestazioni” definibili quantitativamente in ossequio agli obiettivi regionali e del singolo ente, a loro volta connessi con il riconoscimento in busta paga delle “risorse aggiuntive”, unica chance di mantenimento del reddito dopo oltre otto anni di blocco salariale nel pubblico impiego.
Ma anche il ricambio è parziale (7) e confligge con gli obblighi “anticorruzione” per i quali quasi nessuna attività può essere solitaria (la riduzione del personale così accentua ulteriormente la riduzione di capacità di azione del singolo tecnico). Da ultimo le norme anticorruzione vengono utilizzate per “far girare” gli operatori in territori diversi nelle oramai “sconfinate” ASL (basti pensare, in Lombardia, che la ATS Milano Città Metropolitana comprende la metropoli, l’intera ex provincia di Milano e la provincia di Lodi), spezzando ogni possibilità di rapporto continuativo e di accumulo di conoscenze sulla evoluzione delle imprese, il risultato sarà che ad ogni accesso si ricomincia da zero.

DAI SERVIZI DI PREVENZIONE ALL’ISPETTORATO UNICO
La “soluzione” ingegnata dall’attuale governo è l’ “Ispettorato Unico” (legge 10.12.2014 n.
183) e la estensione degli strumenti digitali.
L’Ispettorato unico è “figlio” anche delle richieste imprenditoriali volte alla razionalizzazione e riduzione dei controlli oggi definiti in relazione alle competenze differenziate sui diversi aspetti che regolano il mondo del lavoro (regolarità contrattuale, regolarità contributiva e assicurativa,
sicurezza, tutela ambientale, attrezzature con obbligo di verifica periodica, aspetti fiscali). In astratto una singola impresa può vedersi “ripetutamente” controllata in una sequenza di accessi di verifica su singoli aspetti determinando uno “stress” per controlli molto spesso poco più che formali.
L’agenzia unica “Ispettorato nazionale del lavoro” , sottoposto al Ministero del Lavoro, “svolge le attività ispettive già esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall’INPS e dall’INAIL” (8). L’ambito della vigilanza sulla sicurezza sul lavoro però, essendo attribuita (future modifiche costituzionali permettendo) alle Regioni tramite le ASL, rimane quasi completamente fuori dal suo ambito di azione.
Non solo l’Ispettorato è nato coordinando gli operatori preesistenti di diversi enti (INAIL; INPS; direzioni provinciali del lavoro) senza alcun incremento (9) ma i primi riscontri confermano un livello immodificato negli interventi relativi alla sicurezza sul lavoro
(10) rispetto a quelli in precedenza svolti dai singoli enti.
La “filosofia” è però chiara, tendere al ritorno dell’Ispettorato del Lavoro preriforma sanitaria del 1978 per riaccentrare le competenze e le funzioni di vigilanza, proprio quella situazione che l’azione del movimento operaio degli anni ’70, sostenuta anche dagli operatori, aveva superato affiancando tale obiettivo alla lotta per una sanità pubblica universalistica (non è casuale che, nel contempo, anche i sindacati spingono per inserire nelle contrattazioni aziendali forme di sanità “integrativa” frammentando e lasciando cadere quella rivendicazione). L’esito del referendum costituzionale, che riportava molte competenze “strategiche” della sanità allo Stato togliendole alle regioni, costituisce per ora un ostacolo a tale obiettivo.
Il tema della razionalizzazione dei controlli poteva essere affrontato diversamente : con quel coordinamento tra enti, statali e regionali, contenuto nel Dlgs 81/2008 e mai affrontato seriamente.
Quello che è in fase di attuazione è invece la digitalizzazione di adempimenti e lo “scambio” di informazioni tra enti tramite il nascente SINP (Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro) che, allo stato, è solo un database condiviso tra enti con informazioni poco dettagliate.
Ad esempio i dati ricavabili dai registri infortuni dal passaggio al registro cartaceo tenuto in azienda e quello prodotto informaticamente dalle singole denunce d’infortunio sono minori e la “storia” infortunistica della singola azienda è meno leggibile.

