L’autostrada senza autovelox per le malattie da nord a sud
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Siamo in primavera e come da copione in questi due anni di pandemia il covid si nasconde per riapparire in autunno? Il rischio è reale causa malagestione dei governi europei, quello italiano in particolare (vedi i dati dei morti), assenza di vaccini pubblici e dal fattore trainante rappresentato dall’inquinamento e dagli allevamenti intensivi.
La disinformazione che ha prodotto paure e comportamenti irrazionali (vedi i novax) non ha consentito, volutamente, l’individuazione delle responsabilità nazionalie e regionali che hanno portato la sanità pubblica ad arrancare di fronte alla pandemia, a iniziare dallo smantellamento del piano pandemico pre esistente al covid.
Ora il rischio maggiore, incontrollabile è che la pandemia apra autostrade per altre incapacità su altri virus e prendersi cura di patologie pregresse e nuove nella salute mentale.
Dal Piemonte alla Sicilia si rifà una riedizione pre Unita d’Italia del nostro Paese, non più con la sciabola ma con la differenziazione dei diritti sociali e politici, iniziando con la privatizzazione della sanità per continuare con tutte le altre materie, scuola, acqua, trasporti, contratti, etc. Ma per le Regioni secessioniste l’obbiettivo primario, in quanto rappresenta oltre il 70% dei propri bilanci, è assicurarsi il controllodiscrezionale della sanità, quel capitale finanziario e umano che ha permesso, pur nelle sue condizioni disastrate, da oltre trent’anni di boicottaggio funzionale alla privatizzazione, a fronteggiarlo relativamente, nonostante l’inettitudine delle Giunte regionali .
Con insopportabile ipocrisia, hanno detto che c’è bisogno di più personale ma allora la domanda sorge spontanea, correlata alll’emorragia di medici verso il privato, i pensionamenti, i numeri chiusi in facoltà: perchè non si aprono i bandi di assunzione diei medici compresi quelli che provengono dall’estero che hanno tutti i requisiti per lavorare in Italia?
Pochi e maltrattati medici e infermieri, in conseguenza della decennale regionalizzazione del servizio sanitario nazionale (in attesa della Legge sull’Autonomia Differenziata pretesa dalle Regioni del nord che sancirà la totalitaria gestione diseguale della salute delle popolazioni delle singole regioni). Il maltrattamento delle professioni sanitarie, dal Piemonte alla Sicilia, è stato confermato anche da uno studio condotto dall’Università di Verona.
Gli specializzandi sono invece i soggetti a maggiore rischio di burnout. Ansia, burnout e depressione sono conseguenze frequenti della guerra combattuta in prima linea contro il coronavirus. E gli infermieri sono i soggetti più a rischio come si evince da uno studio dell’Università di Verona, su gli effetti collaterali del Covid-19 sul personale sanitario. La ricerca, pubblicata sulla rivista International Journal of Enverinomental Research and Public Health, ha messo in evidenza come, a distanza di un anno dall’inizio della pandemia, lavorare all’interno dell’ospedale abbia prodotto ulteriore sofferenza emotiva per gli operatori, che si sono trovati a gestire tre ondate pandemiche nel biennio 20-21.
Scoramento e “rabbia” diffusi che si traducono talvolta anche in vere e proprie mobilitazioni. Da metà gennaio, si moltiplicano le testimonianze del personale sanitario che rilevano un aumento del carico di lavoro, lo slittamento di operazioni e interventi che non possono essere effettuati per via della condizione emergenziale.
Alla pandemia da Covid-19 si sovrappongono le carenze del nostro sistema sanitario che continuano da almeno una decina d’anni a questa parte, con tagli al settore e “svendita” ai privati. Come riassume un articolo del settembre scorso di “Altreconomia”, si è infatti verificato dal 2010 al 2019 un definanziamento della sanità di circa 37 miliardi di euro, con la chiusura di 173 ospedali e 837 strutture di assistenza specialistica ambulatoriale, così come il personale dipendente è diminuito di 42.380 unità (5132 medici e odontoiatri e 7374 infermieri), per non parlare dei posti letto di ricovero che vede il nostro paese fra le ultime sette nazioni in Europa secondo l’Eurostat.
Inoltre, relativamente all’ultimo decennio ci sono 276 strutture di assistenza territoriale pubbliche in meno, quelle private sono aumentate di oltre 2mila.
Questi dati sono stati sciorinati in lungo e in largo ma spesso aggregati a distorsioni della realtà, ma è sempre fondamentale riproporli oggi, dopo l’uso strumentale della pandemia e l’uso di una guerra per silenziare i crimini sociali di governo e Regioni. Anche perchè se, come dice Draghi, nei prossimi anni aumenteranno ancora le spese militari addio riforma fiscale per diminuire le tasse, con i grandi evasori che continueranno a godere di condoni fiscali, addio al rilancio della sanità pubblica, se mai ci hanno pensato, per far altro posto al rafforzamento della sanità privata e di quella militare.
