LE MANI NUDE DEI LAVORATORI CONTRO I LORO CARNEFICI
LA STORIA
La lotta per la Salute nei Luoghi di lavoro nasce dalle lotte del 1968-69 e la sua onda lunga arriverà fino al 1980: lo slogan di quegli anni fu “dalla monetizzazione alla prevenzione dei rischi lavorativi”.
Nasce in quegli anni una metodologia innovativa basata sui Gruppi Operai Omogenei, sulla ricostruzione in ciascun gruppo del ciclo lavorativo e del relativo Profilo di Rischio: concetti totalmente innovativi furono rappresentati dalla soggettività dei lavoratori, la non delega ai tecnici, la validazione consensuale, e inoltre i 4 gruppi di fattori di rischio (chimico, fisico, fatica fisica e organizzazione del lavoro). Nasce in quel periodo il delegato alla sicurezza per reparto/gruppo omogeneo.
Le lotte di fabbrica incontrano il movimento studentesco: soprattutto le facoltà scientifiche (medicina, fisica, chimica, ingegneria) vengono coinvolte: nasce una generazione di medici del lavoro (ma anche fisici, chimici, ingegneri) che assumono il punto di vista operaio e la nuova metodologia: la salute non si paga, la nocività si elimina, il concetto di MAC 0 (zero), il registro dei dati ambientali, il libretto dei dati sanitari e biostatistici.
Il convegno della FIOM svoltosi a Roma nel 1972 e il Convegno di Firenze del 1973 (organizzato dal Partito di Unità Proletaria) rappresentano la prima sistematizzazione organica di questa fase storica: il Consiglio di Fabbrica della Montedison di Castellanza con Luigi Mara ne rappresenta forse il punto più alto (l’intero 2° volume degli atti del convegno di Firenze con la metodologia di intervento è curato dai compagni di Castellanza).
La naturale evoluzione del convegno di Firenze del 1973 è rappresentata dalla nascita di Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute, il cui congresso fondativo si svolge a Bologna il 14 e 15 maggio 1976.
Torino (le lotte alla FIAT contro i ritmi e la nocività) e Castellanza rappresentano i momenti alti di quelle esperienze che vedono l’incontro con il Movimento Operaio di due figure di medici e intellettuali di altissimo livello: Giulio Maccacaro che sarà nel 1976 il primo Presidente e fondatore di Medicina Democratica, Direttore dell’Istituto di Biometria e Statistica dell’Università di Milano e Ivar Oddone, medico e psicologo del lavoro all’Università di Torino.
In quegli anni (1972-73) nascono i Servizi di Prevenzione nei Luoghi di Lavoro all’interno dei Consorzi Socio-Sanitari. I lavoratori, utilizzando l’articolo 9 della Legge 300/70 (Statuto dei lavoratori), possono far entrare in fabbrica i medici e i tecnici dei servizi, dichiaratamente di parte.
Nel dicembre 1978 la Legge 833 “Riforma Sanitaria” porta alla nascita delle USL e i Servizi di Prevenzione nei Luoghi di Lavoro hanno la loro istituzionalizzazione: all’inizio del 1981 le funzioni ispettive e di vigilanza e controllo passano dall’Ispettorato del Lavoro ai Servizi Prevenzione delle USL. Paradossalmente, proprio mentre è in atto ormai il riflusso delle lotte operaie per la salute in fabbrica dopo la sconfitta operaia alla FIAT i lavoratori ottengono una significativa vittoria a livello normativo.
Cosa resta oggi di quella stagione straordinaria e per certi versi irripetibile? Non molto. Alcune fiammate ci sono state negli ultimi 35 anni, ma sono state lotte di resistenza residuali (vedi lotta alla FIAT-SATA di Melfi contro le 12 notti consecutive).
Poco resta delle grandi fabbriche che hanno fatto quella storia e quelle che restano sono nettamente ridimensionate.
