L’ASSALTO AL PUBBLICO IMPIEGO.

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D. I dati sui salari smentiscono l’ottimismo di Renzi?

R. Eurostat ha diffuso dei dati incontrovertibili, che confermano il crollo del potere di acquisto dei salari italiani anche al cospetto degli altri paesi europei. I dati del Governo Renzi vengono ancora una volta smentiti, solo nel primo trimestre dell’anno i salari diminuiscono dello 0,5% mentre in Europa (sembra in base a previsioni annue) aumentano dell’1,7%. Fatti due calcoli, solo negli ultimi mesi i salari italiani hanno perso potere di acquisto pari al 2% rispetto ai salari europei Esistono poi altre statistiche come quella dell’Unione nazionale consumatori che confermano la contrazione degli acquisti, la crisi sempre più acuta delle famiglie italiane che stanno tagliando innumerevoli spese, prima tra tutte la spesa sanitaria, con il 10% della popolazione che per ragioni esclusivamente economiche rinuncia a curarsi dal momento che analisi e prevenzione hanno ormai raggiunto costi proibitivi. Il crollo del potere di acquisto fotografa un paese in crisi la cui economia non gode di buona salute nonostante le dichiarazioni del Ministro Poletti, segno che gli aiuti alle imprese non sono la ricetta giusta per rilanciare i consumi. Tra le cause del crollo del potere di acquisto c’è proprio il mancato rinnovo dei contratti nazionali, in media un lavoratore deve attendere oltre due anni. Un discorso a parte poi andrebbe fatto sull’innalzamento dell’età pensionabile che con lo smantellamento del contratto nazionale rappresentano i capisaldi della strategia governativa.

D. Ma il pubblico impiego?

R. Una realtà surreale è quella vissuta dai lavoratori pubblici, in quanto il governo sta cercando di imporre un inedito e parziale rinnovo del contratto nazionale. Il Governo sembra suggestionato dall’ipotesi di un rinnovo parziale destinato a 800 mila dei 3 milioni di dipendenti pubblici, quelli con un reddito inferiore ai 26 mila euro annui, inserendo logiche divisive e meramente propagandistiche nella contrattazione collettiva, già sperimentate nel caso del bonus di 80€ rivelatosi più virtuale e mediatico che reale.

Il disegno è chiaro, ovvero depotenziare gradualmente la portata del contratto nazionale rendendolo di fatto esigibile formalmente solo per una limitata parte del personale, rispetto a chi nominalmente è diretto, per cui non appare più in grado di assicurare diritti salariali, normativi, collettivi che lo rendevano utile per tutti.

I 300 milioni di euro stanziati sono infatti una miseria del tutto insufficiente a garantire anche un misero rinnovo dei contratti ed è oltremodo pericoloso che qualcuno al governo pensi di travestirsi da Robin Hood, facendo passare il rinnovo solo per gli stipendi più bassi come un metodo perequativo, nel chiaro intento invece di produrre una sorta di plagio psicologico che nasconde un chiaro metodo di persuasione rivolto, in primis, a dividere le persone e più in generale a impedirgli ogni rivendicazione.

Documenti ufficiosi, ma confermati dai principali giornali italiani, confermano che la cifra stanziata dal Governo è così bassa da non consentire il rinnovo, questa è la realtà amara che si cela dietro a un anno di vergognosi rinvii, che giungono dopo sei anni di blocchi e mancati rinnovi.

Si tratta di una boutade o di una furbesca mossa del Governo per indebolire ulteriormente i sindacati? Ma Renzi, o meglio il renzismo inteso come una sorta di strategia pianificata coerente con gli interessi delle lobby padronali, dal suo insediamento sta colpendo i salari; per cui non può ergersi a perequatore, considerato che la perdita di acquisto degli stessi ammonta a migliaia di euro solo per i livelli più bassi, che divengono ancora meno elevati se si considera il salario indiretto sotto attacco per il maggiore costo dei servizi legati ai diritti sociali, come il diritto allo studio e alla salute, costi che vengono scaricati su cittadini/e attraverso tickets e compartecipazioni.

