Lanzichenecchi di tutto il mondo, uniamoci
/0 Commenti/in Altra Informazione, Blog, Cronache Politiche, Cronache Sociali, Culture, Politiche di Rifondazione, Storia e Lotte/da franco.cilentiLa scelta del direttore di Repubblica Molinari di pubblicare l’articolo del padre del proprio editore, Alain Elkann, è involontariamente radicale: niente mostra meglio la profonda divisione in classi della società delle parole sincere di chi fa parte dell’1% più ricco
Hanno polemizzato in tanti per l’articolo di Alain Elkann pubblicato su Repubblica, Sul treno per Foggia con i giovani Lanzichenecchi. C’è stato perfino un comunicato di presa di distanza del Comitato di redazione del giornale che giudica l’articolo lontano dalla «missione storica che si è data Repubblica sin dal primo editoriale di Eugenio Scalfari, missione confermata anche ultimamente nel nuovo piano editoriale dove si parla di un giornale ‘identitario’ vicino ai diritti dei più deboli» e si rammarica di essere «oggetto di una valanga di commenti critici sui social che dequalificano il lavoro di tutte e tutti noi, imperniato su passione, impegno e uno sforzo di umiltà».
La scelta del direttore di Repubblica Maurizio Molinari di pubblicare l’articolo del padre del proprio editore è però involontariamente radicale: niente mostra meglio la profonda divisione in classi della società delle parole sincere di chi fa parte dell’1% più ricco quando rinuncia a raccontare la favola di essere «uno di noi che ce l’ha fatta». Era successo recentemente con le parole di Urbano Cairo all’inizio della pandemia, o con l’illuminante saggio sulla ricchezza di Flavio Briatore. Per questo il Breve racconto d’estate di Alain Elkann è un documento prezioso.
La vita di Alain prima di quel treno
Alain Elkann è nato negli Stati uniti nel 1950 da padre francese, banchiere e industriale, a lungo dirigente della nota azienda d’alta moda Dior, e madre italiana, discendente di una delle più importanti famiglie di banchieri torinesi, la famiglia Levi Fubini. Si è laureato in Giurisprudenza all’università di Ginevra ed è autore di decine di romanzi e saggi tra cui alcuni celebri libri-intervista: con Alberto Moravia (1990), con il Cardinale Carlo Maria Martini (1994) e con il rabbino Elio Toaff (1994). Dal 1995 al 2001 ha condotto su Tele Montecarlo insieme a Indro Montanelli il programma Tv La domenica di Montanelli; dal 2001 al 2004 è stato consigliere del Ministro Urbani per la Cultura italiana nel mondo durante il secondo governo Berlusconi; più recentemente ha condotto su La7 Bookstore, programma dedicato ai libri. Prima, tra il 1975 e il 1981, era stato sposato con Margherita Agnelli, figlia del Presidente della Fiat Gianni, da cui ha avuto tre figli: Ginevra (regista cinematografica), Lapo (molto seguito dalle cronache rosa e scandalistiche dei giornali italiani) e John (il nipotino prediletto a cui il nonno Gianni ha affidato le aziende di famiglia tra cui Stellantis – erede della Fiat – e la Juventus; e che è appunto il presidente di Gedi, il gruppo editoriale di Repubblica).
La scoperta del treno
Nei suoi primi 73 anni Alain ha con ogni probabilità viaggiato molto, usando però i mezzi di fortuna a disposizione delle proprie famiglie: Ferrari, jet privati, elicotteri. Qualche giorno fa, non lo avesse mai fatto, ha pensato di provare un’esperienza totalmente nuova ed esotica: il treno. Per non esagerare si è informato se esistevano treni diversi da quelli dello Stato e ha scoperto l’esistenza di una compagnia privata fondata da un caro amico di famiglia: la Italo di Luca Cordero di Montezemolo. Non conoscendo probabilmente l’esistenza dei biglietti Club executive, ha optato per un biglietto di prima classe, posto finestrino, per andare da Roma verso la Puglia. Pensate se avesse viaggiato in un regionale carico di pendolari da Roma a Latina, o se nella capitale fosse salito sul trenino della Casilina. Il viaggio infatti è stato per lui drammatico e a occhio e croce non ne farà altri. Alain si è accorto presto che la prima classe di questi treni non è accessibile solo a uomini con vestito di lino blu, camicia leggera e orologio sopra il polsino. A fianco a lui c’erano ragazzi di cui «nessuno portava l’orologio», nessuno leggeva libri di 2.000 pagine in lingua originale o almeno sfogliava il Financial Times del weekend. Nessuno di questi ragazzi tra i 16 e i 17 anni era multilingue e raffinato com’era stato da adolescente il suo John, e nessuno in fondo aveva il portamento nemmeno del piccolo, pur troppo vivace, Lapo. Cosa facevano questi ragazzi se non leggevano la Recerche du temps perdu di Proust? «Parlavano di calcio». Certo, non si può dire che nella sua famiglia non ci sia passione per lo sport più amato dagli italiani, anzi i suoi figli e nipoti si sono dimostrati disposti a qualsiasi plusvalenza per il bene della propria squadra del cuore (e non solo). Il problema di questi ragazzi è in fondo come ne parlavano: usavano «un linguaggio privo di inibizioni». Hanno avuto persino l’ardire di scambiarsi suggerimenti su come rimorchiare senza prendere appunti sul diario «con la propria penna stilografica».È stato un viaggio terribile per Alain che ci tiene a farlo sapere per altruismo: deve salvare i propri simili da esperienze analoghe. Con candore, non avendo amici abituati a prendere il treno, presume che il lettore medio di Repubblica non si sia mai abbassato a prenderne uno ad alta velocità verso la Puglia, e senza arrossire informa: «Non sapevo che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento. Pensavo di aver sbagliato treno, ma invece è così».
Lanzichenecchi e marziani
Alla fine Alain prende atto dell’amara realtà: agli occhi di questi ragazzi lui è «un marziano venuto da un altro mondo». In un pianeta diseguale dove l’1% più facoltoso possiede la stessa ricchezza del restante 99%, la vita di quell’1% sembra in effetti quella di un extraterrestre. Alain finora aveva evitato di frequentare luoghi diversi da quelli consoni ai suoi simili e aveva avuto la fortuna di non provare mai quegli occhi addosso. Del resto con sincerità scrive chi sono per lui questi ragazzi: «La maggioranza, uno, nessuno, centomila». Il popolo bue e indistinto dunque, ma non solo: sono «giovani ‘lanzichenecchi’ senza nome».Lui stesso si stupisce di usare quel termine: «Non pensavo che si potesse ancora adoperare la parola ‘lanzichenecchi’ eppure mi sbagliavo». Ma cosa c’entrano con questi ragazzi i soldati mercenari di fanteria arruolati nell’esercito dell’Impero germanico del Cinquecento? Apparentemente nulla, a meno di non andare al significato letterale della parola lanzichenecco in tedesco: «Servo della terra». Agli occhi di Alain quei ragazzi sono forse buoni per vendere la propria forza lavoro per un salario in una delle aziende di famiglia, non certo per viaggiare qualche ora a fianco a lui. Il suo, in fondo, è solo un candido e gentile disprezzo di classe. Non ci resta che contraccambiare. Lanzichenecchi di tutti i paesi, uniamoci.
Giulio Calella, cofondatore e presidente della cooperativa Edizioni Alegre, è editor di Jacobin Italia.
25/7/2023 https://jacobinitalia.it
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