La vittoria di Biden
Qualcuno ha parlato di reazione neomaccartista (Carlo Formenti : il capitale vede rosso ed. Meltemi), certo che le elezioni presidenziali Americane hanno riservato numerose sorprese smentendo da subito i sondaggi che davano vincente, con largo margine di vantaggio, il candidato democratico.
Di politologi e opinionisti in giro ve ne sono fin troppi, meglio da parte nostra qualche riflessione utile a comprendere la situazione senza piegarsi alla vulgata ufficiale.
E’ evidente che la distopica analisi degli Usa con o senza Trump non si è dimostrata cosi’ azzeccata, il piu’ impresentabile (ed è tutto dire) candidato repubblicano alla presidenza ha ricevuto ampi consensi nella maggior parte degli Stati, confermando piu’ o o meno lo stesso sorprendente risultato di 4 anni fa.
Non sappiamo se Trump venga votato in silenzio e non senza vergogna, un po’ come accadeva in Italia con Berlusconi e soprattutto la Dc , sembrava che non avessero consensi maggioritari ma al momento delle elezioni risultavano sempre vincitori; è una lettura troppo semplicistica e moralistica perchè la Dc aveva ampi consensi popolari, settori sociali di riferimento, il consenso della Chiesa e dei poteri economici. E il consenso degli evangelici e di altre religioni ha giocato un ruolo dirimente nella campagna elettorale di Trump.
Esiste un ‘altra America rispetto a quella che ha attraversato le principali metropoli contro le violenze poliziesche rivendicando diritti civili e sociali, è l’America profonda, meno acculturata, conservatrice, religiosa o comunque sensibile alle parole d’ordine antiscientifiche e anti comuniste di Trump
Ci sembra francamente sbagliato pensare che l’errore di Biden sia stato quello di attaccare frontamente Trump, i politologi di casa nostra pensano che la sinistra abbia sbagliato a demonizzare la Dc prima e Berlusconi poi.
Il vero problema è che si attacca con ferocia un avversario impersonficandolo in un simbolo proprio quando il nostro radicamento sociale è ridotto ai minimi termini, quando l’egemonia nel senso gramsciano del termine è un lontano ricordo. E l’egemonia non è un insieme di chiacchere da solotto ma una prassi politica, sociale e culturale complessa e articolata, non improvvisabile al momento elettorale.
Prendiamo il voto nei quartieri popolari italiani, alle ultime elezioni il centro sinistra la recuperato molti punti ma restano le percentuali a premiare la destra che invece esce nettamente sconfitta nei quartieri ZTl dove il reddito medio e il tasso di istruzione è decisamente piu’ alto. 40 o 50 anni fa quei quartieri erano a stragrande maggioranza rossa, eccetto quelli dove imperversava la malavita organizzata che deviava i consensi verso i potenti di turno. La distanza dei candidati del centro sinistra dai quartieri popolari, la scomparsa della sinistra radicale dovrebbero indurre a un cambio di rotta che non ci sarà in Italia come non avverrà negli Usa.
Se allora Trump gode di consensi nella profonda america popolare, se riesce a guadagnare molti voti tra gli ispanici e raccatta simpatie ancora tra la classe operaia, non sarà il caso di porci qualche domanda?
La campagna elettorale presindenziale è un enorme circo mediatico che attira business, il sistema di voto non è democratico nel senso letterale del termine, 4 anni fa la Clinton prese due milioni e mezzo di voti in piu’ di Trump ma non fu sufficiente per salire alla Casa Bianca. Del sistema elettorale Usa nessuno parla in una epoca dove la governance e la governabilità hanno il sopravvento sulla democrazia che in teoria dovrebbe rappresentare i parlamenti in base ai voti riportati , una concezione proporzionale lontana anni luce dal presidenzialismo e dal maggioritario che ormai imperversano nel paesi a capitalismo avanzato.
Nel campo democratico è quasi scomparsa la sinistra di Sanders ritiratosi dalle primarie democratiche per rafforzare la candidatura di Biden, quella parte che in Italia era salutata come la vera novità nell’arco di pochi mesi è uscita di scena e non è detto che parte dei suoi sostenitori si sia impegnata fino in fondo nella campagna elettorale delusa dal loro leader e dalla supina accettazione di regole del gioco che si volevano cambiare e invece sono rimaste inalterate.
L’avvento di Trump ha profondamente mutato gli equilibri anche in campo repubblicano e cosi’ alcuni esponenti di punta del partito non hanno fatto mistero di preferire Biden, cio’ nonostante la base elettorale è rimasta inalterata.
Nel corso della campagna elettorale Biden ha fatto marcia indietro sulle tematiche ambientali timoroso di perdere voti, le critiche al modello di sviluppo Usa avanzate da Sanders sono uscite dagli argomenti della campagna elettorale. Sulla questione razziale sempre Biden ha argomentato poco e male le sue posizioni non senza una dose di paternalismo e ben lontano dall’analizzare le violenze poliziesche all’interno di una critica sistemica.
Se Trump ha perso le elezioni, il trumpismo non esce sconfitto in una elezione nella quale hanno votato il 67% degli aventi diritto, la percentuale piu’ alta negli ultimi 100 anni in un paese nel quale la partecipazione è sempre stata bassa, decisamente inferiore ai paesi capitalisti europei.
Non pensiamo, come la rivista Jacobin, che Trump sia solo il prodotto della crisi di rappresentanza negli Usa, rappresenta invece qualcosa di piu’ complesso e articolato, il risultato di decenni nei quali le politiche sociali sono state ridotte all’osso anche dai candidati democratici distruggendo la sanità pubblica e quei pochi spazi democratici esistenti.
Il voto a Biden è un voto contro Trump ma in assenza di politiche radicalmente diverse da quelle repubblicane, il consens al candidato democratico potrebbe, tra 4 anni , spostarsi sulla parte opposta. E a dettare le linee guida della politica è pur sempre il capitale Usa, è indubbio che esista un conflitto interno tra i fautori di vecchie politiche basate sullo sfruttamento delle risorse energetiche e un capitale a trazione ecologista, piu’ attento all’ambiente ma solo dentro una logica di sviluppo delle nuove tecnologie.
Dubitiamo fortemente che i democratici vogliano intervenire profondamente nel sistema delle disuguaglianze sociali, Angela Davis denunciava il fatto che in alcuni stati era perfino proibito il voto a chi aveva debiti come se la democrazia fosse vincolata al reddito e alle condizioni sociali
Il vero cambiamento delle politiche presidenziali non potrà eludere le questioni razziali, salariali, le tematiche di un welfare ridotto ai minimi termini, se facesse anche una minima parte di tutto cio’ forse potrebbe minare parte dei consensi sociali che hanno rafforzato il Trumpismo ma andrebbe in rotta di collisione con parte dei poteri forti che hanno sostenuto la campagna elettorale di Biden per un capitalismo rinnovato, attento alla formalità dei diritti civili ma avversario di quelli sociali, fautore della sanità privata e poco attento a quella pubblica.
La nostra sarà una lettura semplicistica ma ci pare la sola capace di leggere i fatti americani senza retorica e con un po’ di sano realismo.
Federico Giusti
8/11/2020 http://www.controlacrisi.org
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