Le mani di Agnese

È una mattina di maggio, il ciliegio in fiore raccoglie in primi raggi tiepidi del mattino, Agnese cammina svelta, con un’espressione trasognante, forse pensa a quello che dovrà dire. Riprendere quel discorso le fa venire in mente gli incubi che si sono presentati per alcune notti di fila. I picchi del rumore con le sue cadenze, gli sfiati, gli ingranaggi, le pulsazioni, la ripetizione dei movimenti, la velocità, una strana sensazione, il dolore, l’incredulità. Sono le sensazioni che in successione e in sovrapposizione in ordine diverso si ripresentano ogni notte quando si addormenta.

Con un braccio accompagna i suoi passi senza pensarci, la mano sinistra invece è nella tasca del giubbino, avanza sul viale calpestando un letto di polline di pioppo. Ha la sensazione di camminare sul bianco delle cime delle Alpi che si intravedono dall’altro lato della strada.
È stata convocata da alcuni operatori dell’azienda sanitaria locale, dovrà testimoniare su quanto è accaduto. Le mette un certo nervoso la cosa, non sa quante volte ha già raccontato l’accaduto e poi “chissà se capiranno, non sanno cosa significhi lavorare in certi posti”.

Di ufficio in ufficio, dopo aver trascorso diverso tempo in ospedale e a casa, muovendosi spesso per le medicazioni e gli accertamenti ha raccontato infinite volte la sua storia, “Quando succede qualcosa a quelli come noi, sembra che il senso di colpa ti aspetti ad ogni angolo”. Lo sa bene Agnese, che prima di lasciare gli studi e riprendere la strada di famiglia, qualche rudimento di teorie delle organizzazioni l’aveva appreso “ Sì, con il loro modi, ti fanno sentire un peso, e se succede qualcosa sembri una persona che tradisce una famiglia”.

Dopo vari lavori saltuari, contratti part-time da un’azienda all’altra, finalmente un contratto di sei mesi a tempo determinato in una metalmeccanica. Azienda solida che lavora per grandi gruppi. Agnese è addetta alle presse, vuole dimostrare di essere brava e non dover ringraziare nessuno, lei lo stipendio se lo porta a casa senza tanti proclami e quisquiglie. L’azienda deve consegnare per tempo le commesse ogni settimana, il ritmo di lavoro è incalzante. Spera in una proroga, ha un fidanzato, sono in affitto e progettano di comprare una casa, dopo tanti anni di lavori qui e là, forse è la volta buona. “Vedrai che andrà bene” si dicono tutte le sere. Una storia giovanile che si conserva nel tempo, due ragazzi nati e cresciuti in una provincia dal cuore produttivo.
La pressa si attiva con il pedale, lei infila le lastre, esegue il lavoro e le deposita in un carrello posto lateralmente alla sua postazione.

Otto ore, centinaia di pezzi. Nonostante l’esperienza in altri lavori, non è stata formata per questa mansione, non ha mai adoperato la pressa, non poteva sapere che dopo ore e ore di lavoro accumulate in giorni e giorni, nella ripetizione del ciclo di lavoro si instaura una simbiosi con la macchina

e nella coordinazione dei movimenti il piede può invertire il gesto e premere sul pedale quando le mani non sono ancora via dalla zona di lavoro, distruggendo così l’armonia meccanica uomo-macchina.

Nessuna fotocellula a proteggere dall’errore dell’esecuzione, solo la velocità di uscita delle mani ha lasciato sulla pressa solo la metà di un dito. Una steccata in un assolo, una corda che si spezza quando la sinfonia entra nell’apice della rappresentazione.
Sudore gelido, deprivazione di una parte del corpo, un piccolo frammento si stacca e rompe l’equilibrio del tutto.

Non si curava le mani prima di questo incidente, la mano sinistra ora può uscire dal giubbino, ha preso confidenza con l’ambiente e le persone che la stanno ascoltando. Agnese si riguarda le sue mani e sembra ancora battagliare con il passato, una parte manca e a volte la sente prudere. Quando succede questo scaccia via la tristezza con un piccolo pennellino, l’odore di acetone e un colore scelto a seconda del clima del suo umore.

Sembra scontato che ogni parte del tuo corpo sia al suo posto quando entri in fabbrica, poi inizi a capire che non lo è. Ogni pezzo di te, il tuo tempo, il tuo respiro, il tuo dormire, sono avvolti dalla sensazione che la fabbrica te la porti addosso in ogni momento.
Agnese oggi indossa guanti e mascherine aspettando l’autobus con altri e altre come lei.

Come sarà l’ingresso in fabbrica il giorno dopo l’ennesimo decreto, quando il cuore della provincia produttiva non si è mai fermato, nonostante piovessero lacrime tutto intorno?

Renato Turturro
Tecnico della prevenzione

Racconto pubblicato sul numero di maggio del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

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