Lavorare e…non morire di caldo
RETE NAZIONALE LAVORO SICURO Campagna nazionale agosto 2024
La questione microclima e caldo eccessivo si inserisce nel contesto più ampio dell’aumento generalizzato delle temperature, sia per le attività al chiuso che all’aperto. Rapporto ambiente, salute, lavoro. E’ un problema oggettivo che ha ripercussioni soggettive anche a seconda dello stato di salute delle persone (cosa di cui il datore di lavoro deve tener conto).
Attualmente le norme non fissano parametri “obbligatori” e qualora superati non scatta nessuna sanzione.
Tuttavia esistono linee guida e norme igieniche proposte da Istituzioni Pubbliche alle quali il datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi complessivi, deve attenersi. Linee guida alle quali gli stessi Organi di Vigilanza devono far riferimento per emanare disposizioni.
Le uniche soluzioni estemporanee adottate sono il ricorso alla Cassa Integrazione e alla Cassa Integrazione Salariale (FIS) ma questi sono strumenti gestiti unilateralmente dal padrone. Sarebbe più adeguato rivendicare la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Le ordinanze delle regioni ispirate al progetto Inail “Workclimate2.0” tentano di porre una barriera contro condizioni di lavoro bestiali ma stanno avendo effetti contraddittori e poco incidenti.
Per quanto riguarda l’ordinanza Emilia Romagna, il divieto 12.30 -16.00, fa riferimento, sulla base delle mappe di rischio “ondata di calore” del workclimate (https://www.worklimate.it/), ai lavori ad intensa attività fisica esposti al sole per i quali alle ore 12 della giornata in questione vi è la classificazione di rischio ALTO.
La questione caldo, mentre è percepita e subita da chi lavora, è di fatto gestita dai datori di lavoro, di qui la complessità dell’onere dimostrativo da parte degli Organi di Vigilanza che peraltro anziché attardarsi nel ginepraio di norme controverse e contraddittorie dovrebbero adoperarsi a far rispettare i limiti di riferimento sulla temperatura proposti dall’ASHRAE e assumere come limite estremo non valicabile quelli proposti dall’OMS.
È ben noto che le criticità legate all’escursioni termiche vengano meglio affrontate in aziende strutturate e trascurate lungo la catena degli appalti. Le ragioni della progressiva incuria sono sempre e solo di natura economica e di produttività. Anche in questo caso la pressione e compattezza dei lavoratori e lavoratrici determina la qualità della vita lavorativa e in determinati casi della sopravvivenza.
In tutta Italia e, ancora di più, in altri paesi i lavoratori e le lavoratrici sono esposti, tra i tanti, a un ulteriore rischio potenzialmente mortale: le alte temperature. Solo apparentemente si tratta di un rischio “naturale”, in realtà è un rischio strettamente connesso all’organizzazione del lavoro.
L’Onu ha affermato che 2,4 miliardi di persone nel mondo (il 70% della forza lavoro planetaria, al 90% concentrare in Africa e nei paesi arabi) lavora in condizioni di “caldo estremo” e che le elevate temperature esasperano le disuguaglianze sociali, come è avvenuto per il Covid. Si ripropone la storica denuncia di Franco Basaglia sul “morire di classe” e quindi dobbiamo considerare il caldo eccessivo come uno dei tanti rischi professionali che incombono sui lavoratori e sulle lavoratrici, in particolare su chi è assegnato a mansioni pesanti.
UN RISCHIO CHE COME TUTTI GLI ALTRI DEVE ESSERE APPROFONDITAMENTE INCLUSO E VALUTATO NEL DVR AZIENDALE E DISCUSSO CON I LAVORATORI DEL GRUPPO OPERAIO OMOGENEO!
Con il caldo eccessivo i lavoratori e le lavoratrici rischiano dagli effetti acuti non letali (crampi) a quelli potenzialmente mortali (colpo di calore) (1), dunque occorre mettere in campo una strategia di autodifesa della salute fondata sul “gruppo omogeneo”, sulla “non delega” e sulla “validazione consensuale” nei rapporti tra lavoratori e tecnici della salute.
Contestualmente il “padrone” e i suoi consulenti vanno “allertati” perché si assumano le loro responsabilità perchè si tratta di prevenire non solo disagio e malessere ma anche lesioni colpose e come abbiamo detto, persino omicidi sul lavoro come quelli che si sono già purtroppo verificati nel comparto agricoltura, anche associati a lavoro nero e, letteralmente, a “riduzione in stato di schiavitù dei lavoratori”.
Il rischio “alte temperature” va gestito e prevenuto assumendo e rispettando le norme di legge generali a tutela della salute psicofisica e occorre partire da due considerazioni:
- Come al solito è indispensabile “arrivare il giorno prima e non il giorno dopo”, un principio che è a fondamento dell’azione della Rete Nazionale Lavoro Sicuro fin dalla sua nascita. Questo significa non ridursi ad affrontare il problema quando il caldo torrido è già scoppiato.
