L’abilismo e la sua diffusione in Italia
Cos’è l’abilismo e quanto è diffuso in Italia? È volta sostanzialmente a rispondere a queste due domande Nulla su di noi senza di noi. Una ricerca empirica sull’abilismo in Italia (Franco Angeli, 2022), opera collettiva realizzata da Rosa Bellacicco, Silvia Dell’Anna, Ester Micalizzi e Tania Parisi, liberamente e gratuitamente scaricabile a questo link. Tema centrale della pubblicazione è, appunto, l’abilismo, fenomeno di sistema oppressivo che penalizza le persone con disabilità e si concretizza in strutture, credenze, pregiudizi e atteggiamenti discriminatori nei loro confronti.
L’idea di svolgere un’indagine sull’abilismo è scaturita nell’àmbito del progetto di ricerca già in essere ESI-P (Towards a schoolwide framework for the Evaluation of the quality of School Inclusion: a Pilot project), finanziato dalla Libera Università di Bolzano e finalizzato alla costruzione di un modello di valutazione della qualità dell’inclusione scolastica.
Tra i diversi aspetti oggetto di indagine nel progetto, oltre alle strategie didattiche, al senso di autoefficacia degli insegnanti e al benessere degli alunni, vi era quello degli atteggiamenti, un tema di estrema rilevanza nella letteratura del settore, ma per la misurazione del quale non esisteva alcuno strumento di rilevazione specifico e con un’impostazione intersezionale, ossia che fosse in grado di mettere in relazione diverse dimensioni fondamentali per il contesto scolastico (nel caso specifico ne vennero individuate quattro, ovvero l’abilismo, il sessismo, il razzismo e il classismo). L’idea di crearlo è scaturita dal confronto tra Silvia Dell’Anna, ricercatrice della Libera Università di Bolzano e proponente del progetto ESI-P, Rosa Bellacicco e Tania Parisi, ricercatrici del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. Ad esse, sin da subito, si è unita anche Ester Micalizzi, dottoranda dell’Università di Genova, pure lei coinvolta nell’àmbito del progetto ESI-P.
L’abilismo, almeno qui in Italia, è meno studiato rispetto ad altri sistemi oppressivi, come il sessismo o il razzismo. Infatti, sebbene nel contesto italiano esista un’ampia letteratura che studia e documenta le discriminazioni subite dalle persone con disabilità, mancano studi specifici sugli atteggiamenti di coloro che pongono in essere tali discriminazioni. Partendo da queste premesse, la pubblicazione si popone di colmare questa lacuna, individuando una definizione condivisa dell’abilismo, descrivendo le forme che può assumere, indagandone le conseguenze sulla vita delle persone che lo subiscono, e misurando, attraverso una specifica ricerca, la sua diffusione in Italia.
Uno degli aspetti qualificanti del lavoro è dato dal fatto che, nel rispetto del principio del Nulla su di Noi senza di Noi, coniato dal movimento mondiale delle persone con disabilità, l’indagine è stata condotta con modalità partecipative e «ha coinvolto un gruppo di persone con disabilità esperte di abilismo per esperienza o per attività di studio e/o divulgazione. La loro partecipazione alla ricerca – si legge nell’Introduzione (pagina 11) – è stata fondamentale per mettere a punto una definizione condivisa di abilismo e per sviluppare uno strumento per rilevarlo». Infatti, mentre per fenomeni come, ad esempio, il sessismo, il classismo e il razzismo esistono già delle scale di misurazione utilizzate per condurre gli studi empirici, per l’abilismo non risultava ancora disponibile uno strumento specifico in lingua italiana.
Una volta sviluppata dal gruppo di ricerca, la scala è stata somministrata ad un campione rappresentativo di 1.500 italiani e italiane maggiorenni. Essendo il campione costruito con tecniche probabilistiche, le rilevazioni sulla diffusione dell’abilismo sono riferibili alla popolazione generale. A ciò si deve aggiungere che la ricerca è stata condotta anche in prospettiva intersezionale, ossia considerando che la compresenza nella medesima persona di differenti caratteristiche suscettibili di causare discriminazione – come, ad esempio, il genere, l’età, la razza, la classe sociale, l’abilità – espone la stessa a forme di discriminazione particolari, quali sono, appunto, le discriminazioni multiple e quelle intersezionali.
L’opera si articola in tre sezioni. La prima contiene gli elementi empirici e teorici utili a definire e circoscrivere l’ambito di studio. Tra gli elementi proposti vi è anche una riflessione sul concetto di abilità curata da Fabrizio Acanfora (scrittore, docente universitario e attivista che svolge attività di divulgazione scientifica sull’autismo), un compendio delle definizioni di abilismo presenti nella letteratura internazionale, e una ricognizione degli strumenti di rilevazione esistenti.
La seconda sezione è dedicata ad esporre le fasi e gli esiti della ricerca partecipativa condotta. Va segnalato che nell’àmbito della ricerca stessa, oltre alla scala di rilevazione, sono state prodotte anche due definizioni di abilismo, una sintetica e una più estesa ed articolata.
L’ultima sezione ospita i contributi delle/dei componenti del gruppo di lavoro sulle manifestazioni dell’abilismo in alcuni specifici àmbiti della loro quotidianità e in relazione alle loro esperienze concrete (il genere femminile, l’audismo, la vita indipendente, le barriere architettoniche e culturali, il turismo accessibile, il collocamento e la carriera, lo sport). Insomma, un lavoro molto ricco e denso di spunti di riflessione. In questa sede ne cogliamo solo qualcuno.
