Le lavoratrici salveranno Roma
Lo scorso 4 Gennaio sulle prime pagine del Messaggero compare l’annuncio del commissario Tronca del nuovo piano di rientro di bilancio imposto dal Governo all’ex Giunta Marino e presentato nel Documento Unico di Programmazione 2016-2018 (il famigerato DUP, scaricabile qui e qui) di Roma Capitale. Il piano prevede vincoli sull’acquisto di beni e l’assunzione di personale, possibili dismissioni del patrimonio immobiliare e di società partecipate non legate al servizio pubblico, affidamento di diversi monumenti storici ai privati e poi la liberalizzazione di servizi: a cominciare dagli asili nido comunali, 17 dei quali verranno affidati ai privati. Sono queste le condizioni per ricevere 570 milioni di euro l’anno per smaltire il debito comunale «accertato» alla data del 26 luglio 2010: 8,64 miliardi di debiti non finanziari, più 7,12 miliardi di debiti finanziari.
Una ennesima batosta per le 6000 maestre ed educatrici del Comune che da tempo sono in mobilitazione contro il taglio del cosiddetto ‘salario accessorio’ (battaglia tuttora in corso) e per la stabilizzazione delle insegnanti precarie che lo scorso Agosto, dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea che a Novembre 2014 condannava l’Italia per uso illegittimo di personale con contratti a tempo determinato per coprire carenze di organico strutturali, si sono viste negare la possibilità di partecipare al bando per le supplenze, per cui sono state di fatto licenziate. La sentenza aveva sancito che anche il personale scolastico, dopo 36 mesi di contratti, andasse stabilizzato e che non si potessero reiterare oltre i contratti a tempo determinato. Ma se per gli insegnanti statali, con il Jobs act e la Buona Scuola, è stata fatta una deroga -assumendoli in cambio della totale flessibilità lavorativa-, quelli comunali ne sono rimasti fuori. Davanti a questa situazione Comune e Governo hanno pensato bene di risolvere il problema della precarietà con la disoccupazione.
Parliamo di 5000 lavoratrici precarie (suddivise nelle 3 diverse graduatorie a seconda del periodo di supplenza che possono coprire) di asili nido e materne che dal 2006 svolgono supplenze, alcune con incarichi annuali, altre (molte di più) restando in attesa, ogni mattina, di una chiamata che dica loro se e dove prendere servizio con il problema di non poter mai organizzare in anticipo le proprie giornate.
Se, grazie ai numerosi presidi, occupazioni e manifestazioni a Settembre le maestre erano riuscite ad ottenere il blocco del cosiddetto “bando di Ferragosto” e la deroga di un anno per chi avesse superato i 36 mesi di servizio, nonché l’apertura di un tavolo sulla stabilizzazione con l’allora assessore alle Politiche scolastiche comunali Rossi Doria, la caduta della Giunta Marino ha fatto saltare tutto e la situazione è tornata al punto di partenza se non più indietro. La privatizzazione, infatti, rende ancora più incerto il futuro di tutte queste lavoratrici precarie, oltre a comportare sicuramente un peggioramento delle condizioni di lavoro, con contratti svantaggiosi ed orari di lavoro più lunghi, ed un innalzamento delle tariffe per i genitori visto che il Comune versa 600€ a bambino all’ente che prende in concessione l’asilo, piuttosto poco considerato che dovrebbe andare a coprire educazione, mensa, manutenzione, stipendi, e dovrebbe garantire anche un guadagno al privato in concessione.
Oltre alla privatizzazione, il piano prevede anche la statalizzazione di 90 sezioni di scuole materne che implica due ordini di problemi: il primo riguarda le modalità di assorbimento del personale che non è inserito nelle graduatorie statali ma soltanto in quelle comunali. Che fine faranno? Un secondo problema riguarda il fatto che dopo le ultime riforme del Jobs Act e della Buona Scuola, il passaggio delle scuole materne allo Stato comporterà un peggioramento sia nelle condizioni lavorative e delle tutele delle lavoratrici, che saranno assunte con il nuovo contratto ‘a tutele crescenti’, sia nella qualità del servizio educativo vero e proprio – per fare un esempio, a livello comunale il rapporto insegnante/bambini è di 1 a 25 mentre a livello statale è di 1 a 29. Il passo per trasformare degli asili e delle materne di qualità in dei parcheggi a pagamento è piuttosto breve.
La qualità del servizio viene dunque dimenticata totalmente ed “il bambino viene visto come una macchina che può far fare tanti soldi così come sono visti i malati nella Sanità, ed è esattamente quello che succede quando si da spazio ai privati perché il privato deve speculare, deve avere un introito e questo introito lo avrà tagliando su altro”. E questo altro è in genere il costo del lavoro che vuol dire meno qualità, perché è chiaro che delle lavoratrici a cui non viene riconosciuta dignità e che, grazie al nuovo contratto decentrato, dovranno competere fra loro per una parte del salario, non riusciranno facilmente a mantenere un ambiente sereno e diventerà veramente difficile garantire un’educazione ottimale ai bambini ed alle bambine.