Occorre seguire un approccio sistemico che punti anche su interventi di bioedilizia per i lavori al chiuso e su altre procedure di prevenzione primaria per i lavori all’aperto. Sul breve periodo poi il calendario del caldo torrido è abbastanza prevedibile e quindi l’organizzazione del lavoro deve strutturarsi per tempo a differenza di quanto accadde col COVID quanto mancavano persino le mascherine; - Dobbiamo anche partire dalla consapevolezza che, se non si invertiranno le dinamiche dei cambiamenti climatici, la situazione potrebbe peggiorare in avvenire.
Se prendiamo spunto dai manuali classici della medicina del lavoro. vediamo che fonti scientifiche autorevoli propongono standard adeguati all’interno di un range che va da un massimo accettabile di 32°C per lavori leggeri e per lavoratori acclimatati a un massimo di 26.5°C per lavoratori non acclimatati che eseguono lavori pesanti.
Se questi sono gli estremi della accettabilità, altre autorevoli fonti (ASHRAE) propongono standard di benessere termico che d’estate non devono superare i 23-26 gradi con UR (umidità relativa) compresa tra il 30 e il 70%; a questi parametri bisogna aggiungere la velocità del vento (ottimale 0.15 metri al secondo).
Attenzione: un termometro/igrometro e un anemometro (velocità dell’aria) si comprano nei supermercati con pochi euro …
Si tratta di parametri suggeriti da autorevoli linee guida che tuttavia, non prevedendo sanzioni significative e immediate, spesso rimangono sulla carta
Alle manifestazioni di disagio e sofferenza che ci sono giunte da tutta Italia cerchiamo di fissare dei punti di riferimento che saranno più o meno conseguibili solo grazie alla forza e alla determinazione dei lavoratori e delle lavoratrici, considerato che da più parti ci viene segnalato un atteggiamento pilatesco dei servizi di vigilanza. La denuncia del malessere è da tenere presente, da parte degli RRLLSS, dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali.
Le Linee Guida elaborate dalla Regione Toscana, pur non esaustive, danno alcune indicazioni molto utili che riportiamo in allegato. Intanto sono state già fatte numerose contestazioni in vari luoghi di lavoro in Italia, da nord a sud, spesso conclusesi in maniera non ottimale, ma quantomeno con azioni di miglioramento. Farsi sentire è sempre buona cosa.
Occorrerebbe fare un quadro di queste azioni per comprendere cosa, con gli attuali rapporti di forza, si può riuscire concretamente a proporre e a ottenere ed evitare in tal modo mediazioni al ribasso.
Per esempio, l’anticipazione del lavoro di una ora o peggio di più di una ora, lascia perplessi (vedi dati scientifici sull’impatto della cosiddetta “ora legale” sulla salute).
È preferibile la riduzione tout court dell’orario di lavoro, ovviamente a parità di salario. L’anticipazione dell’orario praticata nientemeno che con obiettivi di “risparmio energetico” suscitò tempo fa l’approvazione della signora Von der Layen (evidentemente interessata a elevare la produttività del lavoro e non a difendere la salute dei lavoratori). Tuttavia, è una misura che entra in conflitto con i consolidati ritmi fisiologici circadiani anche se apparentemente di lieve entità, che può indurre riduzione del sonno, incremento di incidenti stradali e infarti. I veri “paletti” che ragionevolmente si deve cercare di collocare sono:
- Attuare misure di prevenzione “ il giorno prima” con interventi di bioedilizia sull’immobile sede di lavoro
e sugli spazi circostanti; - Ridurre l’orario di lavoro a parità di salario;
- Introdurre pause congrue (almeno 10 minuti ogni ora) che consentano riposi in aree con microclima
accettabile/fresco e possibilità di fare la doccia (le dermatiti sono uno degli inconvenienti dell’eccesso
di sudorazione); - Facile disponibilità di acqua potabile in contenitori di vetro diffusi capillarmente nel luogo di lavoro e
accessibili a tutti per consentire l’assunzione di almeno 0,75 l. di acqua all’ora; - Disponibilità, in caso di notevole sudorazione, di sali per reintegrare le perdite (cha vanno comunque
usati con cautela, previa responsabilizzazione del medico di base e del medico del lavoro); - Fornitura di vestiti e ddppii bianchi/chiari;
- Formazione di tutti i lavoratori (almeno due ore) con la partecipazione di personale esperto in
prevenzione, formazione dei preposti e degli addetti al primo soccorso (almeno due lavoratori presenti
per turno); - Mense aziendali in luoghi idonei e disponibilità di pasti adeguati alle alte temperatura (frutta
