La storia delle foibe

di Predrag Matvejević, Novi List, 12 febbraio 2005 Titolo originale: “Foibe” su fašistički izum –

Queste righe sono state scritte nel Giorno del ricordo in Italia, 10 febbraio 2005 – quel dispiacere lo condivido con molti cittadini di questo Paese. I crimini delle fosse e quelli che in esse vi sono finiti, ciò che le ha precedute e che le ha seguite, l’ho condannato da tempo – mentre vivevo in Jugoslavia, quando di ciò in Italia si parlava raramente e non abbastanza. Ho scritto pure sui crimini di Goli Otok, di cui sono state vittime molti comunisti, Jugoslavi e Italiani che erano più vicini a Stalin e Togliatti che al “revisionismo” di Tito. Ho parlato anche della sofferenza degli esiliati italiani dall’Istria e dalla Dalmazia, dopo la Seconda Guerra mondiale – l’ho fatto in Jugoslavia, dove probabilmente era più difficile che in Italia. Non so di preciso quanti scrittori italiani ho presentato, che allora erano costretti ad andare via e quelli che sono rimasti: Marisa Madieri, Anna Maria Mori, Nelida Dilani, Diego Zandel, Claudio Ugussi, Giacomo Scotti, ecc. Non ricordo quanti articoli ho pubblicato sulla stampa delle minoranza italiana, poco conosciuta in Italia, così da poterla appoggiare, desiderando che fosse meno sola e meno esposta – e anche loro mi hanno appoggiato quando decisi di andarmene.

Le fosse, o le foibe come le chiamano gli Italiani, sono un crimine grave, e coloro che lo hanno commesso si meritano la più dura condanna. Ma bisogna dire sin da ora che a quel crimine ne sono preceduti degli altri, forse non minori. Se di ciò si tace, esiste il pericolo che si strumentalizzino e “il crimine e la condanna” e che vengano manipolati l’uno o l’altro. Ovviamente, nessun crimine può essere ridotto o giustificato con un altro. La terribile verità sulle foibe, su cui il poeta croato Ivan Goran Kovačić ha scritto uno dei poemi più commoventi del movimento antifascista europeo, ha la sua contestualità storica, che non dobbiamo trascurare se davvero desideriamo parlare della verità e se cerchiamo che quella verità confermi e nobiliti i nostri dispiaceri. Perché le falsificazioni e le omissioni umiliano e offendono.

La storia ingloriosa iniziò molto prima, non lontano dai luoghi in cui furono commessi i crimini. Prenderò qualcosa dai documenti che abbiamo a disposizione: il 20 settembre 1920 Mussolini tiene un discorso a Pola (non scelse a caso quella città). Annuncia: “Per la creazione del nostro sogno mediterraneo, è necessario che l’Adriatico (si intende tutto l’Adriatico, ndr.), che è il nostro golfo, sia in mano nostra; di fronte alla inferiorità della razza barbarica quale è quella slava”. Il razzismo così entra in scena, seguendo la “pulizia etnica” e il “trasferimento degli abitanti”. Le statistiche che abbiamo a disposizione fanno riferimento alla cifra approssimativa di 80.000 esuli Croati e Sloveni durante gli anni venti e trenta. Non sono riuscito a confermare quanti poveri siano stati portati dalla Calabria, e non so da dove altro, per poterli sostituire. Gli Slavi perdono il diritto, che avevano prima in Austria, di potersi avvalere della propria lingua sulla stampa e a scuola, il diritto al predicare in chiesa, e persino l’iscrizione sulla tomba. Le città e i villaggi cambiano nome. I cittadini e le famiglie pure. Lo Stato italiano estesosi dopo il 1918 non tenne in considerazione le minoranze e i loro diritti, cercò o di denazionalizzarli totalmente o di cacciarli. Proprio in questo contesto per la prima volta si sente la minaccia delle foibe. Il ministro fascista dei lavori pubblici Giuseppe Caboldi Gigli, che si attribuì l’appellativo vittorioso di “Giulio Italico”, scrive nel 1927: “La musa istriana ha chiamato con il nome di foibe quel luogo degno per la sepoltura di quelli che nella provincia dell’Istria danneggiano le caratteristiche nazionali (italiane) dell’Istria” (“Gerarchia”, IX, 1927). Lo zelante ministro aggiungerà a ciò anche dei versi di minacciose poesie, in dialetto: “A Pola xe arena, Foiba xe a Pizin” (“A Pola c’è l’arena, a Pazina le foibe”). Mutuo questo detto da Giacomo Scotti, scrittore italiano di Rijeka.

