L’accoglienza dopo Salvini: pecunia non olet
Nella località di Fernetti, all’interno del comune sparso di Monrupino, in provincia di Trieste, a poca distanza dal confine con la Slovenia, c’è la sede di Casa Malala, una struttura di prima accoglienza per i richiedenti asilo che arrivano dalla rotta balcanica. Nonostante negli anni la struttura sia stata gestita attraverso i fondi dell’accoglienza straordinaria predisposti dalla prefettura di Trieste, il modello di accoglienza seguito è stato quello ordinario dei comuni dell’ex Sprar, che prevede, tra le altre cose, l’accoglienza diffusa in piccoli appartamenti.
Così, il Consorzio italiano di solidarietà – Ics – che la gestisce insieme alla Caritas, ha dato vita a un modello di accoglienza diffusa che comprende 150 appartamenti dislocati su tutto il territorio triestino, i quali rappresentano oggi uno dei fiori all’occhiello della buona accoglienza italiana. Ora tutto ciò però è a rischio. Insieme ai posti di lavoro di centinaia di operatori qualificati. Insegnanti di lingua, operatori legali, assistenti sociali. Ad avvertire di questo pericolo, è stato un verbale di gara della stessa prefettura triestina che aveva aperto la procedura per 95 posti ulteriori in località Fernetti, con l’offerta della prima classificata che era stata considerata «anomala dal punto di vista tecnico e da quello economico». Si tratta di Ors Italia, che dal luglio scorso è iscritta alla Camera di Commercio di Roma, e che è una costola della società multinazionale svizzera Ors, in cui ritroviamo, tra i consulenti, anche politici, come l’ex ministro elvetico della Giustizia, della Polizia e delle Migrazioni, Ruth Metzler-Arnold e l’ex vice-cancelliere austriaco Michael Spindelegger. Soprattutto, il gruppo svizzero è da tempo nel mirino di Ong e giornali indipendenti, in Austria, Germania, Svizzera, tanto che esiste ormai una ampia letteratura che ha rilevato svariate ombre sulla gestione dei centri di prima accoglienza da parte di Ors.
In particolare, sulla gestione di quello di Traiskirchen, in Austria, esistono due dettagliati rapporti di Amnesty International e di Medici Senza Frontiere che documentarono nel 2015 profili inquietanti rispetto alle modalità repressive dei centri di accoglienza dove, secondo i documenti delle Ong, gli ospiti sarebbero stati maltrattati e gli operatori, costantemente minacciati, sarebbero stati messi nelle condizioni di non avere contatti con l’esterno. La stessa cosa sarebbe accaduta – secondo quanto ha rivelato l’Associazione “Droit de Rester” – nel centro di accoglienza gestito da Ors a Friburgo, in Svizzera. Scandali, questi, che hanno avuto l’effetto di far diminuire, in alcuni casi addirittura di far cessare, le attività della multinazionale. Facendo accendere i riflettori su Ors. Come aveva fatto tempo fa il deputato del partito ecologista svizzero, Glättli Balthasar, il quale in una interpellanza al locale Dipartimento di giustizia e polizia (Dfgp) aveva chiesto una maggiore trasparenza per quanto riguardava l’impiego dei soldi dei contribuenti elvetici da destinare all’asilo, e, tra le altre cose, di riferire i criteri determinanti in base ai quali per gli anni precedenti, fino al 2012, l’azienda Ors si era aggiudicata, senza gara, la gestione di un centro per l’accoglienza, ricevendo come risposta dal Consiglio federale che: «conformemente alle disposizioni legali applicabili, le prestazioni di assistenza sono acquisite in regime di concorrenza. E che non sono previsti sussidi, quindi, le modalità evocate dall’autore dell’interpellanza non entrano in linea di conto».
Tornando all’Italia e alla penetrazione di Ors, chi invece attende dallo scorso 17 gennaio una risposta alla sua interrogazione – da parte della Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese – è il deputato Erasmo Palazzotto. Il parlamentare di Sinistra Italiana ha chiesto lumi sulle modalità di penetrazione nel “mercato” italiano dei centri di accoglienza, per la partecipazione a bandi di gara per «l’alloggiamento, l’assistenza, la consulenza sociale per profughi e richiedenti asilo» della costola della multinazionale svizzera, Ors Italia s.r.l, che, «stante l’ultima visura camerale disponibile, risulta inattiva».