I “NUOVI” SOGGETTI DELLA PREVENZIONE : I DATORI DI LAVORO IN CONCORRENZA TRA LORO ? I COMMITTENTI ?
Se i lavoratori quale entità organizzata e con una capacità vertenziale riguardante anche gli aspetti di sicurezza appaiono indeboliti (trasformati a tal punto da essere incapaci di riorganizzare rappresentanze e obiettivi) altri “soggetti” emergono.
La citazione dalla Bibbia posta all’inizio di questo testo rimanda agli attuali obblighi dei “committenti” (11). La sicurezza ha un costo economico come lo hanno i diritti dei lavoratori, le aziende che intendono occupare una parte del “mercato” formulano proposte allettanti, accollandosi il “rischio” alquanto ridotto di controlli, risparmiando con lavoratori in nero o precari e con ridotte o nulle misure di prevenzione/protezione dei lavoratori.
Il “committente” – che nel caso di lavori edili può essere qualunque cittadino “proprietario” di un immobile – è preparato e così sensibile da essere in grado di decidere, privilegiando la sicurezza ? Davanti a una azienda che gli offre un’opera a un prezzo estremamente e immotivatamente più basso rispetto ad un’altra chiederà il motivo di tale differenza ? O preferirà comunque e sempre il prezzo più basso (che nelle opere pubbliche è peraltro il primo passo verso la corruzione o lavori di qualità scadente oltre che insicuri) pensando che, comunque, non sono problemi suoi ma di altri, e che gli altri si devono arrangiare come lui si deve arrangiare e subire nel proprio luogo di lavoro ?
Oltre a questo nuovo soggetto “suo malgrado” coinvolto in scelte prevenzionali, oramai consueto è anche il fenomeno delle segnalazioni (di solito ben circonstanziate) da parte di imprenditori, in particolare nel campo edile. “Scottati” da qualche sopralluogo o da qualche contenzioso economico non esitano a segnalare concorrenti che stanno svolgendo lavori in modo non sicuro e chiedono un intervento dell’organo pubblico per ripristinare la loro “eguaglianza” di fronte alla norma.
Per non dire dei cittadini che, scocciati perché si sta costruendo un nuovo edificio vicino al proprio, pretendono un intervento immediato evidenziando problemi di sicurezza che non ci sono o quando i problemi sono di altro genere (contenziosi con il vicino, rumore durante l’attività lavorativa ecc) (12). Il cittadino si pone quale contribuente, e chiede un “servizio” all’ente che ritiene dovuto al di là di ogni considerazione sul pericolo reale che corrono i lavoratori , pensando solo al proprio disagio e rischiando di deviare le poche forze in controlli inutili.
Ovviamente il discorso qui accennato è paradossale, non sono questi i “nuovi soggetti
sociali” della prevenzione, ma anche queste brevi note mostrano l’estrema frammentazione e contraddittorietà della situazione.

