La spending review non taglia gli sprechi ma trasforma enti locali e sanità
Alcuni anni fa, un uomo del Fondo Monetario Internazionale venne nominato a capo della revisione di spesa nella Pubblica amministrazione. Su quella esperienza , Cottarelli è il suo nome, ha scritto articoli e anche un libro ma ben presto abbandonò l’incarico perchè i tagli da lui indicati erano decisamente troppo anche per il Governo Renzi, o forse perchè nella furia dei tagli avrebbe toccato qualche settore inviolabile. Lungi da noi la esaltazione di Cottarelli, andiamo invece a guardare a cosa serva la revisione di spesa. Le manovre degli ultimi anni hanno imposto sacrifici a Comuni e Province pari a 12,2 miliardi, quasi la metà dei 25,1 miliardi di riduzione del deficit pubblico realizzata tra 2010 e 2015.
Veniamo da anni nei quali gli enti locali hanno subito tagli da parte dei finanziamenti statali e alla fine si è verificata l’ormai nota riduzione delle spese correnti con minore capacità di spesa e il tracrollo degli investimenti dei Comuni e delle Regioni.
Fatti due conti, la riduzione di spesa per gli enti locali ha avuto due risultati: minori investimenti nella manutenzione del territorio e dell’ambiente, aumento delle tasse locali , maggiore costo dei servizi e riduzione di personale.
Quasi l’80% dei tagli ha riguardato la spesa di personale, attraverso il blocco del turn over e il mancato rinnovo dei contratti protrattosi per quasi dieci anni, a cio’ bisogna aggiungere altre misure che hanno contenuto i costi della contrattazione decentrata con l’impossibilità delle progressioni orizzontali (una sorta di scatto nella propria categoria legato alla performance) e la non cumulabilità di alcune indennità oltre alla riduzione dell’ammontare complessivo del fondo da cui dipende il salario di secondo livello, la cosiddetta produttività. Ma i tagli agli enti locali e alle regioni hanno anche ripercussioni in altri ambiti, per esempio la riduzione della spesa sanitaria e sociale, le norme che costringono a trovare i soldi dal proprio Bilancio per pagare gli aumenti contrattuali.
Dai dati in nostro possesso possiamo asserire che gli enti locali e la sanità hanno pagato lo scotto maggiore , ossia la revisione di spesa non ha solo tagliato e bloccato i salari dei dipendenti pubblici ma si è accanita sui servizi al cittadino soprattutto quelli legati alle prestazioni socio sanitarie. Il discorso non puo’ ridursi ad una disputa tra ministeriali ed enti locali, del resto le linee guida per il rinnovo dei prossimi contratti sono uguali per tutti e dopo la riduzione da 11 a 4 comparti , nei quali è suddivisa la Pubblica amministrazione, ci saranno operazioni di armonizzazione salariale che si tradurranno in tagli.
La questione dirimente non è solo la restituzione di potere di acquisto ai dipendenti pubblici ma anche dotare sanità e enti locali di fondi sufficienti a erogare prestazioni e servizi che hanno subito forti tagli mettendo cosi’ a rischio il diritto alla salute, alla istruzione. La Ragioneria generale dello Stato lancia ora, tardivamente, l’allarme sui conti locali, tuttavia di ben altro dobbiamo essere preoccupati perchè le politiche di austerità hanno riguardato anche gli enti locali (forse non le spese di rappresentanza e i contratti a chiamata diretta per il mandato dei Sindaci) .
Da anni si sottraggono fondi alla sanità e al sociale per pagare interessi alle banche e abbattere gli interessi sul debito con interventi draconiani sugli acquisti di beni e servizi, sulle gare di appalto. In questo scenario non solo vengono ridotti gli appalti ma anche il numero degli addetti e la loro retribuzione (meno ore, minori contributi determinano salari da fame) .
La Ragioneria parla di tagli superiori al 16% per gli appalti di beni e servizi che poi vengono rivenduti come riduzioni di spesa. Questi tagli portano benefici agli enti locali?
Sicuramente assai meno del previsto mentre comportano il peggioramento delle condizioni di vita di molte lavoratrici che ormai sono alla soglia di povertà. Non sempre i nuovi appalti determinano minori spese, ci viene il sospetto che quel perverso meccanismo degli appalti determini sacrifici solo per la forza lavoro con la spesa per il committente locale invariata. Verrebbe da chiederci dove finiscano allora i soldi, per farlo ci sarebbe da spulciare i bilanci di centinaia di enti locali, delle regioni, delle aziende sanitarie. Di sicuro non tutti gli enti locali , tra il 2010 e 2015 , hanno ridotto la loro spesa, anzi hanno tagliato le spese sociali ma accresciute altre voci.
La revisione di spesa presentata come abbattimento degli sprechi nei ministeriali è servita per trasformare gli enti locali nei doganieri o per avviare le privatizzazioni delle aziende locali. I fondi a disposizione per combattare la marginalità sociale o gestire al meglio la manutenzione del territorio e dell’ambiente sono ridotti ai minimi termini, per questo serve una spending review al contrario, la revisione delle spese quali il pagamento del debito che assorbe ormai gran parte della ricchezza prodotta, la tassazione delle plusvalenze per indirizzare capitali al lavoro, al welfare e alla sanità. Sarebbe questa la sola e auspicabile spending.
Federico Giusti
3/11/2017 www.controlacrisi.org
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