L’AMPLIAMENTO DEI BRICS ULTERIORE PASSO IN AVANTI NELLA RIDEFINIZIONE DEGLI ASSETTI INTERNAZIONALI – PARTE IV
Foto: La riunione dei Brics a Mosca
Brics+: l’ampliamento alla prova della compattezza geopolitica
L’acronimo Bric, come esposto nel primo saggio della presente serie, venne ideato nel 2001 dall’economista inglese Jim O’Neal, chief economist della banca d’investimenti Goldman Saschs, per indicare le potenze emergenti che, per caratteristiche simili, avrebbero molto probabilmente dominato lo scenario economico mondiale nel corso del XXI secolo, consigliando altresì al governo di Washington di cercare di inglobare tali paesi nella governance internazionale, fino a quel momento di esclusivo appannaggio statunitense. In pratica O’Neal suggeriva all’amministrazione Bush Jr di cercare di coinvolgerle nella definizione del sistema di regole economiche e finanziarie internazionali al fine di evitare fratture e contrapposizioni nello scenario globale e continuare, seppur in forma mediata, ad esercitare la propria leadership globale.
Lo scontro globale in atto
Da allora è trascorso oltre un ventennio durante il quale gli sviluppi, soprattutto a causa della strategia statunitense tesa a procrastinare sine die il proprio dominio unipolare, hanno intrapreso tutt’altra direzione sino ad arrivare alla situazione attuale di scontro aperto fra l’Occidente globale e le potenze emergenti raccolte nel Brics, metaforica punta dell’iceberg della variegata entità costituita dall’insieme dei Paesi del Sud economico. In particolare lo scontro, come indicato nei vari documenti ufficiali statunitensi e della Nato, riguarda, da un lato, gli Stati Uniti e i suoi alleati/subalterni occidentali e, dall’altro, la Russia nello scacchiere esteuropeo, e la Cina nel quadrante Asia-Pacifico, con lo scopo di contenere le legittime aspirazioni di controllo dei mari rivieraschi da parte di Pechino, al fine ultimo di impedirne o quantomeno rallentarne l’ascesa ai vertici dell’economia mondiale.
Le tensioni geopolitiche derivanti da tale strategia hanno creato inevitabili ripercussioni nella sfera militare innescando, soprattutto nelle due macroregioni interessate, una pericolosa corsa al riarmo, tant’è che nel decennio 2013-2022, in pratica fino all’inizio dell’escalation del conflitto in Ucraina, i due quadranti in questione hanno, non casualmente, registrato il maggior incremento nelle spese militari a livello globale: Europa orientale +72% e Asia Orientale +50%.
Nell’ambito di un trend mondiale espoansivo, attestatosi del +19% nel decennio 2013-22, risultano soprattutto i paesi alleati degli Usa, raccolti nella cosiddetta “Nato globale”, ad evidenziare gli aumenti più consistenti: Canada (+49%), Australia (+47%), Corea del Sud (+37%) e Giappone (+18%, con la politica di riarmo di Tokio che tuttavia subisce un’accelerazione nei due anni successivi). Del tutto eccezionale la situazione dell’Ucraina che nel decennio considerato, al cospetto di un +15% della Russia, registra un aumento di ben +1.661%, il più imponente nella storia delle rilevazioni del Sipra, sotto la politica di riarmo innescata dalla guerra nel Donbass iniziata nell’aprile del 2014 e dalla contemporanea entrata in pianta stabile della Nato nel paese nello stesso anno. Presenza pubblicamente ammessa dallo stesso Segretario generale della Nato Jens Stoltemberg: il sostegno a Kiev non è iniziato con l’invasione russa ma “nel 2014, nel centro di addestramento di Yavoriv ho visto militari canadesi e statunitensi addestrare quelli ucraini”. Confermando come la Nato, anche nella sua accezione allargata, stia da anni implementando una significativa politica di riarmo che sta pericolosamente innalzando il livello delle tensioni internazionali, fino a sollevare minacciosi venti guerra.