Le “foibe” sono, quindi, un’invenzione fascista. Dalla teoria si è passati velocemente alla prassi. Il quotidiano triestino “Il Piccolo” (5.XI.2001) riporta la testimonianza dell’ebreo Raffaello Camerini che era ai lavori forzati in Istria, alla vigilia della capitolazione dell’Italia, nel luglio 1943: la cosa peggiore che gli successe fu prendere gli antifascisti uccisi e buttarli nelle fosse istriane, per poi cospargere i loro corpi con la calce viva. La storia avrebbe poi aggiunto a ciò ulteriori dati. Uno dei peggiori criminali dei Balcani fu di sicuro il duce ustascia Ante Pavelić. Jasenovac fu un Auschwitz in piccolo, con la differenza che in esso si facevano lavori perlopiù “manualmente”, ciò che i nazisti fecero “industrialmente”. E le fosse, ovviamente, furono una parte di tale “strategia”. Mi chiedo se anche uno degli scolari italiani in uno dei suoi sussidiari poteva leggere che quello stesso Pavelić con le squadre dei suoi seguaci più criminali per anni godette dell’ospitalità di Mussolini a Lipari, dove ricevette aiuto e istruzioni dai già allenati “squadristi” fascisti.

Quelli che oggi parlano dei programmi scolastici in Italia e sul luogo delle foibe, non dovrebbero trascurare di includere anche questi dati. E anche altro vale la pena di ricordare: il governo di Mussolini aveva annesso la maggior parte della Slovenia insieme con Lubiana, la Dalmazia, il Montenegro, una parte della Bosnia Erzegovina, l’intera Bocca di Cattaro. A quel tempo, tra il 1941 e il 1943, di nuovo, furono cacciati dall’Istria circa 30.000 Slavi – Croati e Sloveni – e fu occupata la regione. Le “camicie nere” fasciste portarono a termine fucilazioni individuali e di massa. Fu falciata un’intera gioventù. I dati che provengono da fonti jugoslave fanno riferimento a circa 200.000 uccisi, particolarmente sulle coste e sulle isole. La cifra mi sembra che sia però ingrandita – ma anche se solo un quarto rispecchiasse la realtà, sarebbe già molto. In Dalmazia gli occupanti italiani catturarono e fucilarono Rade Končar, uno dei capi del movimento, il più stretto collaboratore di Tito. In determinate circostanze hanno pure aiutato il capo dei cetnici serbi in Dalmazia, il pope Ðuijić, che incendiò i villaggi croati e sgozzò gli abitanti, vendicandosi con gli ustascia per i massacri che avevano commesso contro i Serbi. Così da fuori prese impulso pure la guerra civile interna. A ciò occorre aggiungere l’intera catena dei campi di concentramento italiani, i più piccoli e i più grandi, dall’isoletta di Mamula nel profondo sud, davanti a Lopud nelle Elafiti, fino a Pago e Rab nel golfo del Quarnaro. Erano spesso stazioni di transito per la mortale risiera di San Sabba di Trieste, e in alcuni casi anche per Auschwitz o Dachau. I partigiani non furono protetti dalla Convenzione di Ginevra (in nessun luogo al mondo) così che i prigionieri furono subito fucilati come cani. Molti terminarono la guerra con gravi ferite, corporali e morali. Tali erano quelli in grado di commettere crimini come le foibe.

Non c’è nessun dato in nessun archivio, militare o civile, sulla direttiva che sarebbe giunta dall’Alto comando partigiano o da Tito: le unità di cui facevano parte molti di quelli che avevano perso i familiari, i fratelli, gli amici, commisero dei crimini “di propria mano”. Purtroppo, il fascismo ha lasciato dietro di sé talmente tanto male che le vendette furono drastiche non solo nei Balcani. Ricordiamoci del Friuli, nella parte confinante con l’Italia, dove non c’erano scontri tra nazionalità: i dati parlano di diecimila uccisi senza tribunale, alla fine della guerra. In Francia ce ne furono oltre 50.000. In Grecia non so quanti.

