Lavoro pubblico, la beffa del rinnovo contrattuale
I contratti sono scaduti, per il 2022-24 i soldi il governo non li mette. Poche risorse per gli aumenti, nulla per le assunzioni. Se non mobilitazione cosa?
Esiste un numero che spiega il contrasto tra governo e Fp Cgil: riguarda la soglia di aumento previsto dall’Aran (agenzia governativa che si occupa della contrattazione per i dipendenti pubblici) per gli aumenti previsti per i rinnovi contrattuali dei lavoratori e delle lavoratrici pubblici. È 5,78%, peccato che questo incremento ipotizzato per i rinnovi del triennio 2022-24 non solo sia più basso dell’incremento previsto nel triennio precedenti, ma è assai lontano dal mero aumento del costo della vita, cui corrisponde la diminuzione del potere di acquisto delle buste paga, causato dall’inflazione galoppante.
Ecco, se solo si volesse recuperare il potere di acquisto precedente senza ipotizzare aumenti, l’incremento dovrebbe essere del 17%. Davvero una bella differenza. Il datore di lavoro governo pensa di cavarsela con meno di un terzo del recupero dell’inflazione. È ben chiaro, allora, come qualunque trattativa sia minata da quella cifra che fa velo su tutto il resto, a cominciare dalla parte normativa del contratto.
Le lavoratrici e i lavoratori pubblici
Sono circa 3 milioni, come si sa rispetto ai colleghi degli altri Paesi europei percepiscono salari assai più bassi. Non solo: rispetto ai cittadini e alle cittadine residenti sono pochi, troppo pochi, quindi sottoposti a carichi di lavoro insopportabili. Pensiamo a medici e infermieri, ma anche agli assistenti sociali o a quanti lavorano nei Comuni, talmente pochi che per riuscire a sbrigare le pratiche legate al Pnrr molti enti locali hanno dovuto ricorrere ad assunzioni straordinarie a tempo determinato o ad avvalersi di professionisti esterni alle amministrazioni.
A insaputa del ministro?
Il professor Paolo Zangrillo da quasi due anni siede alla scrivania del ministero della Pubblica amministrazione, ma parla come se non fosse lui il responsabile di quei tre milioni di donne e uomini che garantiscono il funzionamento dello Stato.
Affermava il ministro pochi giorni fa: “Dobbiamo lavorare per l’attrattività della pubblica amministrazione. Noi perderemo, da qui al 2032, un milione di persone che andranno in quiescenza. È un problema, ma è anche una grande opportunità”. Ha aggiunto che “le nuove generazioni non si accontentano del posto fisso, dobbiamo creare una pubblica amministrazione che sia capace di valorizzare il suo capitale umano. Abbiamo bisogno di essere attrattivi anche dal punto di vista retributivo, riconoscendo il valore delle persone”.
Zangrillo in wonderland
La risposta a queste – forse – improvvide affermazioni arriva da Serena Sorrentino, segretaria generale della Fp Cgil: “Il ministro parla come se il dicastero responsabile non fosse il suo e come se le scelte del Governo Meloni non stiano smembrando la pubblica amministrazione. Sono anni che rivendichiamo un piano straordinario di assunzioni per far fronte al fatto che la generazione degli anni Ottanta, entrata in massa nel mondo pubblico, sarebbe arrivata al pensionamento in questi anni creando un vuoto amministrativo che in alcune amministrazioni è una vera desertificazione con chiusure di sedi, uffici e esternalizzazioni a fare da unico rimedio”.
La questione? Le risorse
Questo il punto:le risorse stanziate con la scorsa legge di bilancio, così come Cgil e Fp più volte avevano sottolineato, sono assolutamente insufficienti, sia per il rinnovo del contratto sia per il necessario piano straordinario di assunzioni. E allora non è affatto peregrina la richiesta di tutta la categoria, che all’ultimo incontro ha sottolineato Florindo Oliverio, segretario nazionale Fp Cgil: “Aspettiamo a chiudere i contratti, non c’è alcuna fretta di farlo. Occorre prima leggere testi e tabelle della prossima legge di bilancio. Lì dovranno essere stanziate le risorse che mancano per il rinnovo 2022-24”.
La tendenza all’autoreferenzialità
I sindacati e la contrattazione sono ritenuti dal governo, se va bene poco rilevanti, se va male un impaccio. Non è un caso che i diversi ministeri procedano per atti unilaterali. È capitato a dicembre per i lavoratori e le lavoratrici in divisa, è successo per gli addetti delle funzioni centrali del Dipartimento della giustizia.
Aggiunge a tal proposito Oliverio: “Aumentare le retribuzioni dei dipendenti pubblici è la nostra richiesta dall’inizio delle trattative in corso, sia al ministero della Giustizia, dove la responsabilità del ministro è di non dare impulso per la definizione del contratto integrativo e per il definitivo passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento, sia per tutto il comparto delle funzioni centrali”.
Messa in discussione del ccnl
Forse è questo uno degli obiettivi di Meloni e dei suoi ministri: “Con i tanti atti unilaterali il governo conferma la volontà di mettere in discussione lo strumento del contratto collettivo nazionale di lavoro come autorità salariale e nella disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. Conferma anche che il problema vero non è far parte o meno del comparto delle funzioni centrali o rientrare nel regime di diritto pubblico, ma avere a che fare con un governo, ministri e sottosegretari che hanno una visione proprietaria dello Stato e gestiscono le risorse pubbliche in maniera clientelare, dividendo le sorti delle lavoratrici e dei lavoratori fino al livello del singolo posto di lavoro, quando non addirittura erogando somme ad personam”.
