Le imbarazzanti capriole del giornalismo italiano per non condannare Israele
La copertura mediatica italiana degli attacchi israeliani in Medio Oriente evidenzia una crescente militarizzazione del discorso pubblico. I principali giornali e programmi televisivi si limitano a riproporre narrazioni ripetitive, giustificando o minimizzando le azioni israeliane, anche quando sfociano in evidenti crimini di guerra.
Il giornalismo italiano e la minimizzazione dei crimini di guerra israeliani: un esercizio di sudditanza imbarazzante
La copertura mediatica italiana degli attacchi israeliani in tutto il Medio Oriente, da Gaza fino allo Yemen, per finire alle basi ONU in Libano, parte della missione UNIFIL, rappresenta la deriva di una militarizzazione della comunicazione pubblica, ridotta a bollettini identici, in cui la compagnia di giro dei soliti volti noti del giornalismo si danno il cambio da uno studio televisivo all’altro, ripetendo le stesse identiche cose, con le identiche parole chiave all’interno del discorso, ma totalmente decontestualizzate. Nel caso specifico: “Terrorismo”, “Diritto alla difesa d’Israele”, “Scudi umani”, “Hamas”, “Hezbollah”, “Democrazia”.
Prendiamo l’attacco israeliano alle postazioni dell’UNIFIL in Libano come esempio, perchè teoricamente avrebbe dovuto mandare in tilt il format comunicativo fin qui tenuto dai grandi media.
L’episodio, avrebbe dovuto suscitare una condanna chiara e inequivocabile, e invece la compagnia di giro si è impegnata egregiamente nel minimizzare, se non addirittura a giustificare, quanto accaduto.
Nella puntata di lunedì 14 ottobre di Omnibus su LA7, ospiti Davide Giacalone e Mario Sechi, l’attacco all’UNIFIL è stato così commentato :”Sono episodi minimali, 3 o 4 incidenti in cui vengono sparati colpi, probabilmente per sbaglio, nella foga del combattimento, ci può anche stare”.
E che dire, passando alla carta stampata, del Corriere della Sera che, sempre sull’attacco israeliano contro le forze ONU in Libano, attraverso le parole di Federico Fubini, ha ridotto l’accaduto a un “dettaglio”, un fatto trascurabile in confronto alla minaccia posta da Hezbollah e dall’Iran.
L’imbarazzante sudditanza della stampa italiana
L’atteggiamento di minimizzazione della stampa italiana verso i crimini di guerra israeliani non è una novità. Per decenni, i media principali hanno adottato una linea narrativa che tende a giustificare Israele, indipendentemente dalla gravità delle sue azioni.
A Gaza le cifre parlano chiaro: oltre 42.000 morti palestinesi, eppure i media italiani continuano a trattare queste tragedia come “danni collaterali” o, come nel caso degli attacchi all’UNIFIL, dettagli insignificanti rispetto alle presunte minacce alla sicurezza di Israele.
Le vittime palestinesi, tra cui migliaia di civili e bambini, sono ridotte a statistiche o marginalizzate nei titoli e nei servizi giornalistici.
- Nei titoli dei giornali Israele non bombarda mai, effettua ‘raid’.
- Nei titoli dei giornali Israele non colpisce mai scuole, ospedali, campi profughi, ma ‘centri di comando di Hamas’.
- Nei titoli dei giornali gli israeliani vengono uccisi dai razzi sparati dai militanti di Hamas; i palestinesi invece ‘muoiono’, senza specifiche ulteriori. Forse muoiono da soli.
Manipolazione e distorsione della realtà
Ciò che è ancora più preoccupante è il modo in cui il dibattito pubblico in Italia viene costantemente polarizzato e distorto. Chiunque osi criticare le azioni di Israele viene immediatamente etichettato come anti-occidentale, filoterrorista o addirittura antisemita.
Questa semplificazione estrema del discorso impedisce un’analisi seria e imparziale delle responsabilità e delle dinamiche del conflitto.
È una modalità usata per soffocare ogni tentativo di mettere in luce le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale da parte dello Stato israeliano, criminalizzando allo stesso tempo chiunque provi a farlo.
Un esempio emblematico di questa manipolazione è rappresentato dalla reazione alla morte della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, uccisa nel maggio 2022 durante un’operazione militare israeliana in Cisgiordania.
Nonostante le prove schiaccianti che indicavano la responsabilità israeliana, gran parte della stampa italiana ha evitato di accusare direttamente Israele, preferendo adottare una posizione ambigua che parlava di “circostanze poco chiare” e “scontri armati”.
Questo atteggiamento di prudenza selettiva contrasta in modo netto con la prontezza con cui i media italiani condannano altri attori internazionali per presunte violazioni, specialmente quando si tratta di Stati considerati ostili agli interessi occidentali.
Un sistema mediatico complice
La sudditanza dei media italiani verso Israele è il risultato di una serie di dinamiche complesse, che vanno ben oltre la semplice manipolazione dell’informazione. In molti casi, la narrazione dominante è il prodotto di reti di relazioni politiche, economiche e culturali che legano il giornalismo italiano a think tank, fondazioni e gruppi di interesse vicini a Israele e agli Stati Uniti. Questo sistema di potere, consolidatosi negli anni, influenza pesantemente il modo in cui le notizie vengono raccontate e interpretate.
In un contesto del genere, i giornalisti italiani non sono più i “cani da guardia” della democrazia, ma si trasformano in attori complici di un sistema che legittima le ingiustizie.
Anziché informare il pubblico in modo obiettivo e trasparente, molti media si limitano a riprodurre le narrazioni ufficiali, spegnendo ogni dibattito critico e favorendo un clima di indifferenza verso le sofferenze delle popolazioni palestinesi.
Questo giornalismo è complice dei massacri in Medio Oriente.
Alexandro Sabetti
15/10/2024 https://www.kulturjam.it/
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