L’attenzione ai profughi ucraini e il razzismo mediatico della guerra
All’estremo opposto di quanto avviene per l’Ucraina, le notizie concernenti questi conflitti giungono ai nostri occhi in forma episodica e affatto analitica, prive di quei dettagli necessari a comprenderne le dinamiche. I giornalisti anglofoni, involontariamente, hanno fornito una spiegazione eloquente (di certo non l’unica) a questa discriminante nelle trattazioni: l’Ucraina non è un posto “come l’Iraq o l’Afghanistan” e i suoi profughi “assomigliano a qualsiasi famiglia europea cui si potrebbe vivere accanto”. Mostrando come, in fondo, alle spalle di tale discriminazione non vi sono altro che meri pregiudizi razzisti.
I mezzi di comunicazione di massa sono il principale strumento di manipolazione della realtà e costruzione del mondo che ci sta attorno. Si parla di ciò che viene trattato nella comunicazione mainstream: il resto è abbandonato ad una spirale di oblio. La copertura mediatica della guerra in Ucraina è, in questi giorni, talmente insistente da risultare a tratti morbosa. Non si è mai vista, nella storia recente, una copertura mediatica tanto solerte e pervasiva di un conflitto. Eppure sono innumerevoli le guerre che ogni giorno mietono vittime, tra le quali decine di migliaia di bambini.
Yemen: la più grande crisi umanitaria del nostro tempo
Quella in Yemen è stata definita da pressoché tutte le organizzazioni internazionali come la peggior crisi umanitaria del nostro tempo. Gli attacchi contro i civili sono sistematici: la guerra, in corso dal 2015, ha già causato circa 400 mila morti, dei quali quasi 4 mila sono bambini. Circa il 66% della popolazione, ovvero 20 milioni di persone, necessitano di aiuti umanitari, mentre sono almeno 4 milioni i profughi interni. Un terzo della popolazione non può soddisfare i bisogni alimentari di base, in quella che è la più grande carestia causata dall’uomo nel XXI secolo. L’Arabia Saudita porta avanti questo conflitto da ben 7 anni anche grazie all’aiuto dei propri alleati, tra i quali figurano gli Emirati Arabi Uniti, e gode del sostegno diplomatico degli Stati Uniti. Il pretesto è la presunta volontà di reinsediamento di un governo democratico (filo-saudita), dopo che i gruppi “ribelli” yemeniti hanno spodestato l’ex presidente Hadi. Sono americane le armi che vengono utilizzate per distruggere obiettivi quali abitazioni, ospedali, scuole e centri popolati da civili. Fino al 2019 l’Arabia Saudita poteva contare anche sull’utilizzo di bombe italiane grazie al contributo del governo Renzi, firmatario di una licenza per la vendita delle armi nel 2016, a un anno di distanza dall’inizio del conflitto, quando già era chiaro cosa stesse accadendo in Yemen.
Nonostante ciò, la trattazione da parte dei media internazionali e italiani di questo conflitto è poco più che episodica, se non in occasione degli attacchi ai danni della coalizione saudita. L’intervento saudita in Yemen ne fa uno Stato invasore tanto quanto la Russia nei confronti dell’Ucraina. Eppure, gli yemeniti che si oppongono all’imperialismo sono etichettati come “ribelli” e “terroristi”. Così, il più grande gruppo di opposizione yemenita, Ansar Allah, è stato rinominato con il termine dispregiativo “Houthi”, utilizzato da tutti i media internazionali. Le immagini del popolo ucraino che resiste per le strade delle principali città anche grazie alla costruzione di armi artigianali come le molotov hanno fatto il giro del mondo e sono state lodate come forma gloriosa di resistenza all’imperialismo russo. La resistenza yemenita contro un’invasione che ha causato la più grave crisi umanitaria della storia recente, al contrario, è etichettata come forma efferata di terrorismo. A questo va aggiunto, a titolo di cronaca, che Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti fanno parte della lista di Paesi che si sono astenuti dal condannare l’invasione russa dell’Ucraina, intravedendo la prospettiva di non pochi vantaggi economici e geopolitici.