Negli ultimi 20-25 anni lo scenario della Salute e Sicurezza sul Lavoro si modifica profondamente: sono state recepite a partire dal D.Lgs 277/91 e poi dal D.Lgs 626/94 per arrivare al D.Lgs 81/08 le Direttive Europee per la Salute e Sicurezza sul Lavoro per le quali è il datore di lavoro ad avere l’obbligo di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro compresi quelli organizzativi. I lavoratori hanno i loro RLS che hanno alcuni poteri, ma a differenza dei vecchi Delegati alla Sicurezza di 40 anni fa, non rappresentano i Gruppi Omogenei dei Lavoratori. I Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza sono quasi sempre nominati all’interno delle Rappresentanze Sindacali Unitarie; poche volte eletti direttamente dai lavoratori. Spesso sono isolati e discriminati, quando riescono a svolgere bene il loro lavoro, altre volte sono nominati dal datore di lavoro e quindi collusi con lo stesso e perdono la fiducia dei lavoratori.
Gli ambienti di lavoro sono sicuramente molto migliorati rispetto a 40 anni fa, ma come spesso avviene si stanno facendo oggi passi indietro proprio a causa della perdita di potere dei lavoratori. Il rischio chimico e fisico si è oggi modificato per cui oggi bisogna tener conto non solo di esposizioni medio-alte (oggi rare) ma soprattutto delle basse esposizioni e di alte esposizioni che avvengono “una tantum” (magari in coincidenza di lavorazioni di manutenzione impianti) che sono foriere di nuove patologie degenerative multifattoriali (vedi Sindrome da Sensibilità Chimica Multipla e Sindrome da Elettrosensibilità).
Le patologie da Fatica Fisica e da Organizzazione Del Lavoro rappresentano oggi una fetta preponderante di tutte le patologie da lavoro (movimentazione di pesi, movimenti ripetitivi, stress da ritmi e turni di lavoro faticosi, vessazioni e molestie sul lavoro riconducibili al termine improprio di Mobbing): è questa la nuova frontiera della prevenzione.
I tumori professionali rappresentano in gran parte l’onda lunga delle vecchie esposizioni degli anni 60-70 e 80 del 900; l’amianto, il CVM e altre sostanze chimiche rappresentano mine ad orologeria innescate e pronte, come molto spesso avviene, a esplodere.
La lotta anche processuale perché venga resa giustizia a questi lavoratori non è in contrasto con le finalità preventive che vanno comunque ancora oggi perseguite in tutti i luoghi di lavoro.
L’ INAIL sottostima ancor più i dati inerenti le malattie professionali sia vecchie che nuove. Il riconoscimento non supera il 10% delle malattie denunciate. La cosa peggiore è che le patologie non riconosciute sono spesso anche quelle tabellate. L’INAIL è sempre più percepito dai lavoratori come un Ente loro ostile.
Come dimostra l’Osservatorio indipendente sugli infortuni sul Lavoro fondato a Bologna da Carlo Soricelli non c’è una reale diminuzione degli infortuni mortali sul lavoro. I dati INAIL sottostimano notevolmente il dato complessivo in quanto non poche categorie di lavoratori non rientrano nell’Assicurazione INAIL. Nel 2017 c’è stato un aumento degli infortuni mortali lavorativi a fronte di un lieve aumento dell’occupazione costituito da contratti prevalentemente precari secondo il Jobs Act. La tendenza è confermata anche nel 2018 quando oltre allo stillicidio quotidiano di morti sul lavoro abbiamo avuto ben 4 stragi lavorative (Milano, Greco, Pioltello MI, Livorno e Treviglio BG).
Anche la Magistratura con poche eccezioni si occupa poco e spesso male di infortuni e malattie professionali. L’ipotesi di Procura Unica Nazionale non è passata e i pool che sono stati formati all’uopo con l’eccezione di quello di Torino non hanno mai seriamente funzionato. L’impressione è che i lavoratori hanno perso peso politico e quindi anche le Procure ne prendono atto e si interessino a reati come quelli di corruzione che danno loro più visibilità. Ci sono poi casi limite come quello di Firenze dove la Magistratura sta indagando su 116 operatori della Prevenzione per presunte irregolarità. Il risultato ottenuto è che sono diminuiti i controlli nei luoghi di lavoro.
CONCLUSIONI
L’impressione è che i lavoratori combattano a “mani nude” la guerra di classe che il Capitalismo nella sua versione più feroce, quella neo-liberista ha scatenato contro di loro.
