LA VIOLENZA DI BRANCO
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La cronaca, quando si tratta di donne, è troppo spesso tragica, anche quando non riguarda stupri, violenze, uccisioni. Il ruolo è troppo spesso quello di vittima: i femminicidi si susseguono a ritmo serrato, differenti nella forma, con una varietà da galleria degli orrori, nelle case, all’aperto, di giorno, di notte, inscenando finti suicidi, compiuti da giovani meno giovani, se ne parla e se ne scrive ovunque.
L’altro grande capitolo delle violenze sulle donne è quello degli stupri, spesso consumati ai danni di giovani donne in stato di ubriachezza o sotto l’effetto di stupefacenti, da singoli o branchi di compagni di serata, più o meno famosi, più o meno protetti. Le meraviglie della tecnologia hanno aggiunto a queste violenze, spesso filmate e diffuse, ulteriore violenza sulle vittime, giacché registrano e diffondono nel web quello che già lascia nelle persone una traccia indelebile.
Di pochi giorni fa, a Palermo lo stupro collettivo di una ragazza identificata dal branco, e non solo, come “ facile”. Le intercettazioni telefoniche degli accusati, dilaganti sui social, fanno ribrezzo, come le loro gesta, ed è facile ed anche naturale considerarli dei mostri. Però l’indignazione collettiva non basta. Sarebbe ora di occuparsi di quello che origina questi fatti, perché la “mostruosità “ è ovunque, a volte ancora in fase d‘incubazione, a volte nascosta sotto la curiosità che spinge a cercare di ottenere il video della violenza.
Esistono già studi di psicologia sociale che aiutano a comprendere come alcuni esseri umani possano compiere atti brutali su altri esseri umani. forse dovrebbero diventare materie di studio a scuola e oggetto di riflessione e discussione nelle famiglie. Forse bisognerebbe indossare finalmente delle lenti speciali che consentano di vedere quanto pericoloso e diffuso sia il fenomeno definito oggettivazione sessuale.
La distinzione della persona nel dualismo corpo / mente – natura cultura ha originato , nei secoli, diseguaglianze e rapporti di potere tipici del patriarcato. In particolare, la donna è sempre stata caratterizzata dalla dimensione corporea, biologica. Questo ha favorito e favorisce l’oggettivazione del corpo femminile, punto centrale della discriminazione femminile.
Percepire e/ o trattare una persona come “cosa” significa oggettivarla, considerarla alla stregua di uno strumento o, per dirla con Kant, trattarla come mezzo. Per Kant l’imperativo categorico prescrive di “agire in modo da trattare l’umanità, nella tua persona come in ogni altra sempre come fine e mai unicamente come mezzo”, per cui, tutti i processi che riducono una persona al suo corpo, a parti di esso, o al suo aspetto fisico dimenticando le caratteristiche altre come pensiero, sentimento, volontà, sono processi di oggettivazione. Dai più drammatici, come la riduzione di una donna a strumento e luogo di soddisfacimento sessuale di qualcuno o l’uccisione di una donna che si considera proprietà personale, ai meno cruenti (ma originati dalle stesso principio) usi pubblicitari, merceologici, nei video come sul buffet di un ristorante; è la riduzione di una donna al suo corpo che fa ritenere ad alcuni che sia legittimo rivolgere
complimenti per strada, dare pacche sul sedere ( oltre dieci secondi, chiaro, ) e via di seguito..
Esiste pure, in questa nostra cultura- non cultura una forte spinta all’auto oggettivazione che costringe molte donne a fare propri questi meccanismi, in alcuni casi rivendicandoli pure come libere scelte che però, guarda caso hanno sempre come obiettivo, rispondere agli standard culturali che ci sono imposti.
Le mostruosità, quindi sono di origine complessa,( tralasciamo tutto il capitolo delle discriminazioni sui luoghi di lavoro, la ripartizione dei ruoli all’interno delle famiglie ecc. ) e probabilmente non servirebbe a niente l’invocata castrazione chimica, o la reclusione a vita buttando via le chiavi, anche se la tentazione è fortissima. Finché ci sarà chi si chiede cosa ci faceva la ragazza in giro, perchè ha bevuto, e il solito bla bla non ci sarà speranza. Anche perchè come ben sappiamo, lo stupro , e le altre forme di violenza sessuale, minaccia ogni donna, di qualunque età, aspetto, condizione sociale, professione, abitudini.
Ogni giorno ha la sua pena, e quindi, poco dopo la notizia di Palermo arriva quella di un altro terribile abuso, stavolta consuetudine di un gruppo di giovani piccoli boss su due tredicenni in uno dei luoghi di sofferenza sociale del nostro paese. Bisogna manifestare, protestare. punire ma soprattutto è indispensabile scoprire, e sovvertire ogni discorso, pratica, comportamento che riduca una persona ad un corpo, il corpo ad un oggetto.
Una potente opera di rieducazione deve investire tutte e tutti nella speranza di far emergere l’umanità, educazione sessuale ma non solo, educazione a capire quali sono i reali bisogni di ciascuno, e come si possono soddisfare. Perché non si può credere che gli stupratori soprattutto giovani, possano continuare a guardarsi allo specchio per molto tempo.
Loretta Deluca
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