Lavoro bollente, basta perdere tempo
Delusione a Corso d’Italia dopo l’incontro di ieri tra governo e parti sociali sull’emergenza caldo. La discussione è stata rinviata a un generico impegno per un Protocollo su salute e sicurezza nel cambiamento climatico, di cui non si capiscono né finalità né tempi né strumenti né valore. Per rispondere all’emergenza, quindi, il governo non vede l’urgenza di bloccare le attività con alte temperature e nei settori più esposti, né proteggere l’insieme delle lavoratrici dei lavoratori indipendentemente dai rapporti di lavoro. Ne parliamo con Francesca Re David, segretaria nazionale della Cgil: “Spetta a noi farlo continuando a chiedere incontri alle aziende e alle istituzioni locali per modificare l’organizzazione del lavoro e a fermarlo quando necessario”.
Qual è il giudizio sull’incontro con il governo?
Deludente. Evidentemente non ravvede l’emergenza e l’urgenza per le condizioni di lavoro determinate dalle temperature abnormi, eppure negli ultimi giorni sono morti lavoratori a causa del caldo. Ci è stato proposto un protocollo che dovrebbe esser firmato solo dalle parti sociali, non dal Governo, che altro non è che il riassunto di provvedimenti già esistenti contenuti nel Testo unico su salute e sicurezza, la Legge 81. Quindi nulla di cogente. È stato escluso un provvedimento per bloccare il lavoro in determinate condizioni e temperature, fondamentale anche per sostenere con la contrattazione diversi orari, turni, pause, la fornitura di dispositivi. Non c’è nulla sull’adeguamento dei contratti di servizio in modo da non ostacolare la rimodulazione degli orari da parte delle aziende di pubblica utilità. Noi avevamo chiesto invece che, in determinate condizioni dovute a alte temperature il lavoro si fermasse, come stanno peraltro facendo in molte regioni e comuni del Sud e questo naturalmente avrebbe sostenuto una contrattazione per la rimodulazione degli orari, tempi, pause. Nulla!
Francesca Re David
Niente di positivo, quindi?
L’unico elemento che risponde a una nostra richiesta è l’esclusione dal computo delle 52 settimane di cassa integrazione per gli edili di quella per il caldo e qualcosa sul lavoro agricolo, ma solo per i dipendenti a tempo indeterminato, mentre nei campi adesso lavorano prevalentemente gli stagionali per la stragrande maggioranza dei lavoratori in agricoltura. Il governo dichiara di voler affrontare l’emergenza caldo, ma solo a parole.
Si è parlato di cassa integrazione straordinaria, di cassa integrazione a ore, nulla a questo proposito?
La cassa integrazione per il caldo era stata già introdotta l’anno scorso, con un meccanismo molto farraginoso perché dipende dai bollettini dell’Aeronautica militare. Avevamo chiesto una procedura più semplificata per accedervi e di estenderla. L’unico risultato positivo è, appunto, l’esclusione dal computo per la cassa integrazione edile che invece veniva conteggiata nelle 52 previste. È stato annunciato un decreto legge entro un paio di giorni, ma per esempio, tutto il lavoro non subordinato, a cominciare dai rider, non ha alcuno strumento a disposizione. Soprattutto, ripeto, il fatto più sconcertante è che non vi è alcuna considerazione del fatto che ci sono delle condizioni in cui non si può lavorare. Posso solo immaginare che cosa può succedere ad agosto a Roma sui lavori per il Giubileo.
Insomma, nulla nemmeno su come facilitare la rimodulazione degli orari a cominciare dallo spostamento in orario notturno di alcuni lavori?
Nulla. Mentre alcune regioni ed enti locali stanno facendo ordinanze e provvedimenti per vietare alcune attività negli orari più caldi. È chiaro che questo comporta una riorganizzazione del lavoro che si può fare più agevolmente se esistono strumenti per dare copertura a pause e soste senza farle dipendere solo dalla forza contrattuale che si riesce a esercitare, senza che però ci sia nessun vincolo e nessun obbligo. Per alto, già la Legge 81 e la circolare ministeriale sulle condizioni in cui si può o non si può lavorare affermano delle cose precise ma non esistono strumenti per rendere cogenti quelle indicazioni.
E non esiste nemmeno un numero sufficiente di controlli per verificare che almeno le norme contenute nel Testo unico vengano applicate…
Esattamente, per questo dicevo, le norme esistono, sappiamo che in gran parte non vengono rispettate, c’è bisogno di qualcosa in più per farle rispettare. Serve un intervento legislativo.
Perché il governo non ha voluto intervenire con un decreto legge e non ha voluto, per esempio, introdurre la cassa integrazione straordinaria anche per i lavoratori agricoli stagionali e per quanti non subordinati operano in condizioni dannose per la salute?
Evidentemente non intendono mettere a bilancio di più di quello che hanno già appostato. E poi continua la logica, già emersa nel Decreto del primo maggio, di non normare più di tanto il mercato del lavoro, ci si affida alla buona volontà. Buona volontà di non si sa chi. Tra l’altro nel lavoro agricolo non c’è un problema di interromperlo, perché le colture sono adesso. Il problema è come spingere e facilitare la riorganizzazione delle attività che permetta di lavorare fino alle 11 della mattina, magari e poi avere 1 o 2 ore di cassa che consentano di completare la giornata. Sono queste le cose necessarie per rendere compatibile il fatto che ci sono le colture da raccogliere e le condizioni di chi lavora. E invece ci è stato proposto un protocollo, da nessuno accolto con grande entusiasmo, sul cambiamento climatico, immagino da farsi in autunno. Non se ne capisce il senso.
Intravedo due problemi, il primo è che l’emergenza caldo è oggi. La seconda questione è che se tutto viene lasciato alla contrattazione tra le parti sociali, un conto sono le aziende grandi dove è forte il sindacato, ma nella miriade di aziende piccole, da quelle edili a quelle agricole, passando per le piattaforme per i rider, dove la contrattazione è più difficile che succede?
Ci sono diversi ordini di problemi. Da una parte il governo riconosce che esiste un cambiamento climatico con cui fare i conti, siamo fuori dal negazionismo e questo è positivo. C’è poi la questione del cosa fare per l’emergenza di oggi e allora il problema è come far rispettare le norme che esistono, come renderle cogenti. E come dotarsi di strumenti che quando si decide che ci si deve fermare valgano per tutti, anche per chi non ha un rapporto di lavoro subordinato. Questo è lo spartiacque fondamentale.
Roberta Lisi
26/7/2023 https://www.collettiva.it
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