Dal Bric al Brics fino all’attuale Brics+
In questo primo quarto di secolo del nuovo millennio, il Bric, come abbiamo analizzato, ha subito un importante processo evolutivo trasformandosi gradualmente da aggregato geoeconomico in soggetto geopolitico, con l’assunzione di posizione comune sullo scenario internazionale per la prima volta nel 2011, in occasione della comune astensione di Russia, Cina, India e Brasile in merito alla Risoluzione n. 1710 del Consiglio di Sicurezza Onu sull’intervento militare in Libia.
Nello stesso anno, inoltre, invitando la Repubblica Sudafricana ad unirsi al raggruppamento, viene assunta la più nota denominazione di Brics. L’ingresso di quest’ultimo stato, che pur essendo caratterizzato da minor rilevanza economica (espressa dal Pil totale), inferiore peso demografico e maggiori disparità interne rispetto agli altri (tab. 1), venne motivato con fattori di carattere geografico (fornire rappresentatività nel gruppo anche al continente africano) e storico-simbolico per la pluridecennale lotta per l’abolizione dell’Apartheid, guidata da Nelson Mandela dal carcere, emblema mondiale delle aspirazioni emancipatrici, anticolonialiste e antirazziste dei popoli sottomessi.
Partendo da queste significative comuni basi oggettive, nel decennio successivo, il gruppo dei Brics pur rimanendo un vertice auto-convocato, vale a dire al pari del G7 un soggetto informale non dotato di statuto, ha compiuto significativi passi verso l’integrazione, il coordinamento interstatale, e proceduto, fra le varie, alla realizzazione di istituzioni finanziarie alternative a quelle di Bretton Woods, Nuova Banca di Sviluppo (Ndb) e Fondo di Riserva (Cra), creato progetti infrastrutturali comuni e intensificato le relazioni commerciali.
Come abbiamo già analizzato, l’intensificazione della politica sanzionatoria da parte degli Usa degli ultimi anni, in particolare contro Federazione Russa, Siria, Iran, Venezuela e Cuba e la guerra dei dazi contro la Cina, hanno finito per creare una frattura geoeconomica e geopolitica a livello globale e impresso un significativo input sia al processo di integrazione fra i paesi Brics, soprattutto economico, commerciale e monetario nel senso della dedollarizzazione, sia attirando l’attenzione di una variegata gamma di paesi che hanno così avanzato richiesta di adesione.
Da inizio 2022, con le varie tranche di sanzioni contro la Russia (la prima il 23 febbraio), l’escalation del conflitto in Ucraina (il 24 febbraio) e il piano comunitario REPowerEu (18 maggio), i due processi in atto hanno registrato una decisa accelerazione, portando al primo importante ampliamento del raggruppamento delle potenze emergenti a livello mondiale del 1 gennaio 2024.
In quella data sono stati ammessi, previa precedente richiesta, alcuni paesi alquanto eterogenei per consistenza demografica, livello di sviluppo, potenza economica, caratteristiche della struttura produttiva, localizzazione geografica, nonché ruolo e orientamento geopolitico, quali Iran, Emirati Arabi Uniti, Egitto ed Etiopia (tab. 2), dando origine al nuovo acronimo di Brics+. Con l’Arabia Saudita che, pur essendone stata accettata la domanda, ad oggi non ha ancora provveduto a formalizzare l’ingresso ufficiale. Questione in sospeso che troverà sicuramente risoluzione entro ottobre, allor che si terrà l’annuale vertice dei Brics, quest’anno previsto a Kazan in Russia, vista la presidenza a rotazione del gruppo assegnata a Mosca.
La semplificazione della contrapposizione G7 – Brics a raffronto di potenza economica
Recentemente sono usciti su vari siti e pubblicazioni cartacee una serie di articoli per lo più di carattere giornalistico che, alla luce dell’ampliamento del raggruppamento in questione, attuano un approccio analitico allo scontro geopolitico in atto a livello globale fra gli Stati Uniti e i suoi alleati/subalterni contro le potenze emergenti, che in un eccesso di semplificazione, talvolta, è stato ridotto al confronto fra il G7 e i Brics, utilizzando come vedremo metodologie e strumenti analitici non sempre appropriati e funzionali.
