“Le armi sono un vaccino”. In due anni investiti quasi mille miliardi di dollari in armamenti

Più armi per tutti in Europa. Von der Leyen: «Faremo come con i vaccini». n due anni investiti quasi mille miliardi di dollari in armamenti, per gli ordigni impiegato il 2,2% del Pil mondiale. Un F35 costa come 3.244 letti in terapia intensiva, un sottomarino vale 9.180 ambulanze. 

L’Unione europea si svegli «con urgenza, i rischi di una guerra con Putin «non dovrebbero essere esagerati, ma vanno affrontati». Bisogna quindi «ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri. sforzarsi di sviluppare e produrre la prossima generazione di capacità operative per vincere la battaglia. E per assicurarsi di avere la giusta quantità di materiale e la superiorità tecnologica di cui potremmo avere bisogno in futuro» .

Se il presidente francese Macron non esclude l’invio di truppe in Ucraina, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo intervento di ieri alla sessione plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo ha intonato un armiamoci o stringiamoci a coorte. «Dobbiamo potenziare molto velocemente la nostra capacità industriale di difesa nei prossimi cinque anni» ha detto. L’idea di una pace permanente e la convinzione che l’economia russa sarebbe crollata portandosi Putin con sé sono solo «illusionI andate in frantumi». Ma dopo l’invasione dell’Ucraina c’è soprattutto «l’illusione che l’Europa, da sola, facesse abbastanza in materia di sicurezza, sia essa economica o militare, convenzionale o informatica». Per questo ora «l’Europa deve spendere di più» per la difesa, dando priorità agli appalti congiunti. «Proprio come abbiamo fatto con i vaccini o con il gas naturale».

Ma gli alleati stiano tranquilli, «un’Europa più sovrana inmateria di difesa è un rafforzamento della Nato». In ogni caso «con o senza il sostegno dei nostri partner, non possiamo permettere che la Russia vinca. E il costo dell’insicurezza, il costo di una vittoria russa, è di gran lunga superiore a qualsiasi risparmio che potremmo fare ora».

Per i soldi ieri a Strasburgo è andato in scena anche il gioco di sponda con la Banca europea degli investimenti. Von der Leyen ha apprezzato la disponibilità manifestata dalla presidente Nadia Calvino a fare di più, mentre questa ha lodato l’approccio, ricordando la quantità di miliardi già investiti e i progetti in atto per far decollare il giro d’affari.

L’escalation in corso – dall’Ucraina a Gaza – ha portato a livelli record la spesa militare: 2.240 miliardi di dollari nel 2022, l’ultimo con rilevazioni ufficiali – i profitti dei colossi delle armi. Per la prima volta, gli investimenti europei hanno superato quelli dei tempi della Guerra fredda. Le 15 maggiori aziende mondiali per la difesa hanno visto schizzare il proprio portafoglio ordini a quota 777 miliardi di dollari, oltre 76 in più rispetto a due anni prima. E in due anni, d’altronde, sono stati investiti quasi mille miliardi di dollari in armamenti, per gli ordigni è stato impiegato il 2,2% del Pil mondiale. Con  n F35 che costa come 3.244 letti in terapia intensiva, un sottomarino come 9.180 ambulanze (e sono in alternativa).

Dei quasi mille miliardi di dollari investiti nel mondo nel settore degli armamenti, metà provengono dagli Stati Uniti, dimostrando una sinergia consolidata tra Wall Street e l’industria bellica. Ma anche le banche europee fanno la loro parte per alimentare il business delle armi, con i 15 maggiori istituti finanziari del Vecchio Continente che hanno realizzato un investimento pari a quasi 88 miliardi di euro. Cifre da capogiro per un settore che ha approfittato delle tensioni geopolitiche diffuse per realizzare profitti senza precedenti.

Secondo il rapporto “Finanza di pace. Finanza di guerra”, presentato dalla Fondazione Finanza Etica, oltre 959 miliardi di dollari vengono destinati dalle istituzioni finanziarie nel mondo al sostegno della produzione e del commercio di armi. Il proliferare di conflitti in varie parti del mondo, dall’Ucraina al Medio Oriente passando per l’Africa subsahariana così come la costante minaccia di un’escalation militare nel Pacifico, moltiplicano affari e profitti delle aziende che producono armi e anche gli istituti di credito hanno cavalcato l’onda di un business in velocissima crescita

Basterebbe stanziare la metà dei fondi utilizzati a livello globale per le forze armate per fornire assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti del pianeta, oltre a ridurre significativamente le emissioni di gas serra. Le banche invece hanno contribuito a oliare questo sistema, mentre lo scoppio della guerra in Ucraina prima e a Gaza l’anno successivo hanno fatto schizzare il valore delle azioni delle aziende produttrici di armi.

I conflitti sono capaci di concentrare i benefici in un’esigua minoranza e di ripartire i costi sul resto della società. Non in modo uniforme ovviamente. I cittadini dei Paesi dilaniati dagli scontri sono ovviamente i primi colpiti seppure non tutti allo stesso modo. Bambini, donne, anziani, minoranza, poveri, disabili – i gruppi sociali con meno risorse – pagano un prezzo tragicamente più alto. Perdite indirette – di vario tipo, dai danni ambientali alle ricadute sul commercio globale -, infine, ricadono a cascata anche su quanti risiedono a migliaia di chilometri dal teatro bellico.