abbondante, no grassi, no eccesso di zuccheri); - BERE, CON ALTE TEMPERATURE, ANCHE PRIMA DI PERCEPIRE SENSO DI SETE (questa ed
altre informazioni pratiche devono essere socializzate con la formazione di tutti i lavoratori); - Monitoraggio preventivo, da parte del medico competente, delle condizioni individuali di vulnerabilità
per patologie o per assunzione di farmaci particolari (la lista dei farmaci problematici è contenuta nel
documento già citato della regione Toscana); - Considerare le differenza di età, di genere e culturali (indicazioni ad hoc per chi rispetta per esempio il
Ramadan); - Organizzazione ergonomica del lavoro che sposti i lavori fisicamente più pesanti alle ore meno calde;
- Il lavoro in condizioni di superamento dei parametri della tabella allegata (E.Sartorelli) deve
essere interrotto: un precedente “storico” è quello, per cantieri all’aperto in edilizia, che
prevede l’interruzione del cantiere in caso di pioggia (ovviamente con copertura salariale
quantomeno per un certo numero di giorni/anno); - Quando la temperatura ambientale è superiore a 35°C siamo oltre l’accettabilità. In questo caso, cer-
care di “rimediare” con ventilatori è inefficace, occorre immettere aria fredda (con l’obiettivo di non
superare gli standards OMS citati; - Il periodo da acclimatazione è di circa 14 giorni: il primo giorno di esposizione al caldo non si deve
sopportare un carico di lavoro superiore al 20% per poi aumentare ogni giorno di ulteriore 20% - PER I LAVORI ALL’APERTO: la situazione è più difficile. Oltre alle misure di prevenzione individuali
(vestiti bianchi, cappelli a falde larghe, occhiali da sole, in alcuni casi creme protettive, scarpe anti-
infortunistiche estive ecc.) la vera e concreta misura di prevenzione è la riduzione dell’orario
senza penalizzazione salariale e vanno altresì evitate attività che causano ulteriori esposizioni
(saldatura, spargimento di bitume, lavori molto faticosi, ecc.); - SOPRATTUTTO PER I LAVORI ALL’APERTO MA ANCHE IN GENERALE: EVITARE
ASSOLUTAMENTE IL LAVORO ISOLATO.
1) I danni da eccesso di caldo non sono solo acuti ma anche, meno appariscenti, cronici soprattutto per i reni, l’apparato cardiovascolare, gli occhi e la pelle.
Necessità di autodifesa ma anche di sinergie:
- Anche se l’esperienza fatta dai lavoratori è spesso negativa (nel senso che gli interlocutori istituzionali,
informati e messi a conoscenza del disagio e del rischio, non si attivano) le condizioni inaccettabili
vanno comunque sempre segnalate agli organi di vigilanza (Ausl e Ispettorato del lavoro).
Anche se questi sono poco reattivi (questo molti lavoratori da più sedi riferiscono) vanno
sollecitati; - Un soggetto da coinvolgere immediatamente è anche il medico “competente”; benché più
correttamente questa figura debba essere definita e considerata “medico di fiducia del datore di
lavoro” è un soggetto che deve essere coinvolto per ricordare al padrone il contenuto delle linee guida
e delle norme ISO in materia (vedi norma ISO 7730) .
Diffondiamo questa prima informativa ai lavoratori, non con la logica della comunicazione cosiddetta
“dall’alto in basso” , ma come un primo stimolo alla discussione e alle iniziative di autotutela e di lotta;
dunque una prima riflessione aperta alla discussione, alle proposte, ai contributi e alle idee che
potranno venire dai lavoratori e dai gruppi operai omogenei.
Si tratta di un primo segnale per costruire “dal basso “una campagna diffusa e capillare “PER NON
MORIRE DI CALDO “inserita in un percorso generale di contrasto a tutti i rischi lavorativi e PER LA
DIFESA DELLA SALUTE.
TABELLA OMS: superati questi limiti di riferimento il lavoro andrebbe sospeso!
Temperature da non superare TEC soggetti non acclimatati TEC soggetti acclimatati
Lavoro
Leggero 30°C 32°C
Medio 28.5°C 30°C
Pesante 26.5°C 28.5°C
Segnalazioni, proposte, osservazioni critiche e alternative possono essere inviate a:
vitototire@gmail.com; cappuccio.1952@gmail.com; enricosemprini@blu.it, ottavia.s@gmail.com
tizianoloreti1803@gmail.com, renatoturturro@gmail.com, e.gallori38@gmail.com, savio.galvani14@gmail.com
davidefabbriblogger@gmail.com
RETE NAZIONALE LAVORO SICURO
Riferimenti bibliografici:
- Linee di indirizzo della regione Toscana (documento disponibile)
- Sartorelli, Trattato di medicina del lavoro, Piccin editore
- Walker, Perché dormiamo, poteri e segreti del sonno per una vita sana e felice, Espress
6/8/2024
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