L’Ambientalismo e le elezioni amministrative
Il tema ambientale è molto di moda. Se ne parla in tutte le trasmissioni televisive e i tutti gli altri media. Talvolta in maniera più approfondita e sulla base di dati scientifici chiari e precisi, talvolta in maniera superficiale e imprecisa. Molto spesso con richiami alla necessità di un impegno individuale per modificare comportamenti dannosi, raramente o quasi mai, con l’indicazione precisa delle responsabilità dei governi locali, nazionali e, soprattutto, internazionali, legati alla accettazione cieca di un modello economico ultra liberista dove tutti sono asserviti ad una sorta di feticcio che chiamiamo mercato.
L’ambientalismo ormai è molto di moda anche nelle forze politiche e nei principali esponenti dei partiti.
Nelle prossime elezioni amministrative il numero di liste che si definiscono “VERDI”, “ECOLOGISTE” o “AMBIENTALISTE”, sia di destra, che di sinistra, è davvero rilevante! Tutto ciò vale naturalmente anche per i candidati Sindaco, sia per quelli che lo hanno già fatto, sia per quelli che aspirano a farlo.
Alcuni di questi, oltre a professare pubblicamente la loro fede “ambientalista” (Sala ha addirittura detto che si vuole iscrivere a verdi europei), hanno anche attuato, chi solo negli ultimi mesi, chi da più tempo, degli interventi che si vogliono connotare come “ambientali”. Alcuni più strutturali, altri classificabili solo come come “maquillage”.
Tra quelli più di carattere strutturali potremmo osservare che nelle città più grandi sono state realizzate un numero più o meno significativo (in termini di chilometri) di piste ciclabili, con alcune importanti differenze. In alcuni casi (es. Milano), già da diversi anni, con una decente pianificazione urbanistica che ne dà un senso, in altri (es. Roma), solo nell’ultimo anno, e con scarsa o nulla pianificazione. Nelle principali città sono stati attuati meccanismi per penalizzare il traffico privato (soprattutto parcheggi a pagamento), e sono state realizzate alcune zone a traffico limitato o isole pedonali. Tutti interventi, che potrebbero essere giudicati, in sé, positivi, dovrebbero essere valutati, per darne un giudizio serio, con una logica di insieme, legata agli effetti prodotti in particolare in relazione alla qualità della vita di tutti gli abitanti.
Infatti, una città, soprattutto se si tratta di una grande città, deve essere valutata per la qualità del vivere che offre a tutti i sui cittadini, non solo a quelli che vivono nel centro e nelle aree VIP, ma anche a quelli che vivono nelle periferie più o meno degradate o anche ai cittadini che ci vivono solo di giorno quando ci si recano per lavorare, altrimenti accettiamo che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B. Peraltro bisogna ricordarsi che quando si parla di temi ambientali, come ad esempio dell’inquinamento atmosferico, non ci sono confini territoriali, quanto su larga scala, tanto su scala più locale. Serve a poco (se non all’estetica) avere un quartiere con meno traffico, se tutt’intorno c’è il disastro. Il tema della mobilità si affronta, non solo con qualche pista ciclabile in più, ma con un trasporto pubblico efficiente e, possibilmente, gratuito. Una impostazione di questo tipo, oltre che essere più giusta nei confronti dei cittadini meno ricchi che, per recarsi al lavoro sono costretti, per l’inefficienza o il costo del servizio pubblico, a servirsi del mezzo privato, è anche più economica ed efficiente. Infatti, come emerso anche da alcuni studi di settore, un servizio di trasporto gratuito (o quasi), unitamente ad altri interventi (come le piste ciclabili, una migliore regolamentazione del traffico privato, e una organizzazione degli orari), siccome aumenterebbe di molto l’efficienza del servizio, sarebbe economicamente conveniente per le casse pubbliche, e tutto ciò senza considerare i costi evitati per riparare ai danni delle cosiddette esternalità ambientali.
Cosa abbiamo visto in questi ultimi anni anche nelle città meglio organizzate?
Oltre a una gestione urbanistica ancora legata alla speculazione edilizia che comporta l’espulsione dalla città dei ceti più deboli, e il generale peggioramento della situazione abitativa, si osserva un aumento del costo dei trasporti pubblici assolutamente non compensato da miglioramento dell’efficienza del servizio. Infatti oltre all’aumento del biglietto in diverse città (a Milano si è passati da 1,5€ a 2 €), si è assistito nel corso degli anni a un rialzo delle tariffe agevolate e degli abbonamenti.
