Lavoro in banca? E’ sfruttamento e degrado

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Il contratto dei bancari è sempre stato uno dei migliori impianti contrattuali italiani ed ancora resiste il pregiudizio sulle 16 mensilità e la tendenza a considerarne gli aderenti dei privilegiati.

Premesso che personalmente ho una certa repulsione verso chi considera come privilegiato chi sta anche solo un po’ meglio di lui, purtroppo non tutto quello ciò che brilla … Ci sono anche aspetti che rendono il contratto, ed in fin dei conti la condizioni di lavoro dei bancari, non così meraviglioso come molti ritengono.

Certamente i bancari condividono con gli altri lavoratori italiani il degrado generalizzato delle condizioni di lavoro che si manifesta sia nell’aspetto retributivo che nell’ambito normativo, nel quale gli arretramenti sono particolarmente rilevanti in termini di area contrattuale o di condizioni di lavoro, sempre più denigranti.

Diverse analisi effettuate sui dati Ocse confermano che l’Italia è stato l’unico paese europeo a far registrare nel periodo 1990-2020 una contrazione della remunerazione in termini reali. La Spagna, penultima, ha comunque evidenziato una piccola crescita… insomma almeno il segno + davanti. Anche nel settore bancario non si è ottenuta una diversa ripartizione dell’aumento di produttività tra capitale e lavoro e l’allineamento all’inflazione è sempre posticipato di almeno un paio d’anni e di conseguenza il livello retributivo non è più così distintivo come una volta. Recenti dati comunicati alle organizzazioni sindacali fanno registrare salari che, per i livelli più bassi previsti dal contratto, si aggirano intorno ai 24.000€ annui lordi ed anche i livelli impiegatizi più bassi raggiungono a stento i 30.000€, un livello retributivo da salario minimo o poco più. Anche l’andamento della dinamica verticale è una curva ben poco inclinata e significativi miglioramenti retributivi si raggiungono solo grazie all’anzianità lavorativa o negli inquadramenti più elevati, tra l’altro proprio quei livelli organizzativi che le donne hanno più difficoltà a raggiungere.

Infatti, forse meno che in altri settori, anche la disuguaglianza di genere è un elemento distintivo del comparto bancario. Recenti dati relativi ad una grande banca evidenziano che a fronte di un rapporto complessivo di parità occupazionale, a partire dai quadri intermedi e procedendo verso l’alto nella gerarchia aziendale la presenza femminile crolla miseramente fino a raggiungere uno scoraggiante 1 su 5 tra dirigenti. Ed anche l’andamento delle promozioni e delle nuove assunzioni tende a continuare a replicare lo schema che vede le donne sempre distanti dai posti di comando. Non ci sono quindi concrete speranze di cambiamenti né nel breve né nel medio periodo.

Il settore: calo occupazionale e remotizzazione del servizio

Le politiche industriali attuate dai banchieri, da molti definite “la spremitura del limone”, sono orientate principalmente alla riduzione dei costi al fine di garantire importanti dividendi agli azionisti. Posto che il risultato finale è di per sé poco auspicabile per la banale considerazione che alti dividendi diminuiscono il valore della società in termini reali facendo mancare l’apporto di investimenti operativi, il “fare cassa” si è tradotto in due principali direttive: la contrazione occupazionale e la desertificazione bancaria.

A livello occupazionale, a partire dai primi anni 2000 e successivamente all’introduzione di un fondo “rottamazione”, il settore ha sperimentato una serie di esodi che hanno consentito alle banche enormi risparmi e ridotto enormemente il peso del costo del lavoro sul totale dei costi operativi. In 5 anni sono stati chiusi oltre 5.000 sportelli (-20%) e gli organici scesi del 6% (fonte Centro Studi CGIL).

Il rilevante saldo occupazionale negativo è stato solo molto marginalmente scalfito dal numero di neoassunti che spesso è largamente insufficiente a coprire le esigenze organizzative mentre il maggior carico di lavoro ricade quindi su chi rimane.

