L’assistenza sanitaria alle persone con disabilità ai tempi del Covid
La salute e la gestione intraospedaliera delle persone con disabilità
sono temi che presentano numerose criticità, più volte affrontate anche
sulle colonne di «Superando.it». Spesso, infatti, l’organizzazione
delle cure e alcuni pregiudizi degli operatori sanitari creano delle “barriere sanitarie” pregiudicando il diritto alla cura delle persone con disabilità. L’ ASMeD (Associazione
per lo Studio dell’assistenza Medica alla persona con Disabilità)
riunisce i professionisti sanitari che operano nell’àmbito della salute
di queste persone; ne fanno parte, in particolare, operatori sanitari
che svolgono il loro lavoro in strutture ospedaliere dotate di percorsi dedicati alla gestione delle problematiche mediche delle persone con disabilità.
Gli obiettivi che l’Associazione si prefigge sono tra gli altri la messa in atto di tutte le azioni utili e necessarie a garantire il diritto alla salute e l’accesso alle cure delle persone con disabilità; la promozione della ricerca e del confronto
sulla medicina e sull’organizzazione sanitaria finalizzate alle cure e
all’assistenza delle persone con disabilità; la promozione dei principi dell’assistenza medica alle persone con disabilità,
quale medicina e nursing centrati sul paziente e sulla
personalizzazione delle cure, che costituiscono le fondamenta del
modello organizzativo DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance [“Assistenza medica avanzata alle persone con disabilità”, N.d.R.].
L’emergenza legata alla pandemia Covid-19 ha stravolto
l’organizzazione ospedaliera, richiedendo misure quali il distanziamento
fisico e restrizione degli accessi per i familiari e i caregiver che penalizzano ulteriormente le persone con disabilità.
A tal proposito l’ASMeD ha promosso un questionario tra i propri
associati per verificare il funzionamento dei percorsi ospedalieri
dedicati alle persone con disabilità durante la pandemia. Dalle risposte
è emerso che:
° oltre il 60%% dei centri ha lavorato in maniera
ridotta, di cui 2 in modalità prevalentemente telematica; nella
maggioranza l’attività si è ridotta a meno del 50%, ma, considerando i
centri rimasti attivi, la funzionalità è stata superiore al 50%
dell’attività pre-Covid;
° il 25% ha dovuto interrompere la propria attività, inviando per lo più i pazienti ai servizi territoriali;
° il 12% ha lavorato solo per le urgenze;
° la maggioranza dei centri ha avuto una riduzione del
personale superiore al 50%, perché il personale stesso è stato
redistribuito su altri servizi; solo nel 35% dei centri tutto il
personale sanitario è rimasto a svolgere le abituali funzioni nel
servizio;
° la metà dei centri ha seguito pazienti con disabilità
ricoverati per Covid-19. La maggioranza dei centri ha seguito un numero
medio di 2 pazienti, mentre un centro ha seguito 23 pazienti,
prevalentemente provenienti da strutture residenziali. Due centri hanno
seguito anche pazienti in isolamento domiciliare;
° in nessun centro, durante la degenza in isolamento, è
stata ammessa la presenza dei caregiver. In alcuni centri, pur essendo i
pazienti con disabilità ricoverati presso reparti diversi, ci si è
avvalsi del personale dei centri DAMA per le comunicazione con i familiari e i caregiver;
° ad alcuni centri sono giunte segnalazioni di pazienti
con disabilità intellettiva ricoverati in isolamento presso Covid
Hospital a cui non era stata consentita la presenza di caregiver. Questi
pazienti hanno sviluppato un peggioramento comportamentale e gravi stati di agitazione. Per questo motivo in alcune circostanze è stato necessario ricorrere ad una blanda sedazione;
° alcuni centri hanno fatto pressioni presso le
Presidenze delle Regioni e gli Assessorati Regionali alla Sanità perché
prevedessero protocolli specifici per le persone con disabilità, in
particolare intellettiva e comportamentale, tenendo conto delle loro
peculiarità. Questi sforzi non sono andati a buon fine;
° alcuni centri hanno segnalato che in caso di isolamento domiciliare di persone con disabilità, non è stato eseguito alcun tampone.
