L’avanzata del neofascismo nelle istituzioni
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Togliatti, scrivendo del fascismo, pose la bruciante domanda:”come questo è stato possibile, come questo può venir meno“? Gramsci rilevava: “non esiste una essenza del fascismo nel fascismo stesso“. E polemizzava con Croce che erroneamente sosteneva che il fascismo era solo una parentesi della storia democratica.
Gramsci guardava, infatti, alle radici del fascismo; in parte attribuendolo allo stratificarsi delle vicende collettive della storia nazionale , a partire dal Risorgimento come “rivoluzione tradita”; ma, soprattutto, collegandolo alle trasformazioni del capitale, di cui il fascismo era strumento e braccio armato. L’analisi gramsciana è, per noi, barra di orientamento.
Essa ci insegna che il fascismo va contrastato ed abbattuto su tre livelli: quello ideologico, perché il fascismo annullava la concezione stessa del conflitto di classe, ingabbiandolo dentro la “nazione”. In secondo luogo come forma di dominio, per la sua capacità di comando in una fase di transizione (perfino antropologica) di una società che da contadino/industriale diventava industriale di massa. In terzo luogo come risposta violenta e depravata in una fase storica che si apre con la “crisi organica” del capitale.
Il nazionalismo è fattore fondamentale della “rivoluzione passiva”. Il cosiddetto “socialismo umanitario” ne fu tramite , avendo costruito tra le masse proletarie e l’intellettualità borghese il senso comune e la falsa coscienza che il conflitto sociale si trasponeva nella difesa della identità della propria “nazione”. Il fascismo è forma autoritaria del governo borghese di una società percorsa da profonde contraddizioni in una fase di sconvolgenti mutazioni sociali e di spaesamento ideologico. Il fascismo è anche prodotto dalla crisi della società delle “corporazioni”: il corporativismo non spegne il conflitto operaio e sociale; il padrone si affida al fascismo militarizzando la società. Non a caso Gramsci, all’inizio del 1933, “con l’aggravamento della crisi internazionale ritorna sulla “rivoluzione passiva” per precisare il modo di condurre la “guerra di posizione” suggerendo una “strategia molecolare”.
Sviluppando questo filone Gramsci ragionò a fondo sulla strategia della rivoluzione territoriale e molecolare, delle “casamatte”, dell'”egemonia”. Lo possiamo verificare anche oggi. Il percorso mussoliniano ha fatto da guida; è stato copiato dall’attuale sovranismo nazionalista e populista. Il quale, dietro la spessa coltre dell’ipocrisia del “popolo” esibito come metafora dell’interclassismo padronale, organizza patriarcato, rancore, violenza, disumanità; come il mussolinismo fece, anche dal nazionalismo attuale l’ignoranza viene rivendicata come odio per i saperi.
Anche ora l’obiettivo è l’abbattimento della democrazia costituzionale, fiaccandola con confuse rivolte reazionarie e vandeane. Anche Mussolini, infatti, partendo da istanze populiste ed “anticastali” approdò alla triade sovranismo/nazionalismo/fascismo, come braccio armato della borghesia per schiacciare il “biennio rosso” operaio. Oggi emergono , per fortuna, in molti paesi europei, le prime crepe, anche sociali, del nazionalismo contemporaneo. Non emerge, però, purtroppo, un saldo progetto alternativo. Dentro la grave crisi della rappresentanza sta prendendo corpo una domanda sociale che reclama una rifondazione della politica. Dedicheremo i prossimi mesi all’organizzazione di una soggettività politica e di una confederazione delle istanze sociali. E’ necessario ed urgente, perché l’antipolitica reazionaria semina paure di massa, sfiducia, ripiegamento su se stessi. Da qui nasce il pericolo della passivizzazione, della spoliticizzazione, che covano in sé il fascismo (magari in forme diverse).
Dovremo porci all’altezza della pericolosa sfida. Non sta avvenendo. Il centrosinistra lascia strada all’aggressività fascista che ha messo in campo la strategia della “negazione” della storia. E’ un’offensiva che permea fortemente le istituzioni. Penso, ad esempio, al cosiddetto “giorno del ricordo”, istituito con legge votata insieme da destre e centrosinistra (legge 92 del 3 marzo 2004); legge che aveva già, di per sé, un obiettivo pessimo: “la memoria condivisa”.
Ora le destre stanno tentando di imporre, anno dopo anno, la propria “memoria”. Quest’anno il presidente Mattarella, con un intervento confuso nel corso del ricordo delle “foibe”, ha dato loro una mano. Gli eredi del fascismo che ha compiuto in Jugoslavia stragi, genocidi di popolazioni slave, oggi vestono i panni di “giudici”, assimilando la tragica vicenda delle “foibe” all’olocausto nazista. Le vittime diventano assassini; i “martiri” diventano “eroi”. E’ una campagna fascista dura, aggressiva.
Quale è, invece, a mio avviso, la verità storica? Le ragioni della Guerra Fredda, l’anticomunismo di Stato postbellico permisero ai governi italiani di non estradare i criminali fascisti in Jugoslavia e di evitare una “Norimberga italiana”. “Italiani brava gente”? Tra l’altro l’Italia repubblicana che nasceva incorporò nelle amministrazioni e nelle Forze Armate , nei servizi segreti e nelle forze dell’ordine molto criminali di guerra. Alcuni li ritroviamo, negli anni ’70, protagonisti dello “stragismo di Stato” e dei tentativi di golpe.
Come scrive lo storico Davide Conti: ” ottanta anni dopo l’occupazione della Jugoslavia un appello di centinaia di storici e studiosi chiede alle istituzioni ed al Paese un atto di coraggio in grado di rielaborare sul piano pubblico questo tragico passato rimosso, assumendo come memoria storica collettiva le responsabilità per i crimini compiuti dal fascismo…“.
I fascisti hanno un disegno preciso: delegittimare, anche moralmente, l’antifascismo, abbattere la Costituzione nata dalla Resistenza. Il fronte democratico, invece, è, inspiegabilmente silente. Si stanno producendo guasti notevoli nel senso comune .
Ha ragione Angelo D’Orsi, con un’analisi filosofica e di grande respiro civico: l’operazione fascista sta sottraendo “all’arsenale sia della metodologia della storia, sia della cultura democratica, una parola che finora esprimeva un certo concetto, ma ora non più La parola è NEGAZIONISMO“.
Con questa parola abbiamo sempre voluto, noi antifascisti, segnalare il revisionismo della storiografia delle destre nei confronti dei campi di sterminio nazisti. Dei quali le destre, con sottovalutazione criminale, hanno sempre negato la partecipazione organica al disegno nazista di genocidio. La campagna dei fascisti sta rovesciando il senso della parola “negazionismo”, ne sta negando il concetto storico originale.
Siamo di fronte ad un’operazione pericolosissima di manipolazione storica; mi preoccupa soprattutto la “pedagogia populista ” che può influenzare tante ragazze e tanti giovani. Vi è un rovesciamento del campo storico: i fascisti assassini diventano vittime dei partigiani. Da parte nostra, dovremmo ricominciare ad essere “partigiani della Costituzione”, che prevede lo scioglimento delle organizzazioni fasciste; il centrosinistra sta permettendo, invece, che le organizzazioni fasciste e razziste si collochino nel cuore dello Stato. Non dobbiamo mai dimenticare lo storico apologo di Martin Niemoller: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me; e non era rimasto nessuno a protestare“.
Giovanni Russo Spena
Giurista. Resp. nazionale PRC Area democrazia, diritti, istituzioni
Articolo pubblicato sul numero di aprile del mensile Lavoroe Salute
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