La cosiddetta “desertificazione” bancaria, ovvero la riduzione degli sportelli sul territorio, è la conseguenza diretta di un nuovo modello di servizio che le istituzioni finanziarie hanno sostanzialmente imposto alla clientela. Il passaggio ad un rapporto di servizio erogato per lo più attraverso canali digitali ha consentito la chiusura di molte filiali fisiche presenti sul territorio causando disagi alla clientela soprattutto quella con minore educazione digitale. Meno filiali vuol dire meno occupazione ma anche riduzione dell’attivo immobiliare. Negli anni la dismissione del patrimonio immobiliare delle Banche, spesso localizzati nelle piazze centrali dei piccoli paesi, è avvenuta attraverso la creazione di fondi di investimento ad hoc non di rado riservati a fondi pensione negoziali. In pratica le vecchie filiali sono diventate proprietà dei dipendenti o ex dipendenti stessi!

Non ho nessun rimpianto delle infinite code allo sportello degli anni della mia giovinezza, quando accompagnavo i miei genitori in infinite attese, e del tempo necessario per svolgere anche le più semplici operazioni ma, come consumatore e cliente, ho diritto di ricevere il servizio nel modo che desidero e non in quello imposto da chi dovrebbe servirmi.

La grande fuga di quelli che possono…

Ma sono le condizioni di lavoro l’ambito nel quale si è registrato il crollo … L’autoritarismo ha sostituito nel tempo quel già non molto di autorevolezza che avevano i managers bancari italiani degli anni ’90, allineando lo stile manageriale a quello di buona parte del notoriamente retrogrado management italico.

Le pressioni commerciali si accompagnano quasi sempre a modi molto aggressivi e denigranti.

Umiliazioni ed anche insulti sono non di rado rivolti a chi “non tiene il ritmo”, ovvero a chi non raggiunge gli obiettivi attesi da budget pretenziosi. Obiettivi quantitativi, che non dovrebbero neppure essere consentiti, ed in generale un clima da caserma ed il “lecchinismo” come atteggiamento gradito ai capi. In un ambientino del genere non c’è da stupirsi se sono sempre di più i lavoratori con patologie derivanti da stress lavoro correlato.

Purtroppo la difesa dei colleghi da parte dei sindacati firmatari di contratto è palesemente inadeguata (c’è solo una mail “sfogatoio” …) come dimostra l’assoluta continuità e attualità del fenomeno.

La tanto sbandierata soddisfazione dei lavoratori bancari si evidenzia anche nel tasso “bulgaro” di adesione alle proposte di esodo che sono prive di ogni elemento di incentivo … non ce n’è bisogno, è sufficiente avere una via di fuga!

Scarse poi le possibilità di crescita per un giovane che spesso viene illuso da un marketing interno che si propone di ribaltare la realtà di aziende scarsamente attente alle risorse umane, risorse umane spesso considerate solo un costo e alienabili come complementi di arredo insieme alle filiali stesse.

Le novità contrattuali e le politiche di conciliazione vita-lavoro

Il nuovo modello di servizio ha imposto la creazione di nuove figure professionali e nuovi processi operativi. Ad esempio, la remotizzazione del rapporto ha richiesto l’attivazione delle “Filiali On Line” ovvero di uffici di tipo call center per rispondere alle richieste della clientela che si caratterizzano per lavorazioni molto standardizzate ed un processo operativo che lascia pochi spazi di discrezionalità ma con la presenza di indicatori anche quantitativi nella valutazione delle “performance” dei colleghi. Il cottimo del nuovo millennio! Anche nei Back Office amministrativi o nell’area IT il mutamento ha implicato una sempre maggiore proceduralizzazione dei processi, sempre più “blindati”, il ricorso sistematico alle esternalizzazioni e, in sostanza, attività a più bassa professionalità.

In generale le politiche sindacali concertative sono state di accompagnamento a tale progetto: fondo rottamazione a inizi anni 2000, fungibilità per aree (il direttore di filiale adesso è un impiegato, nemmeno un quadro …), introduzione di nuove figure professionali, remotizzazione del lavoro nelle sedi centrali, ecc.

Il settore bancario viene da molti ritenuto un “laboratorio” nel quale inserire novità normative che poi potrebbero estendersi anche ad altri settori.
Ad esempio si registra la nascita di una nuova figura professionale: i “minotauri”. Si scomoda la mitologia ma è semplicemente un lavoratore che per metà del tempo lavora sui clienti per conto della banca e per metà fa il promotore indipendente. Dopo 3 anni l’azienda è tenuto ad assumerlo. Risultato? Quelli bravi si sono fatti la clientela e non di rado se la portano via e non ci pensano proprio a fermarsi in banca. Rimane chi non ha fatto molto e la banca è obbligata ad assumerlo, anche se non sempre sembra farlo … ma tanto non c’è mai nessuno che controlli che gli accordi vengano rispettati. Comunque la si veda è un obbrobrio giuslavoristico. Che sostanzialmente mira a portare precarietà all’interno dell’alveo contrattuale. Ci sono cassandre che ipotizzano un possibile utilizzo di partite IVA nelle filiali.