Tutti i governi che si sono alternati negli ultimi 30 anni hanno lentamente ma inesorabilmente ridotto i diritti dei lavoratori prendendo atto di fatto dei nuovi rapporti di forza instauratisi tra capitale e lavoro, tutti nettamente favorevoli al primo.
La situazione attuale del lavoro è pessima: precarizzazione del lavoro, delocalizzazione, lavoro nero, i voucher aboliti solo sulla carta, da una parte e dall’altra i lavoratori a tempo indeterminato che operano con gravi difficoltà con orari di lavoro spesso impossibili (in violazione dello stesso D.Lgs. 66/03), rischiando spesso il licenziamento o in alternativa mobbing (per i lavoratori più combattivi) ed organizzazioni del lavoro sempre più disfunzionali. La Classe Dominante cerca inoltre di renderci tutti innocui (con consumismo esasperato, asservimento al pensiero unico, disinformazione tramite i “media” asserviti, perdita della solidarietà tra lavoratori), mentre nel frattempo vengono calpestati i REALI VALORI DELLA VITA, DELLA SALUTE, DELLA SICUREZZA E DELLA DIGNITA’ DELLE PERSONE e DI UNA CULTURA DEGNA DI QUESTO NOME.
Il ruolo di Medicina Democratica non è quello di sostituirsi ai lavoratori nel difendere la propria salute, nel fare le lotte, nell’organizzarsi, ma potrebbe essere quello di stimolare la loro partecipazione, attraverso una analisi degli infortuni e delle malattie professionali che dimostri, scientificamente e storicamente, come una loro partecipazione attiva a qualsiasi fase del processo produttivo possa, quantomeno, ridurre i rischi.
Sottolinea quindi come molte delle proposte che avanziamo, senza questa partecipazione organizzata, non abbiano alcuna speranza di essere concretizzabili. Quando non c’è la partecipazione attiva dei lavoratori la salute viene venduta in cambio di salario (si torna alla pratica della monetizzazione del rischio)
Peraltro con gli Sportelli Salute e del Disagio Lavorativo dovrà continuare il sostegno di Medicina Democratica a quei lavoratori infortunati o ammalati nelle vertenze contro INAIL e contro la Magistratura Civile e Penale, ormai controparte dei lavoratori con poche eccezioni. Infine sarebbe necessario che Medicina Democratica, si avvicini a tutte le forme di autoorganizzazione dei lavoratori cercando di costruire con loro percorsi comuni a partire dalla Salute e Sicurezza sul lavoro.
Per concludere, tra le responsabilità del pesante aggravamento attuale delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori, è necessario infine individuare anche il ruolo passivo delle più grandi organizzazioni sindacali del nostro paese.
Sarebbe necessario pertanto un percorso a ritroso di riconquista di diritti che per forza di cose va fatto dal basso con la ripresa delle lotte dei lavoratori, attraverso anche una ricomposizione dei mille lavori parcellizzati e in questo caso occorrerebbe un Sindacato completamente nuovo con pochi funzionari e molti lavoratori di base, che svolga un’opera di continua sensibilizzazione per costruire nuovamente una cultura di classe su questi temi, e dall’alto, se ci sarà un governo riformatore che non sia espressione di Confindustria e della Troika, che si faccia carico di una riestensione dei diritti dei lavoratori.
Resta il fatto che ai lavoratori manca oggi un soggetto politico di riferimento che sappia, partendo dalle lotte di resistenza riunificare le stesse per farne in prospettiva una Piattaforma riformatrice di governo.
PROPOSTE
Continuare con le lotte referendarie sui diritti del lavoro: l’abrogazione del Jobs Act (come si dice nella relazione Conte-Giovannini) è condizione necessaria ma non sufficiente; va rimessa mano a un ventennio di destrutturazione dei diritti del lavoro che inizio da parte del governo Prodi 1 (Pacchetto Treu); va ripristinato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori riportandolo a prima del Jobs Act.
Presentare proposte di legge che vadano a scalfire lo strapotere padronale in fabbrica e nei luoghi di lavoro, come il completamento del D.Lgs 81/08, con l’introduzione di un’area specifica sul rischio organizzativo (vedi proposta Carpentiero come Associazione Italiana Benessere e Lavoro) e come l’inserimento del reato di vessazioni sul lavoro (mobbing) nel Codice Penale (vedi proposta Rombolà come Associazione Italiana Benessere e Lavoro). Queste due proposte devono andare di pari passo col ripristino dell’articolo 18 in quanto sia in passato che oggi le aziende usano il mobbing quando non possono licenziare liberamente il lavoratore.
