Le fabbriche della guerra europee in gara per più armi

Alla Rheinmetall tedesca nella foto di copertina, ritmi da gara per produrre sempre più proiettili da spedire in Ucraina.

Le fabbriche europee si stanno attrezzando a produrre sempre di più armi su precisa richiesta politica. La domanda cresce e non è facile starle dietro. Anche l’Italia al lavoro per dare il suo contributo di morte.

Strumenti di morte

Il confronto parla chiaro: dall’inizio della guerra, l’Occidente ha fornito a Kiev aiuti militari per più di 60 miliardi di dollari. Più di 40 miliardi sono arrivati d’oltreatlantico, mentre l’Europa non è andata oltre i 20 miliardi. Il motivo è presto detto: il gigante americano ha sempre investito molto nel suo apparato bellico e ha mantenuto riserve di magazzino abbondanti. Dopo la Guerra fredda, i Paesi europei hanno tagliato bilanci, reparti e scorte. E grazie al lungo periodo di pace e sulla spinta dell’auspicabile disarmo, le fabbriche continentali hanno chiuso intere linee produttive, dedicando le risorse ad altri settori. «I magazzini così si sono assottigliati. Vale per le munizioni, come per l’antiaerea e i blindati», precisa Francesco Palmas su Avvenire.

Il leopardo tra ruggiti e miagolii

Un tempo, la tedesca Kmw produceva 300 Leopard all’anno. Oggi si ferma a 50, e ha ceduti all’Ucraina solo poche decine dei modelli più datati. Le guerre ad alta intensità sono purtroppo guerre industriali, precisa il giornale dei vescovi senza nascondere la sua riprovazione con i dati, i fatti. In un biennio, i russi hanno perso oltre 2mila carri armati. La Gran Bretagna ne ha funzionanti appena 157 e non meraviglia che ne abbia fornito a Kiev l’irrisorio sumero di quattordici.

Una guerra insostenibile

«Le forniture di granate raccontano, da sole, le difficoltà con cui pensiamo di gestire una guerra insostenibile»: da oltreatlantico sono arrivati per l’Ucraina oltre 2 milioni di proiettili, dagli alleati europei molti meno. Per il poco noto, il Canada avrebbe fornito 27mila colpi, il Regno Unito 100mila, di cui 20mila circa da 155 e 105 mm, e la Norvegia poco più di 10mila. Aggiungendo la Francia, opaca, la Germania (60mila proiettili da 40 mm e 18.500 munizioni da 155 mm), l’Italia, la Spagna e la Svezia, si superano di poco i 220mila colpi in due anni. Il 23 giugno scorso un alto funzionario europeo: «è il massimo che si potesse fare».

L’Ucraina spara spara spara

Qualche fonte militare occidentale ritiene che l’Ucraina spari troppo e spesso a casaccio. Ma il ministro della Difesa ucraino Reznikov chiede e ancora chiede: se potesse sparare senza restrizioni, la sua artiglieria userebbe 594mila colpi al mese e invece sconta un deficit di almeno 250mila proiettili. Ecco perché Kiev è scesa da un consumo medio di 6-7mila colpi al giorno ai 3mila odierni. Il 155 mm, lo standard Nato in uso in tutti i cannoni occidentali per gli ucraini, è quasi esaurito.

Gara a chi bomba di più

Czechoslovak Group, colosso europeo, produce 80-100mila pezzi l’anno, Rheinmetall, gigante tedesco, si ferma a 60-70mila colpi, la norvegese Nammo e la britannica Bae non vanno oltre le 2.500 unità, quanto la francese Nexter. Includendo i fabbricanti italiani e gli altri del Vecchio Continente, nel 2022, l’Ue ha sfornato in tutto 270-300mila colpi, equivalenti a 22-25mila proiettili al mese. Con un conto approssimativo, alla fine di questo luglio gli occidentali avranno prodotto in tutto 72mila pezzi in un mese, 30mila dei quali oltreatlantico.

Venti miliardi Ue

La Commissione europea insiste nella politica di fornitura: «Abbiamo proposto di finanziare fino a 20 miliardi per la difesa dell’Ucraina, prelevando i fondi dal budget europeo ‘per la pace’». La contraddizione anche nominale è forte ma Joseph Borrell, esteri Ue, non ci bada e aspetta la riunione informale dei ministri degli Esteri di fine agosto per cercare di far passare il ‘piano quadriennale’ divisivo della Commissione. E un miliardo è già evaporato per quel milione di pezzi da 155 mm da produrre in un anno.

Fiutando l’affare, le fabbriche europee si stanno attrezzando. Jens Stoltenberg è franco: «I tempi di attesa per le munizioni di grosso calibro sono cresciuti da 12 a 28 mesi».

Economia e produzioni di guerra

Czechoslovak group sta facendo turni ininterrotti, da economia di guerra. Prevede di sfornare 150mila colpi l’anno, ma per arrivarci ha bisogno di due anni. Rheinmetall si è data un obiettivo di 450-500mila colpi. Saab, svedese, vuole passare da 10mila a 400mila colpi in due anni. L’Italia darà il suo contributo con gli stabilimenti industriali di Simmel Difesa, nella città di Colleferro, e con la controllata di Leonardo, Oto Melara-Divisione sistemi di difesa a La Spezia.

Criticità

Ma si annunciano criticità: «Mancano le materie prime per le armi da girare a Kiev», ha ammesso lo stesso Borrell a giugno. Il generale Portolano, direttore italiano degli armamenti conferma, sottolineando «la nostra dipendenza da materie prime, semilavorati e sottocomponenti esteri». L’acido nitrico, base delle granate, scarseggia in tutta Europa.

A conti fatti, questa guerra è un pessimo affare. Da tutti i punti di vista.

3/8/2023 https://www.remocontro.it/

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