L’autonomia differenziata in sanità
Gli “argomenti istituzionali” sembra abbiano, nella realtà italiana, la caratteristica di essere adottati, come si dice in termini calcistici, in “zona Cesarini”. Già le modifiche al Titolo V della Costituzione furono approvate a stretta maggioranza dal Governo Amato (nella convinzione – errata – di recuperare i voti nel Nord del paese) alla fine della XIII legislatura e confermate da un Referendum in cui votarono il 34% della popolazione; il pre-accordo con le tre Regioni che hanno chiesto l’Autonomia (Veneto, Lombardia, Emilia – Romagna) è stato sottoscritto dall’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni il 28 febbraio 2018, quattro giorni prima delle elezioni quando il Governo era in carica per gli affari correnti! Altre Regioni: Campania, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria hanno a suo tempo dato mandato di avviare i negoziati per definire con lo Stato ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. La marcia verso l’Autonomia è ripresa, con la introduzione nella Nota di aggiornamento dal documento di economia e finanza (Nadef 2021), che indica, al primo punto, il DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, comma 3, Cost.”[1]
Abbiamo seguito, con ragionevole – o illusoria – certezza, che dopo la pandemia, l’Autonomia differenziata in Sanità fosse stata definitivamente accantonata. Personalmente speravo – e spero – che anche per la Scuola non siano accolte le proposte di Autonomia differenziata, condividendo in pieno l’opinione di Asor Rosa: “chi voglia oggi attentare all’unità dello Stato italiano non può fare a meno di colpire l’unità della scuola”[2]. L’Onorevole Mariastella Gelmini, ministra agli Affari Regionali e Autonomie, ha annunciato che il Disegno di legge quadro per l’Autonomia sarebbe in dirittura d’arrivo e sono trapelati alcuni elementi che hanno destato rilevanti preoccupazioni.
Marco Geddes da Filicaia
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7/7/2022
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