Le gravi conseguenze delle lunghe liste d’attesa negli ospedali
Sempre più persone rinunciano a curarsi, un fenomeno che alla lunga compromette la sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale
In Italia circa 4,5 milioni di persone rinunciano a curarsi – o meglio, sono costrette a rinunciare – perché esami e visite hanno un costo per molti troppo elevato, perché è diventato complicato prenotare e soprattutto perché l’attesa è lunghissima. L’impatto della rinuncia alle cure è piuttosto sottovalutato nel dibattito pubblico, eppure medici ed esperti di sanità concordano sul fatto che alla lunga avrà conseguenze molto gravi sulla sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale e in definitiva sulla salute pubblica. Indirettamente è un tema di cui ha parlato anche la giornalista Francesca Mannocchi, che è malata di sclerosi multipla e in un post su Instagram che è circolato moltissimo ha mostrato quanto possono essere lunghe le liste d’attesa anche per i malati gravi.
I dati che mostrano quante persone sono costrette a rinunciare alle cure vengono pubblicati ogni anno dall’ISTAT, l’istituto nazionale di statistica, in un’indagine chiamata “Benessere equo e sostenibile” (BES) realizzata con sondaggi fatti su un campione rappresentativo della popolazione. Quelli più recenti sono relativi al 2023 e dicono che il 7,6 per cento di tutta la popolazione italiana ha dovuto fare a meno di esami e visite. C’è stato un peggioramento sia rispetto al 2022, quando aveva rinunciato il 7 per cento della popolazione, sia rispetto al 2019 quando la percentuale era al 6,3. Significa che in un solo anno circa 372mila persone in più hanno rinunciato a curarsi.
L’ISTAT indaga anche i motivi di queste rinunce. Il 4,5 per cento della popolazione, cioè la maggioranza di chi rinuncia, dice di farlo a causa delle lunghe liste di attesa. Il 4,2 per cento invece non prenota perché esami e visite costano troppo, e una parte desiste per entrambi i motivi. Il problema economico è legato al costo del ticket, visto che solamente determinate categorie – chi è malato cronico, per esempio – sono esentate dal pagamento.
Il confronto con il 2019 mostra bene quanto sia peggiorata la situazione: c’è stato un raddoppio delle persone che rinunciano a causa delle lunghe attese, dal 2,8 per cento del 2019 al 4,5 per cento del 2023, mentre la quota di persone che desiste per motivi economici è rimasta stabile.
La Sardegna è la regione con la più alta percentuale di persone che rinunciano alle cure, seguono la Calabria e l’Abruzzo. Nelle regioni del Centro c’è la quota più alta (8,8%), poi vengono le regioni del Sud con il 7,7%, mentre il Nord con 7,1% mantiene lo stesso livello del 2022.
Da dieci anni l’Istituto superiore di sanità (ISS) realizza studi ancora più approfonditi sulle persone anziane, le più esposte a questo fenomeno e anche le più a rischio di complicazioni. Nell’indagine intitolata “Passi d’Argento”, con dati relativi al biennio tra il 2022 e il 2023, si legge che addirittura il 18 per cento delle persone con più di 65 anni dice di rinunciare ad almeno una visita medica o a un esame di cui avrebbe bisogno. La rinuncia è più frequente tra le donne – 25 per cento, contro il 21 per cento fra gli uomini – e fra le persone in difficoltà economica o con una bassa istruzione.
Anche nel caso delle persone anziane, le lunghe liste d’attesa sono la ragione principale della rinuncia: il 55 per cento dice di non fare esami e visite perché l’attesa è troppo lunga, il 13 per cento per via delle difficoltà nel raggiungere le strutture sanitarie, troppo distanti o non collegate con mezzi di trasporto pubblici, mentre il 10 per cento rinuncia per i costi troppo elevati.
L’Istituto superiore di sanità definisce questo fenomeno «allarmante» perché comporta conseguenze significative sul benessere fisico e psicologico delle persone, in particolare quelle anziane. La rinuncia alle cure aumenta il rischio di mortalità, in particolare nel caso di malattie croniche come diabete, ipertensione e malattie cardiache che richiedono controlli e cure costanti: se trascurate, possono portare a complicanze gravi e irreversibili.
Non è trascurabile anche l’impatto sui famigliari e in generale sui cosiddetti caregiver, cioè le persone che assistono gli anziani malati. I famigliari – dice l’ISS – si trovano a dover sopperire alle lacune sanitarie con un carico fisico, emotivo ed economico significativo. La malattia di una singola persona finisce per avere conseguenze più estese.
Ma sono notevoli anche le conseguenze sulla sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale. L’ISS spiega che alla lunga la rinuncia alle cure causa un aumento dei costi per la collettività: la mancata prevenzione porta a un maggiore utilizzo dei servizi di emergenza come i pronto soccorso e in generale dei ricoveri in ospedale. Questi servizi sono molto più costosi rispetto a quelli delle attività di prevenzione. Con la prevenzione è possibile ridurre il rischio di sviluppare malattie croniche come diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari. «Negare o rendere difficile l’accesso a queste cure preventive compromette, di conseguenza, la salute futura della popolazione e aumenta le disuguaglianze nell’accesso alla salute», scrive l’ISS.
2/4/2025 https://www.ilpost.it/
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