Come dice una maestre in lotta ai microfoni di Radio Onda Rossa, “dopo tutte le vicende legate a Mafia Capitale è ancora l’ennesima riprova che tutte le ruberie che sono state fatte, non sicuramente dai dipendenti capitolini e non sicuramente dalle famiglie, saranno pagate invece proprio da questi ultimi.”.Come spesso abbiamo visto fare in questi anni di crisi, la politica invece di risolvere i problemi se ne lava le mani, scaricandoli sui soliti noti, le donne in primis. “Un vero schiaffo in faccia alla città, all’idea stessa del valore dell’educazione che famiglie e lavoratrici in questi anni hanno rimesso costantemente al centro della politica gestionale, affermando che il futuro delle persone non si decide con il pallottoliere. Uno schiaffo che parla chiaro: la politica spinge i tecnici al lavoro sporco e Roma Capitale taglia sull’educazione. In linea con le tragiche politiche di governo, vedi la buona scuola, ci si libera in un sol colpo della responsabilità sul futuro di migliaia di lavoratrici precarie e di quella di garante di una qualità educativa fin troppo strumentalizzata in tempi di campagna elettorale.”, riprendendo le parole dell’USB in un suo comunicato.
Se le istituzioni abdicano al loro compito, diventa sempre più necessario creare un fronte di lotta unico che ribadisca che noi non siamo in debito e che non siamo più disposti a fare sacrifici, sulla pelle nostra e dei nostri figli perché, nonostante i proclami emergenziali, siamo davanti ad un processo di scelte politiche precise che stanno arrivando al sodo. Scelte che riguardano il modo in cui si è gestita la città negli ultimi 15 anni, a prescindere dalla casacca che indossava chi era al governo. In questo senso il commissariamento fa buon gioco perché l’avere un “tecnico” permette finalmente di realizzare determinati programmi che una Giunta, avendo bisogno anche di un consenso politico, non sempre riesce a portare fino in fondo. Il piano di privatizzazioni di Tronca, infatti, non è altro che il piano di concessioni ai privati che si stava già provando a realizzare ad Aprile 2015 con la Giunta Marino e che a sua volta era il risultato di una rispolverata di un piano creato dalla Giunta Alemanno. Basti pensare che è dal 2007 che si è avuto il sorpasso numerico da parte dei nidi privati rispetto ai pubblici.
Non saranno i pochi soldi risparmiati (tutti da verificare, come dimostra il caso fiorentino) attraverso le esternalizzazioni a riparare i debiti creati in anni di malagestione, c’è bisogno di un cambiamento radicale dell’intero sistema. E quale occasione migliore per cominciare se non per i nostri figli?
Qualche idea per cominciare ce l’hanno data stesso le maestre in lotta:
-Opporsi fermamente con ogni mezzo a qualsiasi progetto di privatizzazione o esternalizzazione dei servizi per l’infanzia come di ogni servizio pubblico, imponendo la parificazione delle condizioni contrattuali e di lavoro a chi già lavora in strutture private
-Chiedere che il Governo parifichi i servizi per l’infanzia da 0 a 6 anni alla scuola statale per inserire anche questa fascia di età in un percorso educativo a tutti gli effetti riconoscendo l’essenzialità di questo servizio pubblico come aiuto alle donne lavoratrici
-Riconoscere il lavoro effettivo di queste lavoratrici inquadrandole come insegnanti e non come semplici educatrici in grado di progettare dei piani educativi anche per i bambini in età prescolare
-Programmare un piano di stabilizzazioni, così come fatto per le insegnanti scolastiche, che ponga rimedio alla mancanza di organico strutturale rilevata anche nello stesso DUP
-Riconoscere le voci del “salario accessorio” come caratteristiche proprie del lavoro svolto dai dipendenti pubblici e che quindi vanno retribuite in maniera fissa e non variabile secondo parametri di dubbia efficacia e poco oggettivi. Fino ad allora, come ha proposto l’USB, le lavoratrici ed i lavoratori comunali sono tenuti ad astenersi dall’effettuare ogni prestazione legata all’erogazione del salario accessorio
Una mobilitazione è già in atto, la prossima tappa è martedì 19 Gennaio alle ore 17 davanti ai cancelli dell’asilo nido di via Covelli (zona Prenestino, Municipio V), uno dei 17 nidi che verranno dati in concessione ai privati. Oltre alle lavoratrici dei nidi e delle scuole dell’infanzia, precarie e di ruolo saranno presenti anche i genitori e vari comitati di cittadini che vogliono opporsi alle disposizioni del DUP come ad ogni provvedimento che riguardi tagli di servizi pubblici, diritti e salari.
Dobbiamo essere in tanti e tante perché la partita è grossa e ci riguarda tutti!
19/1/2016 http://clashcityworkers.org
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