La contrapposizione geopolitica in atto poggia indubbiamente sulle dinamiche geoeconomiche sottostanti dalle quali si evince come la traiettoria di crescita delle potenze emergenti, per questioni fisiologiche legate alla fase di sviluppo, come aveva previsto O’Neal, sia stata da inizio millennio nettamente favorevole ai paesi del Brics. Questi ultimi infatti, in base ad un dossier del Sole 24ore+ realizzato a beneficio degli investitori finanziari, nel 2022 i paesi del G7 rappresentavano circa 770 milioni di abitanti e il 43% del prodotto lordo mondiale mentre i Brics assommavano circa 3,4 miliardi di persone realizzando il 27% della ricchezza annua prodotta a livello globale, in netto aumento rispetto al 19,9% del 2012, dopo l’ingresso della Repubblica Sudafricana..
Le differenti traiettorie di crescita fra le economie mature occidentali e quelle emergenti in fase di sviluppo, per ovvi motivi, sono destinate a mantenersi anche nei prossimi lustri, come ci confermano, anche per la fase contingente, le previsioni per il 2024 dell’Economic Outlook del Fmi dell’aprile scorso (infografica 1), determinando nel medio periodo un riequilibrio fra i due raggruppamenti, con la prospettiva ultima di un futuro sorpasso da parte dei Brics+, anche sulla scorta di ulteriori probabili ampliamenti.
Occorre, peraltro, specificare che ridurre la potenza geopolitica ed i rapporti di forza dei due raggruppamenti ad una mera sommatoria della ricchezza economica prodotta annualmente dai paesi membri potrebbe risultare fuorviante, in quanto risultano indubbiamente molteplici i fattori da prendere in considerazione nel contesto di una situazione dinamica e complessa come lo scacchiere internazionale attuale, per poter definire la potenza geopolitica di un raggruppamento di stati.
In primis, dobbiamo tener presente i paesi occidentali evidenziano significativi aspetti comuni, quali la democrazia cosiddetta liberale, il sistema capitalistico in versione liberista, economie e sistemi finanziari integrati, un percorso storico condiviso almeno dal secondo Dopoguerra, consolidate relazioni internazionali, una stringente alleanza politico-militare (la Nato, ora nella versione globale) e una postura geopolitica unitaria sotto l’indiscussa leadership statunitense. Mentre per quanto riguarda i paesi emergenti, la situazione si presenta alquanto eterogenea, salvo la comune rapida ascesa economica e la condivisione, ad eccezione della Russia, dell’appartenenza al Sud economico e un passato più o meno recente di subordinazione coloniale e/o neocoloniale. Eterogeneità sul cui superamento il blocco del Brics sta da tempo lavorando con risultati incoraggianti ma che, con il recente ampliamento viste anche le caratteristiche dei nuovi membri, ha indubbiamente assunto più rilevanti dimensioni e innalzato il livello di complessità all’opera di creazione di un organismo geopoliticamente compatto.
L’ampliamento alla sfida della creazione di un soggetto geopolitico coeso
A supporto di quanto appena esposto, troviamo alcuni fra i più attenti analisti, fra cui non solo Rodrigo Rivas con cui il Giga si è a lungo confrontato, i quali prevedono che il futuro dei Brics+ e le sorti dello scontro con l’egemonia occidentale a guida statunitense nella ridefinizione degli assetti geopolitici globali su base multilaterale, non si giochi tanto sulla quota di prodotto lordo mondiale annuo che riusciranno a conseguire, quanto piuttosto sulla sfida dell’integrazione interna al gruppo, in primis economica, commerciale, finanziaria e monetaria, e soprattutto sulla capacità di coordinamento delle politiche internazionali finalizzata alla creazione di un soggetto geopolitico coeso e capace di una postura unitaria sullo scacchiere mondiale.