NON CI SONO INTERVENTI SALVIFICI NE’ SCORCIATOIE
Per risollevarsi dalla condizione attuale degli operatori e dei lavoratori non vi è altra strada che mettere insieme queste solitudini per fare una nuova “comunanza”, affinchè questo incontro sia produttivo necessita un “ritorno al futuro” delle pratiche che hanno caratterizzato in particolare gli anni ’70. Significa da un lato mettere in discussione la “aziendalizzazione” delle ex USSL anche in questo comparto di intervento (rimettendo in evidenzia, concretamente, l’iniziale funzione della prima contenuta nell’acronimo : la parola “sociale” – Unità Socio-Sanitaria Locale) dall’altro riprendere l’iniziativa per il rispetto delle condizioni di lavoro e della dignità dei lavoratori contrastando efficacemente la deriva della precarietà che non sembra conoscere fondo (“vaucheristi” in una o nell’altra versione).
Peraltro va considerato che, nella maggior parte dei casi le figure di lavoratori con contratti “atipici” (le molteplici varianti contrattuali dalla Legge “Biagi” alle più recenti, ulteriori, estensioni) hanno formalmente (per legge) tutele in tema di sicurezza sul lavoro pressocchè identiche a quelle dei contratti a tempo indeterminato (“crescente” o meno). Non si pone, ad oggi, un problema di mancata “copertura” normativa; è lo status precario in sé che rende difficile e inficia (anche perché produce un disinteresse da parte del lavoratore per un luogo di lavoro che non viene sentito come “proprio” perché momentaneo) la possibile costruzione di una coscienza e di una
vertenzialità di base in tema di sicurezza. Una eccezione emersa sono le situazioni dove le condizioni di lavoro sono talmente “selvagge” da far mettere da parte i timori individuali (come nel caso delle logistiche ove la ribellione organizzata è arrivata dagli “ultimi della Terra”, gli extracomunitari, ricattabili “al quadrato” ma nello stesso tempo con ben poco da perdere).
Se torniamo al tema proprio di queste note, ovvero a quello dei servizi di prevenzione, la revisione della loro attività va indirizzata nel senso già indicato da Celestino Panizza (vedi il n. 227-230 della rivista): sistematicità dell’azione di vigilanza, recupero di competenze autonome e di capacità di analisi delle caratteristiche e dell’evoluzione del mondo produttivo.
Altrettanto fondamentale è la ripresa dell’iniziativa sui diritti dei lavoratori e sulle figure, anche territoriali (come il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale RLST), su cui tutte le forze sindacali dovrebbero spendersi per mettere a disposizione di tutti i lavoratori spalle forti e competenti per un contrasto delle condizioni di insicurezza che sono figlie della precarietà, e sulle quali non potrà mai essere significativo un intervento frammentato (prima un po’ di salario in più e poi diritti e sicurezza).
Se i servizi di prevenzione vengono considerati, anche dagli attori sociali, come uffici dediti alla “produzione” di sopralluoghi a cui non viene richiesta né una capacità ricettiva delle istanze dei lavoratori né la volontà di costruire un rapporto (che non sia solo l’accoglimento di istanze ed esposti) non si va molto lontano. E non ci si allontana dalla riva anche nel caso in cui gli operatori della prevenzione si preoccupano solo di “sfangarla” in qualche modo : “produrre” i numeri richiesti dalla direzione per mostrare “obiettivi raggiunti” cercando, nel contempo,
di non pestare troppo i calli alle aziende (che hanno certamente modi, tempi e denaro per reagire e isolare i “facinorosi” che nonostante la “grazia” di un lavoro nel pubblico impiego sono troppo dediti all’applicazione delle norme).
Appunto, due solitudini diverse, riconosciute come tali, possono trovare modo di parlarsi e superare i reciproci limiti, d’altronde non è che negli anni ’70 fossero tutte rose e fiori (anzi, tutto “pane e rose”).