Se i giornali italiani dedicano all’argomento un’attenzione superficiale e parziale, i mezzi di informazione internazionali non sono da meno. Come riportato dall’analisti di MintPress, nessuno dei principali giornali americani ha mai trattato in maniera esauriente l’argomento, se non per riportare le sanzioni che il governo americano sta nuovamente imponendo ai “ribelli Houthi” o per descrivere la minaccia che questi rappresentano per l’impero saudita. In cambio, quotidiani del calibro del New York Times e del Washington Post hanno pubblicato diversi editoriali (ovvero articoli scritti in genere da redattori senior, che ribadiscono la linea editoriale sulla quale si basa la redazione) in favore dell’Ucraina.
Somalia, Birmania, Siria: le guerre dimenticate
Recentemente, gli Stati Uniti sono tornati anche a bombardare la Somalia, il secondo tra Paese più povero al mondo. Gli attacchi sono stati portati a termine nei pressi della capitale Mogadiscio tramite droni Reaper. La notizia non è stata riportata su nessuno dei principali quotidiani italiani e internazionali: l’unico accenno è stato fatto dal New York Times, che non fornisce nessuna informazione di contesto al di fuori della prevedibile ed esausta logica della “lotta al terrorismo”, perfettamente funzionale al sostegno della logica imperialista statunitense.
Nemmeno per la Birmania si riscontra particolare attenzione mediatica, nonostante a oltre un anno di distanza dal golpe militare che ha destituito il governo democratico di Aung San Suu Kyi si registrino quasi duemila vittime tra i civili (secondo le stime ufficiali, ma il numero reale potrebbe essere di gran lunga superiore) e 11 mila arresti tra gli oppositori del regime. Nessuna notizia nemmeno riguardo l’intensificarsi degli attacchi in Siria da parte di Israele, cui gli Stati Uniti forniscono 4 miliardi di aiuti militari ogni anno, oltre ad occupare con le proprie forze militari importanti porzioni di terreno siriano, soprattutto nelle regioni petrolifere del nordest.
“Loro ci assomigliano”
A questo punto verrebbe da chiedersi il perché di tale sbilanciamento da parte dei mezzi di informazione, che lo scoppio della guerra in Ucraina ha portato all’estremo. Una delle motivazioni la forniscono, con un’ingenuità quasi disarmante, gli stessi addetti ai lavori. Charlie d’Agata di CBS News che ha detto “Questo non è un posto, con tutto il rispetto, come l’Iraq o l’Afghanistan che ha visto il conflitto infuriare per decenni. Questa è una città relativamente civile, relativamente europea, dove non ci si aspetterebbe questo”. Il commento del presentatore di al-Jazeera English Peter Dobbie è quantomai eloquente e sintetizza con chiarezza estrema buona parte del pensiero medio occidentale: “Quello che è avvincente è che basta guardarli, il modo in cui sono vestiti. Queste sono persone benestanti, di classe media, non sono ovviamente rifugiati che cercano di scappare da zone del Medio Oriente che sono ancora in un grande stato di guerra. Queste non sono persone che cercano di scappare da zone del Nord Africa; assomigliano a qualsiasi famiglia europea a cui si potrebbe vivere accanto”. Commenti che, secondo l’Associazione dei giornalisti arabi e mediorientali, permette di “normalizzare la tragedia in parti del mondo come il Medio Oriente, l’Africa, l’Asia meridionale e l’America Latina” e “Disumanizza e rende la loro esperienza con la guerra come in qualche modo normale e