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Von der Leyen vuole la pace con le armi. E paragona le bombe ai vaccini

In un discorso al Parlamento europeo, la presidente della Commissione ha lanciato un appello ad investire nelle armi e nella difesa

di Andrea Baranes da Valori.it

«Collettivamente, dobbiamo inviare un segnale forte alle imprese. […] L’industria della difesa in Europa ha bisogno di accedere ai capitali. […] Dobbiamo convincere i nostri finanziatori, sia pubblici sia privati a sostenere la nostra industria della difesa». Sono questi alcuni passaggi del discorso tenuto da Ursula von der Leyen al Parlamento europeo riunito in seduta plenaria. Secondo la presidente della Commissione, l’Unione europea «deve svegliarsi, e rapidamente». Riguardo le armi serve una spesa migliore e maggiore che passa in primo luogo per la realizzazione di appalti pubblici su scala europea per la difesa. «Così come siamo riusciti a fare per i vaccini», sostiene von der Leyen.

I problemi nel paragone con i vaccini avanzato da Ursula von der Leyen

Se l’insieme del discorso può gettare nello sconforto, proprio questo passaggio è particolarmente significativo. La prima sensazione è di una leggerissima incongruenza nell’accostare i vaccini, creati per salvare vite umane, a sistemi d’arma, il cui scopo principale è la distruzione e l’uccisione di persone. Ma non è solo per questo che l’esempio dei vaccini colpisce in modo particolare. Ricordiamo come nel corso degli scorsi anni, per fronteggiare la pandemia molti Paesi, India e Sudafrica in testa, avevano chiesto una sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini, sui farmaci e sui kit per diagnosticare la malattia. In pratica la richiesta di superare le rigide regole sui brevetti imposte a livello internazionale dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO nell’acronimo inglese) e in particolare dall’accordo TRIPs sulla proprietà intellettuale.

Malgrado l’emergenza legata alla necessità di agire contro la pandemia, le discussioni e i negoziati andarono avanti quasi per un anno e mezzo, ovvero dall’inizio del 2021 a giugno del 2022, quando si chiudeva la dodicesima conferenza interministeriale della stessa WTO, con un testo finale secondo diversi analisti a dir poco deludente. Di fatto nessuna sospensione dei brevetti, ma unicamente alcuni chiarimenti circa la possibilità di utilizzare le licenze obbligatorie già previste dallo stesso accordo TRIPs. Le licenze obbligatorie sono uno strumento che permette a un Paese in difficoltà economica e in emergenza sanitaria di produrre dei vaccini senza l’autorizzazione dell’impresa che detiene il brevetto (alla quale viene comunque riconosciuto un compenso economico).

In altre parole, se sul fronte interno l’Unione europea si è mossa per promuovere appalti su scala continentale per migliorare la distribuzione e garantire la vaccinazione a tutta la popolazione del Vecchio Continente, a livello internazionale la netta sensazione è che la tutela dei profitti delle multinazionali del farmaco sia stata anteposta a quella della salute umana.

Nemmeno in situazioni di emergenza si mettono in discussione i profitti e la finanziarizzazione

È proprio su questo piano che l’accostamento delle armi ai vaccini fatto da von der Leyen ha forse senso: non si rimettono in discussione i giganteschi profitti nemmeno in situazioni di emergenza. Anzi, le crisi diventano un’occasione per rafforzare ulteriormente una sempre più spinta finanziarizzazione in ogni ambito produttivo. Ricordiamo come queste dichiarazioni seguano quelle recenti dei ministri della Difesa europei secondo i quali anche gli investimenti in armi devono potere essere considerati come “finanza sostenibile” in modo da non limitare in nessun modo l’afflusso di capitali al settore della difesa.

Il perché di prese di posizione cosi forti si può forse capire meglio ricordando che tra tre mesi si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo, e poco dopo verrà nominata anche la nuova Commissione. Per chi punta a vedere confermato il proprio ruolo nelle istituzioni europee, il sostegno di un’industria potente come quella della difesa è fondamentale.

La speranza è che i cittadini europei premino chi vuole costruire la pace

A votare però sono i cittadini, non le lobby. La speranza è che sempre più donne e uomini prendano consapevolezza della follia di una corsa al riarmo in cui ogni parte pensa di potere spendere di più, di acquisire una superiorità di mezzi e tecnologica in un’infinita corsa verso guerre sempre più distruttive. La speranza è che i cittadini europei decidano di premiare chi al contrario si ostina a dire che vorremmo un’Europa che si pone come soggetto forte e autorevole non sul piano militare ma su quello diplomatico e della ricerca di soluzioni politiche e pacifiche alla risoluzione dei conflitti.

È in questa direzione che da sempre si muove la finanza etica. Escludendo ogni finanziamento all’industria delle armi. Evidenziando come oltre mille miliardi di dollari finiscano dal sistema finanziario ai produttori di armi e come siano ancora molte, troppe, le istituzioni finanziarie che sostengono persino l’industria delle armi nucleari. Cercando di opporsi al tentativo di ridurre il controllo e la trasparenza oggi previsti dalla legge 185/90 sull’export di sistemi d’arma italiani.

In altre parole, continuando a muoversi in direzione ostinata e contraria, nella speranza che gli elettori europei capiscano che a fronte di una folle corsa al riarmo, la via della pace è l’unica strada che dobbiamo e possiamo percorrere.

29/2/2024 https://www.osservatoriorepressione.info/

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