NOTE
1. Si tratta di una “procedura”, per gli uffici del Ministero del Lavoro, definita con una
crimine Thyssen) il divieto è assoluto (“Il personale delle pubbliche amministrazioni, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di consulenza.”).
direttiva del 18.09.2008 che, fra l’altro, recita 3. Art. 9 della Legge 300/1970 : “ I lavoratori,
“Particolarmente delicata, proprio in ragione di una attenta e coerente programmazione della attività ispettiva, è la valutazione delle richieste di intervento provenienti da uno o più lavoratori ovvero da una organizzazione sindacale nei confronti di una specifica realtà aziendale. In merito, anche al fine di evitare
mediante loro rappresentanze, hanno diritto
di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.”
una strumentalizzazione del ruolo 4. Il Dlgs 758/94 ha “caricato” i tecnici non solo
dell’ispettore, si ritiene di non dover dare seguito a richieste anonime, presentate a mezzo posta, e-mail, fax o telefono. Di regola, e fatte salve alcune limitate eccezioni in cui emerga con palese e incontrovertibile evidenza la particolare gravità e attendibilità dei fatti denunciati, anche quando circostanziata o dettagliata, la denuncia anonima non può e non deve essere presa in considerazione per la programmazione di interventi ispettivi perchè contraria ai principi di correttezza e trasparenza della azione della amministrazione pubblica. Da
del compito della verifica delle violazioni e
della segnalazione (notizia di reato) all’autorità giudiziaria ma anche quello della emanazione di prescrizioni tecniche per eliminare le violazioni, la loro verifica e la erogazione di sanzioni amministrative che, in assenza di evento infortunistico, permettono al contravventore di non subire un procedimento giudiziario. In pratica i tecnici devono svolgere attività prima completamente a carico delle Procure oltrechè “difendersi” nelle aule giudiziarie per ogni decisione presa.
sempre il carico di richieste di intervento e di 5. Spesso impropriamente definito, anche nei
denunce pervenute alle Direzioni provinciali del lavoro, spesso strumentali o infondate, rappresenta del resto un freno alla più
documenti di valutazione dei rischi, quale
“Responsabile dei lavoratori per la sicurezza” … le parole sono importanti.
efficace vigilanza di iniziativa e un vero e 6. Il geometra o il perito chimico hanno dovuto
proprio ostacolo alla attuazione di una efficiente programmazione della attività ispettiva in materia di lavoro, specie in talune realtà territoriali segnate da una forte incidenza quantitativa, in termini di densità di insediamenti produttivi.”
2. Il Dlgs 626/94 vietava, al personale di vigilanza delle ASL e degli altri enti pubblici, esclusivamente nell’ambito del territorio di competenza, attività di consulenza. Solo con il Dlgs 81/2008 (modifica introdotta dopo il
autoformarsi per capire di meccanica, edilizia,
chimica e tutte le altre filiere produttivi e tecnologiche presenti sul territorio e, nello stesso tempo, “incasellare” le osservazioni nel dettato normativo per distinguere tra conformità e violazione. Tecnologi/tuttologi per necessità ma negli anni del movimento coinvolti in uno scambio informativo e in una spinta operaia che definiva gli obiettivi di salute che era anche sostegno alla attività del tecnico e costruiva conoscenza sui cicli e le
nocività indispensabili per chi interviene dall’esterno.
7. Nella pubblica amministrazione, da diversi anni, vige il criterio della “decimazione” : per dieci lavoratori che vanno in pensione ne viene assunto uno.
8. L’Ispettorato è stato definito con Dlgs 149/2015 “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” ed ha la seguente finalità principale : “esercita e
pressocchè invariato rispetto al 2015 e concentrato nel settore delle costruzioni (competenza residua rimasta in capo alle direzioni provinciali del lavoro in parallelo con le ASL).
11. committente: il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione. Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell’appalto (Dlgs 81/2008)
coordina su tutto il territorio nazionale, sulla 12. Con segnalazioni spesso improprie o
base di direttive emanate dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, contenenti anche specifiche linee di indirizzo per la vigilanza sul corretto utilizzo delle prestazioni di lavoro accessorio, la vigilanza in materia di lavoro, contribuzione e assicurazione obbligatoria nonche’ legislazione sociale, ivi compresa la vigilanza in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nei limiti delle competenze gia’ attribuite al personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e gli accertamenti in materia di riconoscimento del diritto a prestazioni per infortuni su lavoro e malattie professionali, della esposizione al rischio nelle malattie professionali, delle caratteristiche dei vari cicli produttivi ai fini della applicazione della tariffa dei premi;”
9. Marco Patucchi “Ispettorato Unico, falsa partenza, lotta al sommerso senza risorse”, La Repubblica 10.02.2017.
10. E’ quanto emerge dalla lettura del primo “Rapporto annuale dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale”, anno 2016, disponibile su www.ispettorato.gov.it. Si tratta di 30.251 violazioni riscontrate, nel 2016, in 25.834 aziende sottoposte ad indagine, un valore
impostate in modo “rivendicativo”, come il
colloquio telefonico (reale) che segue:
– (A) Pronto, ASL ? Vorrei segnalare che nel cantiere vicino alla mia abitazione vi sono dei lavoratori sul tetto a piedi nudi.
(B) Lavorarono a piedi nudi ? Forse intende dire senza scarpe antiinfortunistiche.
(A) E che ne so, non riesco mica a vedere i piedi. (…)
(B) Intorno all’edificio in costruzione vi è un ponteggio ? Se esiste non è detto che l’attività in corso sia rischiosa. Qual è l’attività in corso ?
(C) Perché mi fa tutte queste domande ? Se non volete venire a verificare chiamo i Carabinieri e riferisco che vi siete rifiutati di uscire.
(Il sopralluogo è stato svolto, non vi erano i rischi segnalati, il vicino aveva in corso da tempo un contenzioso con l’impresa che operava in cantiere per i disagi – rumore, polveri – dovuti alle attività costruttive).

Marco Caldiroli

Tecnico della Prevenzione dell’Ambiente e nei Luoghi di Lavoro

Medicina Democratica Provincia di Varese  

Pubblicato sul numero di settembre del periodico cartaceo Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

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