In Istria e a Kras dalle foibe sono stati esumati fino ad ora 570 corpi (lo storico triestino Galliano Fogar ne riporta persino un numero minore, notando che nelle fosse furono gettati anche alcuni soldati uccisi sui campi di battaglia, non solo Italiani). Oggi possiamo sentire la propaganda che su svariati media italiani fa riferimento a “decine di migliaia di infoibati”. Secondo lo storico italiano Diego de Castro nella regione furono uccisi circa 6.000 Italiani. Non serve aumentare o licitare quel tragico numero, come in questo momento sembrano fare i giornali italiani, con 30.000 o 50.000 uccisi. Bisogna rispettare le vittime, non gettare sulle loro ossa altri morti, come hanno fatto gli “infoibatori”.

Per ciò che riguarda invece i luoghi che tutti questi dati occupano nell’immaginario, non mi sembra che sia benvenuta la propaganda che come tale è diffusa dal film “Il cuore nel pozzo”, che in questi giorni è stato visto in televisione da circa 10 milioni di Italiani, pubblicizzato in un modo incredibilmente aggressivo. Nessuna testimonianza storica parla di una madre che i partigiani portano via dal figlio e poi la buttano nelle foibe! Questa è un’invenzione tendenziosa dello sceneggiatore. Il cinema italiano ha una eccellente tradizione nel neorealismo, una delle più significative di tutta la moderna cinematografia – non gli servono dei modelli simili al “realismo sociale”, dei film sovietici girati negli anni sessanta del secolo scorso. E nei preparativi, che in questi giorni sono stati organizzati, o nelle trasmissioni tv più guardate, sarebbe stato meglio se ci fosse stato qualche ministro che avesse, rispetto al fascismo, un diverso passato piuttosto che quelli che abbiamo visto in scena. Ciò sarebbe servito da modello e autenticità alle testimonianze.

La Jugoslavia non esiste più. Croati, serbi, sloveni e gli altri nazionalisti si compiacciono quando la destra italiana gli offre nuovi argomenti per accusare lo Stato che essi stessi hanno lacerato. (Ricordiamoci che il film è stato girato in Montenegro, nella Bocca di Cattaro, con un attore serbo che interpreta il ruolo del partigiano sloveno…) Così di nuovo si feriscono i popoli le cui cicatrici ancora non sono state medicate. È questo il modo migliore – in particolare se se allo stesso tempo si nasconde tanto quanto non corrisponde a verità? Perché, non c’è una qualche via migliore? Il dispiacere che condividiamo può essere reso in un modo più degno e nobile, la storia in modo meno mutilato e difettoso? Non è fino a ieri che vicino a Trieste passava la più aperta frontiera tra l’Oriente e l’Occidente, al tempo della guerra fredda e della grande prosperità della città di San Giusto? Gli Italiani e i Croati in Istria, in questi ultimi anni, non hanno forse trovato un linguaggio comune per opporsi al nazionalismo tudjmaniano molto più di quanto non sia stato fatto altrove in Croazia? E alla fine a chi serve questa strumentalizzazione di cui siamo testimoni?

Non siamo ingenui. Si tratta di una mobilitazione eccezionalmente riuscita del berlusconismo nello scontro con l’opposizione, con la sinistra e le sue relazioni col comunismo che, secondo le parole di Berlusconi, ha sempre e solo portato “miseria, morte e terrore”, e persino anche quando sacrificò 18 milioni di vittime di Russi nella lotta per la liberazione dell’Europa dal fascismo. Questa campagna meditata è iniziata 5-6 anni fa, al tempo in cui fu pubblicato “Il libro nero sul comunismo”, distribuito pubblicamente dal premier ai suoi accoliti. Essa è condotta, pubblicamente e dietro le quinte, abilmente e sistematicamente. Il suo vero scopo non è nemmeno quello di accusare e umiliare gli Slavi, ma danneggiare i propri rivali e diminuire le loro possibilità elettorali. Ma gli Slavi – in questo caso perlopiù Croati e Sloveni – ne stanno pagando il conto.

Esiste una sorta di “anticomunismo viscerale” che secondo le parole di un mio amico, il geniale dissidente polacco Adam Michnik, è peggio del peggiore comunismo. Il sottoscritto forse ne sa qualcosa di più: ha perso quasi l’intera famiglia paterna nel gulag di Stalin. Ma per questo non disprezza di meno i fascisti.

11/2/2023 http://www.rifondazione.it

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