Da comparto a comparto
Se dai ministeri, le agenzie statali e gli enti non economici si passa agli enti locali la musica non cambia. La segretaria nazionale Fp Cgil Tatiana Cazzaniga aggiunge: “Durante il terzo incontro con Aran dello scorso 11 luglio abbiamo ribadito che il 5,78% di aumento è totalmente insufficiente a garantire il riconoscimento dell’aumento del costo della vita dei dipendenti delle funzioni locali che sono, tra i dipendenti pubblici, quelli che percepiscono il salario più basso. Le risorse economiche stanziate, e in buona parte già erogate attraverso l’Indennità di vacanza contrattuale rafforzata, dovrebbero coprire indennità, produttività, incentivi, progetti, oltre al nuovo sistema di classificazione previsto nello scorso contratto e, visti gli scarsi finanziamenti, poco utilizzato. Se vogliamo rendere attrattivo lavorare in un ente locale bisogna investire: il contratto è una gamba, l’altra è un piano straordinario di assunzioni”.
E poi la sanità
La trattativa per il rinnovo del contratto di questo comparto è partita lo scorso marzo. Con una zavorra gravosissima: la profonda crisi del sistema sanitario nazionale, la carenza di medici e soprattutto infermieri, nonché la fuga di quanti in servizio cercano sbocco nel privato o all’estero. Lunghe liste di attesa, poche prestazioni, servizi insufficienti. Che le risorse stanziane fossero poche lavoratrici e lavoratori lo hanno sostenuto fin dall’autunno scorso, addirittura scioperando. Ma anche per loro vale un solo numero: 5,78%. Nulla sul piano straordinario di assunzione, e solo con l’ultimo decreto – finto – sulle liste di attesa si comincia a ipotizzare, ma dal 2025 (se tutto andrà come deve), di far saltare il tetto di spesa per il personale.
Amari commenti
Per il segretario nazionale Fp Cgil Michele Vannini quel 5,78% “chiude qualsiasi prospettiva di sviluppo di carriera legata al sistema degli incarichi introdotti con il precedente contratto, così come impedisce l’altrettanto necessario adeguamento delle indennità. Non ci sono quindi, a oggi, strumenti adeguati a fermare l’emorragia di professioniste e professionisti che abbandonano il servizio pubblico anche a causa dei carichi di lavoro insostenibili.
Per di più, prosegue Vannini, dalle proposte “portate dall’Aran al tavolo fino a questo momento, in materia ad esempio di orario di lavoro, emerge con chiarezza l’intenzione di far fronte alle carenze di organico spremendo ulteriormente il personale in servizio. Una situazione nel complesso intollerabile, contro la quale abbiamo già dichiarato l’intenzione di proseguire con la mobilitazione”.
Per i medici va pure peggio
Se per le funzioni centrali o per il comparto sicurezza una qualsivoglia trattativa è cominciata, per medici e sanitari non è stato nemmeno presentato l’atto di indirizzo per il rinnovo contrattuale. Afferma allarmato Andrea Filippi, responsabile nazionale medici Fp Cgil: “Il decreto sulle liste d’attesa prevede la flat tax anche per le prestazioni aggiuntive dei medici dipendenti, senza risorse aggiuntive, ma finanziato con quelle del Fondo sanitario nazionale, sottraendole quindi alle assunzioni di personale. Da tempo chiediamo risorse aggiuntive per i rinnovi contrattuali 2022/24 che, a tutt’oggi, sono definanziati rispetto all’inflazione del triennio. E invece il governo risponde detassando la libera professione”.
Per Filippi questa è “la rappresentazione plastica di una scelta politica e di una visione frammentata del servizio sanitario nazionale. Si sta andando sempre più verso un rapporto di lavoro libero-professionale, in cui anche i dirigenti medici e sanitari, con contratti fermi e inadeguati, devono diventare, secondo il governo, imprenditori di se stessi, lavorando di più a cottimo, a prestazione aggiuntiva agevolata dalla detassazione”.
Sicurezza cercasi
Tra le richieste che esulano dagli aumenti contrattuali ce n’è una che viene reiterata rinnovo dopo rinnovo senza che nulla accada. Può lo Stato garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici se non comincia dai suoi dipendenti? Poche settimane fa due vigili del fuoco sono morti mentre cercavano di spegnere un incendio, svolgendo la funzione per principale del loro lavoro. Nessuno ha ricordato che né loro né gli uomini e le donne del corpo della Polizia penitenziaria – pur svolgendo un lavoro pericoloso – hanno l’assicurazione Inail contro gli infortuni. Perché?
Non resta che la mobilitazione
Nessuna reale risorsa né per i rinnovi contrattuali né per le assunzioni, per non parlare di adeguamento del valore dei buoni pasto o dell’aumento dei congedi parentali, magari partendo dall’innalzare quelli per la paternità. Nessun reale investimento, non solo economico, in formazione per affrontare le sfide tecnologie inevitabili. E per di più la surrettizia messa in discussione del ccnl. Che altro se non la mobilitazione? Lo scorso 31 luglio sono scesi in piazza gli operatori e le operatrici del comparto sicurezza. Poi viene agosto, e con settembre, a fianco alla straordinaria mobilitazione per la sottoscrizione del referendum contro l’autonomia differenziata, che se entrasse in vigore sancirebbe la definitiva crisi delle pubbliche amministrazioni, assisteremo – probabilmente – anche a quelle delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici.
Roberta Lisi
2/8/2024 https://www.collettiva.it
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