La Turchia continua a bombardare e assediare senza sosta i curdi in Iraq
Gli attacchi aerei turchi contro i militanti curdi che si trovano nelle montagne dell’Iraq procedono senza sosta. Il ministero della Difesa di Ankara ha dichiarato che le sue forze hanno colpito «20 obiettivi» tra Asos, Gara, Hakurk, Metina, Qandil e Zap, sostenendo che si trattasse di «grotte, bunker, rifugi, depositi e installazioni» utilizzati dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Nel corso di queste aggressioni, sostiene l’esercito, sono stati uccisi «numerosi» militanti. La Turchia sta portando avanti da diverso tempo una vera e propria occupazione della regione del Kurdistan iracheno, con la costruzione di basi e infrastrutture per la permanenza militare del suo esercito.
Secondo la Difesa truca, sarebbero più di 1.800 i miliziani curdi uccisi dall’inizio dell’anno, dei quali 40 solamente nell’ultima settimana. In una dichiarazione scritta, il ministero della Difesa turco ha dichiarato che «continueremo la nostra lotta contro il terrorismo con operazioni proattive e ininterrotte per eliminare la minaccia alla fonte», aggiungendo poi che le forze armate «continuano la loro lotta ininterrotta contro tutti i tipi di minacce e pericoli, in particolare le organizzazioni terroristiche PKK/KCK/PYD-YPG, DAESH e FETÖ, compreso il nord dell’Iraq e la Siria».
Gli attacchi turchi nel Kurdistan iracheno, portati a termine via terra e via cielo, proseguono ininterrotti da svariate settimane. Posti di blocco, interrogatori ai cittadini per strada e sfollamento dei villaggi sono solamente alcune delle modalità violente tramite le quali Ankara sta gradualmente occupando porzioni sempre maggiori di territorio nel nord dell’Iraq, dove insistono i curdi. Le forze turche hanno dispiegato circa un migliaio di soldati, centinaia di carri armati e veicoli blindati, oltre ad aver costruito basi e installazioni militari, in quello che sembra a tutti gli effetti un tentativo di occupazione a lungo termine di questa porzione di Kurdistan. A denunciarlo, più volte, è stato il KCK, l’Unione delle Comunità del Kurdistan, organizzazione politica impegnata nella realizzazione del confederalismo democratico in Kurdistan. Essa comprende i quattro partiti politici dei Paesi da cui dovrebbe sorgere lo Stato curdo: il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK, Turchia), il Partito dell’Unione Democratica (PYD, Siria), il Partito per la Vita Libera in Kurdistan (PJAK, Iran) e il Partito della Soluzione Democratica del Kurdistan (PÇDK, Iraq). Il 26 giugno scorso, il KCK ha rilasciato una dichiarazione in merito alla presenza militare turca in corso nella regione del Kurdistan iracheno. L’organizzazione ha manifestato preoccupazione per la mancata risposta, da parte di Baghdad (capitale dell’Iraq) ed Erbin (capitale del Kurdistan iracheno), riguardo alle azioni della Turchia, descrivendola come una seria minaccia per il futuro delle comunità irachene. Il comitato per le relazioni estere del KCK ha avvertito che l’occupazione turca potrebbe diventare permanente e potenzialmente portare all’annessione.
D’altronde, sul finire di luglio, il governo iracheno guidato dal primo ministro Mohammed Shia Al-Sudani ha emesso una direttiva per le istituzioni statali affinché si riferiscano al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) come a una “organizzazione vietata”, che in buona sostanza riconoscere il gruppo come ostile, andando in parte a legittimare le azioni turche – il tutto nel tentativo di migliorare i legami con la Turchia. In ballo ci sono anche grandi accordi commerciali e infrastrutturali, come la nuova autostrada di 1.200 km che collegherà l’Iraq e la Turchia. I rispettivi ministri dei trasporti di Turchia, Iraq e anche degli Emirati Arabi Uniti e del Qatar, hanno avuti diversi colloqui sul progetto autostradale. La costruzione di una nuova autostrada che collegherebbe il porto di Bassora, in Iraq, con Mersin, nel sud della Turchia, fornirebbe un’importante rotta commerciale per la regione e creerebbe una via di trasporto terrestre che potrebbe potenzialmente rivaleggiare con il Canale di Suez in Egitto, collegando il Golfo Persico con il Mediterraneo.
Michele Manfrin
6/9/2024 https://www.lindipendente.online/
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