L’antifascismo è un sentimento
In questi giorni si sta discutendo una proposta alla camera voluta dal Partito Democratico (Fiano) per introdurre norme di legge maggiormente restrittive nei confronti delle apologie di fascismo. In pratica verrebbero ad essere bandite tutte le manifestazioni di nostalgia per il Regime, il richiamo simbolico e la pubblica simpatia. In realtà la legge 695 del 1952 (legge Scelba) punisce già secondo quanto prescritto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta la “riorganizzazione del disciolto partito fascista”. L’introduzione dell’art. 293-bis del C.P. proposta da Fiano, richiamandosi al reato di apologia del fascismo introdotto dalla suddetta legge, servirebbe a proibire non soltanto la propaganda a favore della ricostituzione del defunto partito fascista, ma anche la veicolazione attraverso tutti i mezzi (dai gadget in vendita diretta ai post sui social network, passando per la diffusione di volantini e l’uso del saluto romano) di elementi di richiamo simpatetico all’ideologia fascista e nazifascista.
La proposta, in questi termini, non sarebbe neppure malvagia: in fin dei conti che cosa ci sarebbe di anomalo nel punire chi si rade la testa a zero, si veste di nero, tende il braccio destro al busto del Duce e va scacciando i vucumprà dalle spiagge balneari? Nessuno farebbe fatica a riconoscere in un tale individuo, che non commette effettivamente dei reati diretti, un fascista di prim’ordine. È questo senso del richiamo-al fascismo, evocato dall’estetica, attraverso la gestualità e la scelta morale, che pur quando non si predica la ricostituzione del PNF ci riporta indietro al ventennio. Lo schifo che si prova nel vedere certi atteggiamenti, nel pubblico e nel privato – che non esiste –, è un fatto umanamente degradante!
Non auguro a nessuno di alzarsi un domani e incontrare per strada anche un solo pezzo di merda fascista! Il senso di nausea, i conati associati al richiamo alla bruttura dell’umanità, sono sensazioni che non dovremmo mai provare, per lo meno per un certo qual senso d’amor proprio. Tenere a se stessi prim’ancora che al prossimo, per l’individuo prim’ancora che per la società, e per entrambi al contempo, il fascismo è da ripudiare! Persino l’aquila, animale di una bellezza e di un fascino senza pari, mi sta un po’ più sulle scatole da quando se ne fregiarono le camicie nere! Il senso della memoria è questo: è il richiamo ad un non-so-che-cosa che mi desta uno sconvolgimento emotivo senza pari, è un’esperienza qualitativa che non ha niente a che vedere con l’elemento ricordato: non si tratta di fare, come a scuola in istoria, un sommario di date e fattarelli; quando si ha memoria si tratta di recuperare il senso perduto di una vicenda.
La vicenda storica non è il fatto storico: il fatto storico è l’accaduto, la vicenda storica è l’accadimento attuale dell’accaduto. La memoria storica ripudia il fatto, ripudia il confino temporale, richiama al presente eterno il valore dell’Esperienza. Avere memoria è piuttosto dimenticare i fatti per poter ricordare gli atti: è dimenticarsi che l’aquila fascista era una placchetta di metallo scadente mentre l’aquila reale è il sommo predatore dei cieli, per ricordarsi che la storia dell’aquila è stata macchiata da uno sgarbo, da un oltraggio senza pari! È sentire con l’aquila lo stesso disagio che un animale tanto nobile può provare sapendo di essere stata adottata da una vera bestia! La stessa solidarietà che l’animalista prova per la povera aquila, la prova il ribelle quando vorrebbe spaccare la testa pelata ad un giovane figlio di papà che inneggia a Mussolini: è la memoria storica che fa questo bello scherzo!
Guai a lasciarla da parte… Ebbene oggi sono soprattutto i figli di papà a provare nostalgia per il Regime, esattamente come ieri i loro papà e i loro nonni erano camicie nere. La sostanza del fascismo non è mai cambiata: il fascismo è uno strumento della borghesia fintantoché si paralizzi la storia, pretesa che la classe borghese ha sempre avuto quale mantenimento dello status quo. Ma la storia non si intrappola, le forze che la governano sono sotterranee e temibili, nient’affatto umane, sempre assolute. E così si può scoprire che il fascismo è per la borghesia molto più che uno strumento, molto peggio: è la salvezza!
La crisi causata dal Risorgimento italiano, dominato dalla presenza invadente del liberalismo classista di parte aristocratico-borghese (da Depretis a Giolitti), ha prodotto una serie di contraddizioni insolubili dalla ricetta liberale, generate dallo sfruttamento delle grandi masse disomogenee dell’Italia post-unitaria; anzi, l’unità d’Italia stessa è già un prodotto del fallimento economico del liberalismo e della gestione in subordine della classe popolare e produttrice ordinato dal classismo borghese. La borghesia cioè produce uno stato della società che rende la società impossibile in quello stato: sconvolge con la propria direzione la natura societaria della società: è causa di declino e distruzione inesorabili della storia umana. Oggi la borghesia ha rivisto le sue ricette, si è riorganizzata con un assetto persino “bellico” per quanto riguarda i diktat che impone: il cosiddetto neoliberismo è ancora più aspro da digerire nella soluzione che offre (privatizzazione, concentrazione delle ricchezze), perché è ancora più crudele nella marcia che impone (sfruttamento della classe lavoratrice, dominio dei popoli).
Giacomo De Fanis
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