Ad esempio la sanità pubblica piemontese (o di quella che ne resta)
Il Piemonte ben rappresenta tutte le Regioni, e ben avviata a emulare la regina della privatizzazione dellla sanità pubblica: la Lombardia.
Nel territorio sabaudo tutto è iniziato con la privatizzazione programmata, con malcelata circospezione, dalla prima Giunta Chiamparino, subito – dopo la chiusura della proficua gestione pubblica degli assessori alla sanità Valpreda/Artesio di Rifondazione Comunista con la Giunta Bresso – è proseguita, senza soluzione di continuità, e con sempre più sfaccitaggine fino ad oggi con la Giunta di destra guidata da Cirio che percorre la strada del privato concedendogli anche i Pronto Soccorso.
In questi regali alla sanità privata il Piemonte all’avanguardia in Italia. Ultimo in ordine di tempo quello dell’ospedale di Ciriè e continua con la chiusura di presidi ospedalieri territoriali, come poliambulatori nelle periferie di Torino, appalti di interi reparti, specialità e sale operatorie (a Torino anche quelle del San Giovanni Bosco, ospedale ritenuto nel decennio scorso un’eccellenza nazionale) e il regalo al privato di ospedali, ultimo in ordine di tempo quello di Settimo Torinese. Mentre a Biella vorrebbero abbattere l’ospedale per far posto all’ennesimo centro commerciale prima della costruzione di un’altra struttura ospedaliera.
Oppure lo smantellamento dell’ospedale Maria Adelaide per far posto a uno “studentato” nonostante ci siano decine di strutture industriali abbandonate. Contro questa chiusura c’è una radicata protesta che si scontra con l’indifferenza del Comune e l’ignavia della Giunta regionale che oggi non trova di meglio che dare il contentino al Comitato di lotta con la concessione di alcuni angusti spazi per uso sanitario.
Ovviamente, nessuna discussione pubblica sul Piano sanitario regionale, negli organismi istituzionali delle circoscrizioni e tanto meno nel Consiglio regionale silente e complice in tutte le sue componenti, a riprova del danno della non presenza di un Partito di sinistra contro la privatizzazione della sanità pubblica.
Però, con insopportabile ipocrisia, in questi anni di pandemia hanno dichiarato ai quattro venti che per curare i piemontesi c’è bisogno di più medici e infermieri, ma allora la domanda sorge spontanea – correlata alll’emorragia di medici verso il privato, i pensionamenti, la mancata assunzione di nuovi medici e i numeri chiusi in facoltà – perchè non si aprono i bandi di assunzione dei medici, compresi quelli che provengono dall’estero che hanno qutti i requisiti per lavorare in Italia?
Richiesta fatta più volte da tempo anche dal sindacato dei medici ANNAO che sottolinea come l’ovvia conseguenza di questa carenza è l’ulteriore allungamento delle già lunghissime liste d’attesa che precludono visite ed esami nelle strutture pubbliche riducendo i servizi a favore degli ambulatori privati sempre più presenti nei quartieri di Torino, come nel resto della Regione,
In Piemonte, nel 2018 il rapporto tra posti letto/100.000 abitanti era di 7.3, al di sotto della media Nazionale di 8.8. Il tasso di occupazione dei letti in rianimazione nel 2018 era già molto alto: i trasferimenti tra ospedali alla ricerca di un posto non erano cosa rara. Che poi manchino anche i medici per gestire i malati sui letti, è un altro problema.
Però la Regione Piemonte stà percorrendo la strada, senza soluzione di continuità e senza vergogna alcuna, favorendo la sanità privata nonostante la malagestione sanitaria di oltre due anni di Covid.
Concludiamo questa breve carrellata con la non considerata emergenza nella quale la psichiatria si trova da un paio di decenni con un costante aumento di pazienti abbandonati nelle famiglie quando non sbolognati in strutture che di terapeutico hanno ben poco. Situazioni di sofferenza – in queste patologie che colpiscono quasi sempre le fasce più povere – oggi amplificate dalla fase pandemica con un aumento dei pazienti anche in neuropsichiatria infantile, con relativo aumento della domanda di servizi a fronte delle poche strutture pubbliche rimaste sul territorio, comunque in sofferenza per i pochi medici rimasti, con accorpamenti dei centri di salute mentale e assenza di continuità assistenziale, medicina territoriale, riabilitativa.
Tutt’altra storia dalla proficua gestione pubblica degli assessori alla sanità Valpreda/Artesio che non avrebbe permesso l’apertura dell’autostrada alla pandemia relegandola in una stretta strada provinciale e sarebbe diventato un esempio di capacità gestionale per tutte le altre Regioni dimostrando che per salvaguardare la salute pubblica l’unica scelta politica è rappresentata da un Servizio Sanitario Nazionale. Lo confermano i morti da covid. anche in Piemonte, nelle RSA e negli ospedali.
Franco Cilenti
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