È certamente interessante conoscere e riflettere sulla definizione breve di abilismo: «L’abilismo è una forma di discriminazione che riguarda la disabilità intesa come il prodotto dell’interazione tra una società centrata sul concetto di normalità e alcune caratteristiche della persona. Si tratta di un insieme di atteggiamenti negativi e/o di comportamenti discriminatori che hanno come conseguenza la creazione, la perpetuazione o l’inasprimento di condizioni di svantaggio legate alla disabilità» (pagina 81, grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni).
Come si può notare, questa definizione utilizza come perno il concetto di normalità, che viene decostruito nella definizione estesa, e sottolinea la presenza di uno svantaggio che assume una valenza sistemica.
La predisposizione della scala di misurazione dell’abilismo ha costituito uno dei compiti centrali del gruppo di lavoro. Nella sua versione definitiva essa si compone di 22 affermazioni (item) rispetto alle quali le unità del campione erano chiamate ad attribuire un punteggio da 0 a 4, corrispondente al grado di accordo con ciascuna affermazione (si veda la tabella 4 a pagina 90). Tali item afferiscono alle seguenti dimensioni tematiche: non riconoscimento della disabilità e diritti/vantaggi ingiusti; lavoro; inspiration porn/visione tragica della disabilità; equità/accessibilità; sostituzione/infantilizzazione; relazioni (si veda la tabella 3 a pagina 89).
I dati raccolti sono tantissimi e tutti molto interessanti. Ad esempio, uno dei tratti che emerge con chiarezza è una rappresentazione ambivalente delle persone con disabilità (figura 1 a pagina 93). Il 72% del campione si dichiara in accordo con l’affermazione «le persone con disabilità che si sforzano di comportarsi come gli altri sono da ammirare», la qual cosa sottende una sostanziale svalutazione di queste persone ed esprime «un orientamento abilista – osservano le Autrici (pagina 93) – che incentiva una rappresentazione della disabilità come alterità deviante, da nascondere, rifiutare o ignorare, o da affrontare con un approccio caritatevole, proponendo soluzioni curative e correttive o relegando le esperienze di vita delle persone con disabilità in luoghi e àmbiti differenti dal resto della popolazione ai fini di tutela (propria o degli altri) e di controllo».
L’ambivalenzae la polarizzazione degli atteggiamenti tra pietismo ed eroico viene fuori in modo chiaro nel momento in cui più di un italiano su due (il 56%) esprime ammirazione dichiarandosi d’accordo con l’affermazione «le persone con disabilità sono un esempio per tutti», mentre quasi uno su tre (il 32%) sposa la visione tragica della disabilità espressa in quest’altra: «Avere un figlio con disabilità è la cosa peggiore che possa capitare a un genitore» (pagina 94).
Riflettendo in prospettiva interazionale, fa piacere constatare che la maggioranza del campione (il 49%) concordi con l’affermazione che «le donne con disabilità sono in grado di accudire i figli come le altre madri», ma, al contempo, non sfugge che tale affermazione non è condivisa dal 22% degli italiani (pagina 97).
Che l’identità sessuata delle persone con disabilità non sia sdoganata è dimostrato anche dalla circostanza che il 21% del campione concordi con l’affermazione «le persone con disabilità hanno più bisogno di affetto che di una vita sessuale» (pagina 96).
Un altro dato che colpisce è il fatto che il 39% degli italiani si dichiari d’accordo con l’affermazione «È un bene che i bambini con disabilità sensoriale (sordi o ciechi) abbiano scuole dedicate solo a loro per rispondere meglio ai loro bisogni» (pagina 99), accogliendo quindi un’impostazione segregante dei servizi scolastici, nonostante l’Italia si distingua nel panorama europeo e mondiale per avere eliminato già nel 1977 le scuole speciali. E che qualcosa nell’inclusione scolastica non stia funzionando lo dimostra anche quel 16% del campione che concorda con l’item «Avere un bambino autistico in classe rallenta il programma» (pagina 99).
Oltre a descrivere la diffusione degli atteggiamenti abilisti nelle diverse dimensioni, lo studio mostra anche come la propensione all’abilismo sia influenzata da alcuni fattori come il genere, l’età, il titolo di studio, e come avere avuto contatti reali con le persone con disabilità riduca in modo statisticamente rilevante l’inclinazione ad assumere comportamenti abilisti.
Per correttezza segnalo che chi scrive è stata una dei panelisti coinvolti dalle Autrici nel lavoro di ricerca, e dunque una delle voci presenti nella terza sezione. Non ritengo corretto, pertanto, entrare nel merito del mio apporto, però, avendo letto gli elaborati degli altri Autori e delle altre Autrici, trovo che anche questa parte del testo sia interessante, perché i panelisti si sono mossi sul quel crinale che si viene a creare tra personale e politico. Una linea immaginaria che consente di attingere alle proprie esperienze, ma, al contempo, di elevare lo sguardo per contribuire a teorizzare e costruire ambienti e relazioni in cui ciascuno e caratteristiche e qualunque cosa decida di essere.
Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo è già apparso. Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
13/6/2022 http://www.superando.it
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