Per quanto riguarda gli interventi di maquillage un esempio tipico, sventolato nelle comunicazioni dei sindaci “ambientalisti” e indicati anche come buoni esempi da molte formazioni ecologiste, sono alcuni interventi di manutenzione di aree verdi, la piantumazione di un po’ di alberi, e magari la realizzazione di “boschi verticali” (importanti interventi di nuova edilizia di lusso da oltre 8000-10000€ al metro quadrato!). In proposito, pur con tutto il plauso per la realizzazione di nuovo verde, bisognerebbe verificare quanto sia greenwashing, o quanto parte di una visione di lungo respiro. In proposito basterebbe verificare quante delle grandi città italiane si siano dotate non solo di strumenti quali il “Piano del verde” e il “Regolamento del verde pubblico” (previsti da leggi nazionali), ma anche di strumenti operativi come un vero e proprio un “Piano di manutenzione e gestione del verde” che permetta, anche attraverso la realizzazione di censimenti delle alberature e del loro stato, una adeguata gestione e valorizzazione del verde urbano. Ad esempio, in una città come Roma che, nonostante la speculazione edilizia, possiede ancora uno dei più grandi patrimoni di aree verdi del mondo, la ripartizione “parchi e giardini” del Comune (un tempo molto forte e professionalizzata) è stata fortemente depotenziata, la quasi totalità delle attività di manutenzione è data all’esterno, quasi sempre con piccoli affidamenti diretti e spesso a ditte non specializzate, senza che tutto ciò risponda a una qualsiasi logica di gestione e valorizzazione di lungo termine. Il risultato sotto gli occhi di tutti, vi sono milioni di alberi senza manutenzione che, quanto meno andrebbero potati, molte migliaia di alberi che andrebbero abbattuti e sostituiti, aree verdi mal tenute, spesso piene di rifiuti non raccolti.
Insomma, spesso questa retorica ambientalista, assomiglia a una operazione di greenwashing.
L’ambientalismo vero deve partire dalla considerazione che ciò che si fa deve riguardare tutti i cittadini e non solo i più ricchi e deve, incidere sulle questioni strutturali che generano i problemi: il modello di commercio (es. i grandi centri commerciali), il modello di logistica delle merci, la qualità del trasporto pubblico e soprattutto la qualità degli edifici e dell’abitare. Non si può considerare ambientalista chi acconsente o, addirittura, plaude ai grandi interventi speculativi di edilizia commerciale residenziale privata come ad esempio il progetto “Campo Urbano” a Roma su siti ferroviari (vedi l’articolo di Sergio Brenna) o interventi milanesi, sia quelli simili già approvati su aree FS, sia a quelli citati dei “boschi verticali”, e non si impegna per un grande intervento di recupero e ristrutturazione dell’edilizia pubblica per affrontare seriamente il problema abitativo nelle grandi città. A questo proposito sarebbe utile fare propria l’esperienza del recente referendum che è passato a Berlino, che ha previsto la riappropriazione del patrimonio edilizio da parte del pubblico. Non si può considerare ambientalista chi considera l’acqua una merce per far fare profitti a qualcuno.
Per questi motivi corre l’obbligo porre una domanda a tutte quelle formazioni di sinistra che oggi, con varie qualificazioni, “coraggiosi” o “ecologisti”, magari con la scusa (spesso inconsistente) di “fermare le destre”, si presentano a sostegno di improbabili sindaci ambientalisti. Davvero pensate di condizionare dall’interno chi, in questi anni, ha fatto del liberismo la propria bandiera, chi si è fatto promotore “dell’autonomia differenziata”, chi, oggi a fianco della peggiore Confindustria, omaggia Draghi salvatore della Patria?
Bisogna capire che non ci sono molti modi per vincere la scommessa contro la crisi ambientale. C’è ne è uno solo: lottare per avviare una transizione a un diverso modello economico e sociale che coniughi giustizia sociale e giustizia ambientale. Altri modi non esistono. Certo un modello capitalistico meno irrazionale, che capisce che si possono fare profitti anche vestendosi di verde, più spostare il problema più avanti nel tempo, o, piuttosto, spostarne gli effetti più gravi da altre parti nel mondo e sui più poveri. Questo è ciò che oggi, forse, cercheranno di fare col PNRR: forse un capitalismo meno straccione, che non nega la crisi ambientale, ma che ne utilizza le emozioni e le paure per ristrutturarsi e continuare con lo stesso modello economico, che provoca danni al pianeta e enormi disparità e ingiustizie sociali.
Concludendo con una battuta/provocazione, tanto varrebbe sostenere direttamente Bill Gates o Elon Musk, che hanno i mezzi per fare il capitalismo ambientalista, piuttosto che i liberisti di casa nostra.
Riccardo Rifici
29/9/2021 https://transform-italia.it
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