Nell’ultimo periodo sono poi stati introdotti in Intesa Sanpaolo alcuni elementi innovativi, quasi prototipali rispetto agli altri settori: la cosiddetta “settimana corta” o “4×9”, come l’articolazione oraria settimanale, e lo smart working.

Le prima in particolare ha avuto vasta eco sugli italici mezzi di informazione dove, come al solito, le notizie sono pompate a seconda delle esigenze del momento. Purtroppo, al di là della definizione in stile marketing accattivante, la realtà dei fatti è ben diversa e l’enfasi deve essere un po’ ridimensionata. Innanzitutto la possibilità di articolare la settimana lavorativa su 4 giorni è possibile al massimo 1 settimana al mese ed oltretutto la Banca si riserva di sospenderla quando vuole (ed esempio d’estate…) e ci sono ulteriori vincoli per la fruizione. Inoltre tale facoltà è stata introdotta solo per i lavoratori delle sedi centrali mentre in rete per decine di migliaia di colleghi sono state previste solo limitate “sperimentazioni”, circa 300 filiali a regime su oltre 3.300. Insomma, per ora, un topolino.

Va ricordato poi che proprio per questa rigidità, l’attuazione della nuova opzione lavorativa è inizialmente avvenuta in assenza di un accordo sindacale e sulla base di una sottoscrizione individuale di una proposta unilaterale dell’Azienda. Una bella botta all’impianto normativo del contratto collettivo e che apre la strada ad una possibile atomizzazione del rapporto con i lavoratori.

Lo smart working era già presente da tempo in Intesa Sanpaolo, ma la recente sottoscrizione di un accordo sindacale ha consentito di estenderne l’utilizzo. Con il nuovo testo, i dipendenti della sede centrale hanno la possibilità di lavorare da remoto 120 giorni l’anno e per alcune figure professionali i giorni a disposizione salgono a 140. Anche in questo caso una gran parte dei lavoratori, quelli di rete, è ancora esclusa in quanto al momento la sperimentazione verrà estesa ad un massimo di circa 500 filiali.

Occorre poi considerare che si tratta più di telelavoro che di un vero smart working il quale invece richiederebbe uno stravolgimento delle attuali organizzazioni aziendali ed una rielaborazione dei processi. Insomma lo SW serve principalmente a risparmiare sulle strutture e a ridurre i giorni di “mugugno”, direbbero i genovesi, sul posto di lavoro. Quando le persone si parlano e si confrontano poi potrebbero anche prendere coscienza … In questo modo, invece, completo distacco con buona pace della socialità, della coesione e della solidarietà tra i lavoratori.

Un nuovo modo di lavorare che ha avuto una accelerazione con il Covid: un balzo in avanti di 3-4 anni. Ma l’accelerazione è stata, oltre che tecnologica, anche organizzativa e manageriale: la pandemia ha imposto anche ai mega super illuminati capi di accettare che i dipendenti potessero lavorare da casa. Oibò! Molti hanno scoperto che la gente lavorava lo stesso (o non faceva un caxxo uguale).

Tutto rose e fiori?

La delocalizzazione del lavoro ha consentito (e consentirà) enormi risparmi per le banche, producendo una flessibilità che non viene remunerata (brutto segnale anche in chiave prospettica). Il ragionamento è il seguente: ti lascio stare a casa ma non ti do un euro di indennità nonostante tu vada ad occupare spazio in casa tua sottraendolo ai tuoi familiari e sostenendo anche dei costi relativi ai consumi. Ma le preoccupazioni nascono anche relativamente, ad esempio, alla postazione di lavoro a disposizione che dovrebbe rispondere, come quella di ufficio, a precise indicazioni a tutela della salute del lavoratore. Non solo i vantaggi economici della flessibilità sono appannaggio della proprietà, ma i risparmi si ottengono anche riducendo il controvalore del già difficilmente utilizzabile ticket pasto. Beh … quando sei a casa mangi di meno? Una beffa.