In merito alla complessità dell’interpretazione delle politiche internazionali risulta paradigmatica proprio la vicenda dell’Arabia Saudita. Infatti, se Riyad ha recentemente compiuto decisi passi in avanti verso il multilateralismo (vedi l’accordo con Teheran mediato da Pechino del marzo 2023) e la dedollarizzazione della commercializzazione del petrolio, favorita anche dalla scadenza nel giugno scorso del cinquantennale accordo con la Casa Bianca del 1974 sui cosiddetti petrodollari, sul piano geopolitico, non ha ancora reso effettivo l’ingresso nei Brics+ e attualmente si sta trovando in fase di definizione un nuovo accordo di Partenariato strategico con gli Stati Uniti incentrato su un Patto di reciproca difesa.
L’orientamento geopolitico dell’Arabia Saudita, in questa fase, evidenzia una strategia tesa alla diversificazione delle relazioni e al superamento del tradizionale ruolo di storico e principale alleato statunitense nel contesto del mondo arabo-islamico. Un cambio di linea strategica indotto anche dalla diminuzione di importanza assegnata dagli Stati Uniti negli ultimi anni all’area mediorientale, a vantaggio dell’Europa orientale e dell’Asia-Pacifico, a seguito del raggiungimento dell’autosufficienza energetica, conseguita grazie al repentino sviluppo a partire dal 2011 dell”estrazione dello shale oil e dello shale gas, fino a divenire nel 2022 primo produttore mondiale di greggio e quarto esportatore dopo Arabia Saudita, Russia e Canada.
Il parziale allentamento dell’alleanza strategica con Washington, è chiaramente emerso in occasione del varo, nell’agosto del 2010, dei cosiddetto “Accordi di Abramo”, fortemente voluti dall’amministrazione Trump col fine di stabilizzare il Medio Oriente e compattare i suoi alleati in funzione anti iraniana tramite la normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra Israele e gli stati arabi filo occidentali, in primis per importanza geopolitica le Petromonarchie del golfo e fra queste l’Arabia Saudita in particolare. Tuttavia, Riyad, al contrario degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein, ai quali si sono successivamente aggiunti Marocco e Sudan, non ha ancora proceduto alla sottoscrizione degli stessi in quanto il cosiddetto “Accordo del secolo” avrebbe previsto l’applicazione della legge israeliana su tutti i Territori Palestinesi Occupati o in alternativa l’annessione definitiva di circa il 30% della Cisgiordania. Condizioni capestro che di fronte ad un prendere o lasciare, portarono al netto rigetto da parte dei palestinesi, influenzando in tal modo l’iniziale rifiuto e il successivo temporeggiamento da parte saudita.
Accordi di Abramo che, seppur nei progetti di Trump avrebbero dovuto porre fine alla perdurante instabilità mediorientale, implementando un alleanza fra Israele e gli stati arabi suoi alleati, fornendo un “nuovo volto” al Medio Oriente, si sono in realtà rivelati un clamoroso fallimento rispetto alla formazione di una coalizione mediorientale in funzione anti iraniana, a causa del già citato accordo fra Teheran e Riyad. E soprattutto in qualità di principale causa dell’attacco sferrato dalla resistenza palestinese il 7 ottobre scorso come ultimo disperato tentativo di interrompere la traiettoria di avvicinamento di Riyad alla sottoscrizione dei suddetti Accordi che avrebbe messo una pietra tombale sulla pluridecennale lotta palestinese contro l’occupazione e per la propria liberazione nazionale.
L’Arabia Saudita sotto la spregiudicata guida del Principe reggente, Mohammed bin Salman impegnato a governare col pugno di ferro accentrandosi un enorme potere interno, sta implementando da alcuni anni una politica internazionale volta a fornire nuova centralità all’area del golfo persico e a renderla sempre più influente nel contesto dei nuovi equilibri internazionali che si stanno delineando, anche a seguito del crescente ruolo del Brics.