In alcune realtà locali sono stati i servizi territoriali e le unità
territoriali a gestire il paziente durante l’isolamento domiciliare;
° a settembre 2020, la metà dei centri funzionava con
un’attività ridotta di circa il 50% rispetto al periodo pre-Covid. Uno
dei maggiori problemi riguardava l’accesso ai centri:
infatti, molti di questi pazienti non posseggono autonomia funzionale e
debbono essere accompagnati da uno o più caregiver. Per rispettare il
distanziamento fisico si rende dunque necessario ridurre le presenze,
limitando il flusso dei pazienti. Inoltre, in quasi tutti i centri, per i
suddetti motivi, è venuto a mancare l’apporto dei volontari.
Da questi primi dati raccolti, è emersa pertanto l’evidenza che molti problemi non sono ancora stati affrontati e restano quindi irrisolti. Li elenchiamo qui di seguito:
– l’esecuzione dei tamponi oronasali non è possibile in
molti di questi pazienti e bisogna quindi prevedere metodiche
alternative di rilevamento del virus Sars CoV -2. È inoltre necessario
che i test vengano eseguiti in spazi e in tempi adeguati alle
caratteristiche comportamentali e cognitive di questi pazienti. Per
questo motivo il personale che effettua il test deve essere preparato a
gestire pazienti spesso problematici (se ne legga su queste stesse
pagine al testo Disabilità complesse: i tamponi vanno svolti senza traumi);
– i dispositivi di disposizione individuale indossati dagli operatori possono creare disagio, e quindi può essere necessario dar tempo al paziente di abituarsi;
– nei diversi setting assistenziali, molti di questi
pazienti, non essendo dotati di autonomia, devono essere gestiti senza
poter rispettare il distanziamento, per cui è fondamentale che gli
operatori siano dotati di tutti i presìdi di sicurezza necessari (di ciò
si legga ad esempio su queste stesse pagine, al testo Sostenere quelli che lavorano “a meno di un metro” e le persone di cui si curano);
– è impensabile lasciare in completo isolamento per
interi giorni persone con disabilità intellettiva e problemi
comportamentali, non consentendo di vedere e comunicare con i familiari o
con il caregiver. La presenza non può essere solo virtuale. I danni
psicologi dell’isolamento in ospedale sono stati descritti anche nelle
persone anziane. In molte di queste persone l’isolamento può portare
alla comparsa di comportamenti problematici e alla perdita di competenze
precedentemente acquisite;
– inoltre, in maniera ancora più drammatica di quanto
avviene per la popolazione generale, il rischio di trascurare o non
poter trattare problematiche sanitarie non inerenti al Covid-19 è ancora
più marcato;
– incombe sempre il rischio che, in caso di scarsità di
risorse quali posti letto in terapia intensiva, ventilatori ecc.,
queste persone vengano penalizzate nell’allocazione di tali risorse (di
ciò si legga su queste stesse pagine al testo Le persone con disabilità e la scarsità di risorse mediche).
Da queste esperienze della prima fase della pandemia emerge dunque come i servizi ospedalieri dedicati all’assistenza delle persone siano andati in grande difficoltà. Soprattutto si evidenzia la necessità di definire urgentemente, sia a livello nazionale (Comitato Tecnico Scientifico) che regionale, protocolli clinico assistenziali rivolti ai pazienti con disabilità, che tengano conto delle diverse tipologie di disabilità, delle loro peculiarità e della necessità di un’assistenza continua. Questi protocolli devono porre attenzione al diritto alle cure di queste persone e a uno strumento che sembra sconosciuto in diversi àmbiti politico amministrativi, quale l’accomodamento ragionevole. Tutto questo è stato sancito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, convenzione ratificata dal nostro Parlamento nel 2009 [Legge 18/09, N.d.R.]. L’emergenza non giustifica in alcun modo la negazione dei diritti delle persone, senza o con disabilità.
Nicola Panocchia, Filippo Ghelma
ASMeD (Associazione per lo Studio dell’assistenza Medica alla persona con Disabilità).
20/10/2020 http://www.superando.it
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