È bene ricordare che la categoria ha una composizione sociale anche variegata e con i livelli salariali attuali non è detto che tutti abbiamo la possibilità di avere case nelle quali attrezzare una postazione di lavoro. Per rispondere a questa necessità Intesa Sanpaolo ha così attivato degli HUB, ovvero delle postazioni di lavoro dislocate sul territorio, nelle filiali residue ma in futuro anche in altri locali costituti ad hoc, a disposizione dei colleghi che possono così individuare una sede di lavoro più prossima alla propria abitazione. Naturalmente anche per gli HUB andrebbero meglio valutati gli aspetti relativi alla salute e sicurezza del lavoro.

Smart working e settimana corta vanno sotto il capitolo “Conciliazione tempi di vita e lavoro”. Bel nome, accattivante, ma come si è detto in realtà è semplice telelavoro. Se poi, in interventi pubblici, viene lodata la lavoratrice che “ha risposto alla telefonata di lavoro anche mentre stava allattando” nasce il più che legittimo sospetto che il termine “conciliazione” si possa trasformare in “commistione”.

È questo il modo di lavorare che vogliamo? In questo momento è bene anche pensare a cosa si vuole veramente. Non si rimpiangono certo i reparti carrozzeria della Fiat ma forse si può fare un qualcosa in più C’è l’idea di un lavoro diverso che al momento sembrerebbe spingere verso desocializzazione, frammentazione dei processi, bassa o molto specifica professionalità, parcellizzazione delle lavorazioni che risultano spesso a basso “valore aggiunto” (come si diceva prima: FOL, reclami, BO).

L’altrettanto sconfortante panorama sindacale

E poi concertazione, concertazione e ancora concertazione: tutti insieme appassionatamente, dai sindacati di categoria alla triplice. Solo così un sindacato acquisisce il diritto a sopravvivere, mostrandosi disposto a suonare nell’unico concerto. Le banche sono ovviamente interessate e sponsorizzano con posti in enti del welfare o lasse faire personalizzati ed un certo bel numero di distacchi a chi collabora attivamente nel remare nella “giusta direzione”. E guarda caso, sono trent’anni che non si fa più uno sciopero degno di questo nome. I contratti si sono succeduti negli anni concedendo sostanzialmente tutto quello richiesto e registrando arretramenti in tutti gli ambiti, anche quello reddituale.

Solo con l’ultimo contratto si è ottenuto un deciso recupero dell’inflazione o poco di più, ma è curioso che di fronte alle richieste della piattaforma il CEO di Intesa Sanpaolo abbia commentato: “Non è un tema …”, come a dire che si è chiesto ben poco! Anche gli accordi sui premi di produzione, nel migliore dei casi meno di 1000€ netti, sono quasi offensivi se si tiene conto di quanto guadagnano le Banche.

Reazione? “Meglio che niente” è quello che si sente dire in giro …

Ancora unico settore senza RSU, dal 2000 l’unica voce fuori dal coro è stato un piccolo sindacato, la SALLCA CUB, che in questi anni ha cercato di mettere granelli negli ingranaggi del meccanismo, controinformando e mobilitando, quando possibile, una categoria ormai assopita. Un’esperienza quasi “eroica”, senza agibilità sindacale, in isolamento e spesso sotto il fuoco incrociato, anche quello di coloro che avrebbero dovuto essere amici.
In realtà nel settore bancario è il ruolo stesso del sindacato che viene a mancare. Ormai è il quadro generale, economico, sociale e soprattutto culturale, che condiziona i rapporti tra impresa e lavoratori e la frattura con il sindacato sempre più profonda. Per un sindacato di base, che si nutre di disagio e contrapposizioni, è difficile trovare spazio e compagni di strada … Del resto la mancanza di democrazia sul posto di lavoro è proprio funzionale a questo progetto politico superiore e apparentemente inarrestabile

In definitiva anche tra i bancari il disagio non riesce a tradursi nemmeno in elaborazione … tutti supini a subire passivamente … Tutto tristemente in linea con le dinamiche attuali: stiamo diventando una categoria (un Paese?) di entusiasti coprofagi?

Gian Paolo Gallizio

Sindacalista CUB Torino

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