D. Ma la sentenza della Consulta di un anno fa che imponeva il rinnovo contrattuale?

R. Nessun obbligo purtroppo, visto che dopo 12 mesi non c’è traccia del rinnovo. La sentenza della Consulta di un anno fa, quella che imponeva formalmente al Governo di rinnovare i contratti, è stata aggirata anche per volontà di Cgil, Cisl e Uil che hanno accettato ogni decisione governativa, dalla riduzione dei comparti da 11 a 4 (i risparmi di milioni di euro non saranno reinvestiti nei servizi pubblici e in nuove assunzioni come qualche sindacalista credulone aveva asserito), allo smantellamento delle province, dalle regole sempre più stringenti in materia di bilancio (il famoso pareggio di bilancio inserito in costituzione e oggi applicato agli enti locali) al via libera accordato ai decreti attuativi della Madia che, pezzo dopo pezzo, distruggeranno il pubblico impiego e lo stesso welfare.

Forse è la paura che tagliassero le risorse erogate a patronati, caaf – funzionali a salvaguardare le lucrose prebende degli apparati – che poi controllano di fatto tutte e tre le organizzazione della triplice confederale, colpendo le casse sindacali per rimpinguare le quali le burocrazie sindacali hanno sacrificato gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici.

Ma non è una novità che, oramai, il sistema dei servizi e delle entrate che essi portano nelle casse di Cgil, Cisl e Uil siano il vero interesse a cui puntano i confederali, a cui si aggiunge quello dei distacchi sindacali retribuiti, il cui costo grava per intero su quello del rinnovo dei contratti del pubblico impiego, fino al punto di divenire la grande fetta sottratta alla magra torta stanziata dal governo per il loro rinnovo.

Eppure la Consulta aveva stabilito un anno fa un fabbisogno di minimo 600 milioni di euro, ma il Governo ha stanziato meno della metà di tale cifra al rinnovo, salvo poi rinviarlo di mese in mese, non dimenticando che questi pochi soldi non andranno forse sui tabellari della parte fissa del salario, ma saranno erogati in buona parte con la contrattazione di secondo livello, che poi dipende da quella performance che ha diviso il personale indebolendone il potere di acquisto e di contrattazione.

E tutto questo non ha prodotto reazioni! Quanta diversità con quello che in questi giorni sta accadendo in Francia e in Belgio! Lavoratrici e lavoratori in quei paesi sono in lotta, scioperano per denunciare non solo una riforma del lavoro analoga a quella del Jobs act, ma anche lo smantellamento della pubblica amministrazione e rivendicano welfare e servizi pubblici.

Solo in Italia il sindacato è passivo e subalterno al Governo, e la passività dei 3 milioni di dipendenti pubblici inerti davanti a 7 anni di blocco contrattuale è l’esempio lampante di quella subalternità pianificata da chi all’interno delle organizzazioni sindacali confederali e nazionali vi aveva interesse e dalla quale occorre scuotersi se vogliamo cambiare strada e non cedere alla rassegnazione.

D. Quali sono le vostre considerazioni?

R. Di sicuro in Francia e in Belgio abbiamo un sindacato diverso da quello italiano, basti ricordare che gli studenti sono in piazza con i lavoratori, mentre in Italia la divisione è imperante. Le responsabilità sono innumerevoli, ma anche il sindacato di base ha le sue colpe, le dinamiche di movimento hanno rimosso la contraddizione tra capitale e lavoro, è una considerazione dolorosa ma necessaria. Abbiamo realtà che ormai hanno rinunciato al conflitto reale per nascondersi dietro a campagne referendarie e referendum sociali o a battaglie parziali, che per altro godono di consenso ridotto anche all’interno delle singole categorie.

È forse un luogo comune, ma il cambiamento deve partire non solo dal riposizionamento del sindacato di base, ma anche dal basso, rifiutando ogni forma di moderazione, tenendo insieme le persone nei conflitti per difendere interessi collettivi legati a salari, diritti e a beni comuni di rilevanza sociale connessi all’erogazione e alla gestione dei servizi pubblici.

Salari, servizi, contratto nazionale, sanità ed educazione sono ambiti privilegiati sui quali lavorare, i prossimi mesi ci diranno se saremo capaci di superare divisioni e frammentazioni e lavorare in una prospettiva diversa all’insegna del conflitto.

Renato Caputo

23/6/2016 www.lacittafutura.it

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