Riyad, negli ultimi anni, ha infatti sviluppato un cospicuo interscambio commerciale con Pechino, mantiene rapporti stabili con Mosca e una salda alleanza, seppur non priva di criticità e di ondeggiamenti, con Washington. Ed in virtù dello status di principale potenza geoeconomica e geopolitica del mondo arabo, sta cercando di ritagliarsi un ruolo autonomo sia di potenza macroregionale che di paese emergente a livello globale e perseguire in maniera più incisiva il proprio interesse nazionale (carta geopolitica 1).
Conclusioni
Le strategie internazionali attuate da Riyad negli ultimi anni, pongono indubbiamente in evidenza alcune criticità del progetto geopolitico dei Brics a causa delle problematiche che possono scaturire dalla crescita del ruolo del raggruppamento, derivanti dall’indeterminatezza delle politiche internazionali dei singoli stati e da mutamenti di visione strategica conseguenti all’alternarsi di governi di orientamento diverso, soprattutto dei nuovi entrati e degli aspiranti membri.
Abbiamo già avuto occasione di rilevare come anche nel contesto dei Brics originari, sussistevano situazioni contraddittorie e di criticità come l’appartenenza dell’India, insieme a Stati Uniti, Australia e Giappone, al Dialogo Quadrilaterale di difesa (Quad), l’alleanza strategica creata con lo scopo di contenere le velleità espansionistiche cinesi in Asia orientale, sud-orientale e meridionale e che ha portato alla coniazione del neologismo geopolitico di Indo-Pacifico da parte di Washington per indicare la cintura interoceanica di contenimento di Pechino, posta sotto il proprio dominio marittimo, grazie anche alla presenza di numerosi alleati.
Come d’altronde aveva fatto riflettere in merito a tali rischi, il repentino dietrofront dell’Argentina, sotto il riposizionamento geopolitico intrapreso dal neopresidente, l’iperliberista di estrema destra Javier Milei, il quale in rotta di avvicinamento a Washington, ha comunicato il 28 dicembre scorso, a soli 3 giorni dall’ingresso, il proprio ritiro.
In considerazione di quanto analizzato riteniamo che la sfida dell’omogeneizzazione e del coordinamento delle politiche internazionali degli stati membri costituisca la sfida principale per il futuro dei Brics+ nel progetto di perseguimento della ridefinizione delle relazioni internazionali su base multilaterale, un’opera a nostro avviso probabilmente più complessa rispetto all’obiettivo dell’integrazione economica.
Questione fondamentale, per il futuro ruolo dei Brics+, della quale i paesi fondatori sono perfettamente consapevoli e alla cui risoluzione si stanno impegnando cercando di istituire vertici, riunioni e forum a cadenza regolare in merito al coordinamento delle politiche internazionali come dimostra la riunione dei ministri degli esteri dei paesi Brics a Nyzhny Novogorod in Russia l’10 e il 11 giugno scorso. Nel cui ambito si è tenuta anche la sessione dei Brics+ al quale hanno partecipato i ministri degli esteri di oltre 20 paesi, oltre ai membri anche alcuni aspiranti, durante la quale è stato discusso della fase di cambiamento che sta interessando le relazioni internazionali in relazione alla formazione di un ordine mondiale equo e multipolare.
La strada verso la ridefinizione delle relazioni internazionali sembrerebbe essere stata razionalmente tracciata ma i vertici dei paesi fondatori sono coscienti che il percorso non sarà né breve né agevole e che le possibilità di successo passano inevitabilmente dal far procedere parallelamente gli ampliamenti con l’integrazione economica e la coesione geopolitica.
Per questo non è forse casuale che, nonostante le domande di adesione avanzate da una trentina di paesi, i maggiorenti del gruppo hanno dichiarato che prossimi ingressi non sono previsti a breve termine, pur continuando a tessere la tela diplomatica con i paesi aspiranti anche invitandoli a partecipare ai vertici e alle riunioni soprattutto quelle tematiche e settoriali.
Andrea Vento
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (Giga)
9/8/2024 https://www.occhisulmondo.info/
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