attesa”. https://platform.twitter.com/embed/Tweet.html?dnt=false&embedId=twitter-widget-0&features=eyJ0ZndfZXhwZXJpbWVudHNfY29va2llX2V4cGlyYXRpb24iOnsiYnVja2V0IjoxMjA5NjAwLCJ2ZXJzaW9uIjpudWxsfSwidGZ3X2hvcml6b25fdHdlZXRfZW1iZWRfOTU1NSI6eyJidWNrZXQiOiJodGUiLCJ2ZXJzaW9uIjpudWxsfSwidGZ3X3NrZWxldG9uX2xvYWRpbmdfMTMzOTgiOnsiYnVja2V0IjoiY3RhIiwidmVyc2lvbiI6bnVsbH0sInRmd19zcGFjZV9jYXJkIjp7ImJ1Y2tldCI6Im9mZiIsInZlcnNpb24iOm51bGx9fQ%3D%3D&frame=false&hideCard=false&hideThread=false&id=1498732259616067586&lang=it&origin=https%3A%2F%2Fwww.osservatoriorepressione.info%2Flattenzione-ai-profughi-ucraini-razzismo-mediatico-della-guerra%2F&sessionId=4354ae706294bf3e87ada36bc42f9930a3d9396a&theme=light&widgetsVersion=2582c61%3A1645036219416&width=550px
Profughi di guerra: il doppio standard occidentale
Il doppio standard mediatico nella trattazione delle guerre in base a criteri razziali riflette le tendenze della politica europea e dei singoli governi, che hanno dato dimostrazione dell’esistenza di due pesi e due misure nella gestione della questione profughi. Da una trattazione giornalistica che tra le righe metteva in guardia la popolazione in merito a una supposta minaccia di un’invasione di profughi dall’Africa, suggerendo un imminente collasso del sistema di accoglienza italiano ed europeo, si è passati alla glorificazione dell’accoglienza dei profughi ucraini, quasi fosse un dovere morale. Lo ha ricordato lo stesso ministro Salvini, in fondo, che quelli ucraini scappano dalla “guerra vera”, al contrario dei “profughi finti” che scappano da “guerre finte”.
D’altronde, è stata la stessa Commissione europea a sancire la legittimità di un differente trattamento dei profughi scampati all’attacco russo in base al criterio di provenienza del passaporto. Così, mentre la “Fortezza Europa” tenta di rafforzare sempre di più i muri lungo i propri confini, non si esita a rendere esplicito il ragionamento che, pur scappando dalle stesse bombe, il colore della pelle determina il diritto stesso alla salvezza.
Tra ipocrisia e psicosi
Mohamed el-Kurd, giornalista palestinese, nel far notare la difficoltà da parte dei media occidentali di chiamare l’occupazione della Palestina con questo termine, nel nome di supposti criteri di “oggettività”, definisce l’ipocrisia dei mezzi di informazione come una vera e propria “psicosi”. “Vivo in un universo parallelo dove gli europei che prendono le armi per difendere le loro terre e le loro famiglie sono chiamati combattenti della resistenza, ma i palestinesi che fanno la stessa cosa sono ‘terroristi’” afferma, citato da MintPress. Indi Samarajiva, giornalista dello Sri Lanka, affonda il colpo sostenendo che “L’Ucraina non è il peggior atto di guerra dalla seconda guerra mondiale. Non è nemmeno la peggiore guerra in corso in questo momento: è solo la peggiore che sia capitata ai bianchi“.
Come Chomsky ed Hernan notavano già in La fabbrica del consenso nel 1988, la diversa copertura mediatica degli eventi e la rappresentazione degli aggressori e delle vittime riflette criteri geopolitici ben precisi. In questo caso, la Russia, fautrice degli attacchi e dell’inizio della guerra, si configura come nemico per antonomasia dei governi filo-statunitensi. Nel caso delle guerre nei Paesi del sud del mondo, al contrario, gli Stati Uniti ricoprono il ruolo di aggressori e invasori, il che in parte giustifica la mancanza di copertura. E mentre l’Occidente va alla ricerca ossessiva delle efferatezze commesse dall’esercito di Putin, Julian Assange si trova ancora tra le quattro mura di una cella.
Valeria Casolaro
25/3/2022 https://www.lindipendente.online
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