Ha chiesto Palazzotto: «come sia possibile, per una società a responsabilità limitata sostanzialmente inattiva, superare i requisiti di concreta esperienza ed essere ritenuta idonea alla gestione di grandi centri di accoglienza». E ancora, rivolgendosi alla Ministra dell’Interno: «quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di vigilare sui rischi derivanti dalla possibilità che società come la Ors, già oggetto di inchieste e indagini per la cattiva gestione dei centri di accoglienza e di detenzione all’estero, possano gestire importanti centri nel nostro Paese». Non soltanto a Trieste.
Il timore del deputato è in riferimento al fatto che «dal 20 gennaio Ors Italia s.r. l. gestirà in un ex carcere, il Centro per i rimpatri (Cpr) di Macomer». A Nuoro, dove la locale prefettura aveva stipulato già nel novembre del 2019 il contratto di servizio con la società in questione senza aver acquisito l’obbligatoria informativa antimafia, richiesta da sei mesi, «attesa l’urgenza di attivare il servizio di gestione del CPR». E con la Corte dei Conti regionale, che poi ne aveva rinviato l’apertura per ulteriori accertamenti. Fino allo scorso 20 gennaio, quando il Cpr è stato effettivamente aperto, spalancando, di fatto, le porte alla costola della multinazionale elvetica Ors nel business dell’accoglienza italiana.
Salvo ulteriori accertamenti della prefettura triestina, inoltre, Ors Italia ora penetrerà ulteriormente nel mercato italiano, puntando, dunque, a stravolgere l’impianto attuale della consolidata esperienza locale di accoglienza diffusa. Qui, a leggere il capitolato di gara, l’azienda in questione non avrebbe potuto nemmeno parteciparvi, se è vero che sono previsti i requisiti esperienziali di almeno tre anni. È fuor di dubbio, a questo punto, che Ors Italia s.r.l si sia servita dell’istituto giuridico previsto dal codice degli appalti del così detto “avvalimento”, in base al quale una ditta carente di requisiti (anche sotto il profilo dei requisiti professionali) può avvalersi della “garanzia” di un altro soggetto economico che li abbia. Che, in questo caso, potrebbe essere stata concessa dalla stessa “casa madre svizzera”.
Sia come sia, e questo persino al di là del fatto che una società come Ors Italia s.r.l. possa aggiudicarsi definitivamente la gara di appalto di Casa Malala, che ci sia una tendenza all’ulteriore immissione nel settore dell’accoglienza ai rifugiati e richiedenti asilo di società dall’oggetto – diciamo così – molto ampio, e quindi poco legato ai servizi di tutela socio-legale da offrire, questo è confermato dal profilo della società che è risultata seconda classificata nella stessa gara di Casa Malala.
La VersoProbo società cooperativa sociale, infatti, è presentata come la coop accogliente, ma ricerca un operatore notturno da impegnare nel centro di via Corelli a Milano che sia specializzato in tecniche di combattimento. Non solo. A leggere le carte della Camera di Commercio di Biella e Novara alla quale la coop è iscritta, il dubbio che ne emerge è se per caso la gestione di servizi di asilo nido e assistenza di minori disabili in provincia di Alessandria, Genova, Novara, la gestione di stabilimenti balneari in provincia di Lecce, di stabilimenti lacustri e fluviali in provincia di Como e Savona, attività di bar ed esercizi simili in Piemonte, siano in qualche modo un ulteriore requisito esperienziale per l’accoglienza ai profughi; settore in cui la stessa società ammette di essere impegnata, con appalti pubblici vinti in diverse parti d’Italia. Piuttosto, ci si chiede: non siamo di fronte allo snaturamento dell’accoglienza e della tutela dei richiedenti asilo, alla sconfitta della piccola cooperazione sociale, a tutto vantaggio dei big di ogni settore economico. È la realizzazione concreta di quella che una fetta della classe dirigente del Movimento Cinque Stelle definiva il business dell’accoglienza. È un programma di trasformazione dell’accoglienza che sta realizzando, oggi, quella stessa classe politica che siede sui banchi di governo, tassello dopo tassello.
Gaetano De Monte
3/2/2020 www.dinamopress.it
Foto di copertina di Gaia Di Gioacchino
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