Latte artificiale e affari sporchi: l’inchiesta del Salvagente
Decenni di accurate operazioni di marketing hanno insinuato in molti la convinzione, a volte persino inconsapevole, che il latte artificiale, in polvere o liquido, sia come quello della mamma, che all’occorrenza il sostituto sia equivalente all’originale. Ovviamente non è così: da altrettanto tempo le ricerche scientifiche hanno dimostrato, anche ai più scettici, che il latte materno è insostituibile. Lo è certamente per la sua composizione – unica, sempre diversa ogni giorno – e per il valore emotivo e psicologico che ha l’allattamento al seno.
Abbiamo trovato micotossine emergenti
Le nostre analisi su 18 formule aggiungono un ulteriore tassello, mettendo in evidenza che il latte artificiale non è uguale a quello materno anche per la presenza, seppur in minime quantità, di micotossine.
Assenti le più famose, e tossiche, aflatossine così come l’ocratossina, le muffe che abbiamo trovato in 15 campioni su 18 appartengono a quelle che la comunità scientifica chiama “micotossine emergenti”
ovvero un gruppo di sostanze su cui si stanno concentrando gli studi di
sicurezza al fine di individuarne rischi e limiti di concentrazione.
E troppo sale e zucchero
Oltre a un rischio chimico, i latti artificiali che abbiamo testato non convincono neanche da un punto di vista nutrizionale per la presenza di elevate quantità di zucchero e sale: oramai tutte le linee guida nutrizionali, e da ultime quelle del Crea, concordano sul fatto che i neonati non devono consumare alimenti salati e zuccherati e i bambini devono ridurne drasticamente il loro consumo pena essere condannati al sovrappeso e all’obesità da adulti. E, invece, convinti dalla pubblicità a dare ai nostri figli un prodotto che contribuirà alla loro crescita, li rimpinziamo di biberon carichi di zucchero e sale. Basterebbe questo per spianare la strada al latte materno ma, purtroppo, non è così.
Spunta lo spettro degli antibiotici
Nerl numero in edicola del Salvagente, poi, riportiamo i risultati allarmanti di una nuova ricerca del professor Alberto Ritieni che, come aveva fatto nell’Uht e nel fresco, ha cercato residui di medicinali a uso veterinario nei preparati per l’infanzia. Trovandoli anche in dosi oltre i limiti di legge.
“Abbiamo condotto uno studio su 18 campioni venduti in Italia e,
purtroppo, in 4 di essi le analisi hanno evidenziato la presenza di
residui di farmaci normalmente utilizzati in zootecnia” spiega nel lungo
servizio.
Il professore continua: “In tre formule abbiamo evidenziato la presenza di desametasone,
un corticosteroide utilizzato per curare più che altro gli stati
infiammatori negli animali. La normativa tollera la presenza di residui
nel prodotto finito ma entro certi limiti, purtroppo le nostre analisi
hanno evidenziato il superamento di questi limiti in alcuni dei campioni analizzati”.
Gli interessi dietro il biberon
L’allattamento al seno dovrebbe essere esclusivo nei primi 6 mesi di
vita del bambino, eppure nel nostro paese iniziano ad allattare l’85,5%
delle madri, una percentuale in aumento rispetto agli anni precedenti
grazie al contributo delle mamme straniere che per la quasi totalità,
89,4%, scelgono di evitare il biberon (fonte Istat anno 2013, ultima
rilevazione). I motivi per cui questo accade sono tanti, pesa certamente
una società e una cultura che non favoriscono e sostengono
adeguatamente le mamme. Ma non è da meno il pressing delle case farmaceutiche e del marketing.
Un’inchiesta dello scorso anno di Peopleforplanet aveva portato alla
luce una vecchia, quanto illecita, pratica di alcun reparti di
ostetricia che consegnano alle puerpere in dimissione dall’ospedale dopo
il parto, insieme alle informazioni sanitarie, anche la segnalazione
della marca di un latte artificiale per neonati consigliato. Una pratica
vietata dalla legge. Come è vietato pubblicizzare le formule di latte
destinato ai neonati, le formule 1, eppure non mancano tecniche
sopraffine di marketing che attraverso escamotage studiati a tavolino
reclamizzano questi prodotti. Un illecito che è diventato routine
perché, purtroppo, mancano controllori e sanzioni
Inventare malattie per vendere
Così come è un costume “storico” delle industrie quello del mongering ovvero inventare malattie per vendere prodotti che dovrebbero curarle. Una tecnica in cui si distinguono i colossi di questo mercato , come raccontiamo nella lunga inchiesta di copertina del numero di settembre.
Eppure, come ci ha spiegato Adriano Cattaneo, epidemiologo, basta semplicemente cimentarsi in una ricerca sul motore di ricerca internet più famoso, Google, per scoprire che non è mai stata multata una azienda farmaceutica per aver pubblicizzato quello che non doveva.
Valentina Corvino
28/8/2020 https://ilsalvagente.it
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