Inserimento nell’ordinamento penale del reato di Omicidio sul Lavoro, sulla falsariga dell’Omicidio Stradale entrato in vigore un anno fa. A tal fine esiste già una proposta di legge.
Poiché non risulta garantito l’articolo del Decreto Legislativo 81/08 che sancisce che il Rappresentante dei Lavoratori alla Sicurezza (RLS) “non subisca pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività”, sarà necessario sancire la partecipazione attiva degli RLS a tutte le fasi della stesura del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), garantendo loro a tal fine una preparazione specifica. Questa ultima non potrà prescindere da una ricostruzione del ciclo di lavorazione con un profilo di rischio che evidenzi tutti i rischi presenti, compresi quelli organizzativi e quelli presenti in operazioni di manutenzione e dovrà concludersi con la proposta di misure precise di bonifica e correttive dell’organizzazione; in effetti gli attuali DVR sono spesso incomprensibili anche agli RLS e non contengono quasi mai un vero piano di misure correttive e di bonifica con un preciso cronoprogramma.
Il rafforzamento del ruolo degli RLS ovviamente non potrà prescindere dal ripristino dell’articolo 18 della Legge 300/70; andrebbe anche valutata la possibile applicazione della nuova Legge “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità”, la cosiddetta legge sul Wisthleblowing, che peraltro ha molti limiti e si è resa necessaria in un contesto dove i lavoratori e le lavoratrici sono ridotti in condizioni di schiavitù.
La figura del Medico Competente così come prevista dal D.Lgs 81/08. dovrà essere modificata a livello normativo / giuridico introducendo misure di tutela onde evitare che il Medico Competente sia ricattabile e di conseguenza si trasformi in strumento del datore di lavoro contro i lavoratori.
Gli operatori della prevenzione oggi sono sempre di meno e più che mai in sofferenza in quanto l’organizzazione aziendale ASL richiede un sempre maggiore numero di ispezioni. La conseguenza è la spersonalizzazione, l’impossibilità di approfondire l’analisi del ciclo e dell’organizzazione del lavoro, la scarsa comunicazione con i lavoratori e gli RLS. La conseguenza è che la qualità delle ispezioni sia sempre più bassa. E’ necessario ricostruire i Servizi di Prevenzione delle ASL tornando a un congruo numero di operatori di ispezione, giovani e motivati, comprendendo tutte le professionalità: medici, tecnici, ingegneri, chimici, psicologi esperti di organizzazioni del lavori e garantendo la formazione continua e trasmettendo loro la certezza che il risultato che si vuole da loro sia realmente sconfiggere la piaga delle morti e degli infortuni sul lavoro, in un sistema di prevenzione che sia in grado anche di individuare e modificare quelle condizioni strutturali e organizzative che sono all’origine degli infortuni e delle malattie professionali.
Gli operatori che svolgono ispezioni dovranno essere sgravati da farraginosi protocolli che oltre a ridurre gli interventi reali possono essere fonte di errori che nel caso fiorentino hanno addirittura causato un’inchiesta con accuse di rilevanza penale. Medicina Democratica si impegna alla difesa degli operatori ingiustamente coinvolti in inchieste della Magistratura che, nel caso fiorentino, hanno avuto come unico risultato la distruzione dei servizi attraverso l’intimidazione degli operatori.
Le aziende che vengono riconosciute colpevoli della morte (o di gravi invalidità) di lavoratori per infortuni o malattie professionali dovranno essere pesantemente penalizzate con esclusione dalla legislazione che preveda defiscalizzazione ed altre misure premiali e sottoposte ad un regime di controlli periodici e frequenti da parte degli Organi di Vigilanza.
Il carrozzone INAIL va sciolto e rifondato su nuove basi, anche nel nome che è quasi uguale a quello del periodo fascista (Istituto Nazionale Fascista per gli Infortuni sul Lavoro): le malattie da lavoro devono avere pari dignità con gli infortuni e le tabelle vanno ampliate ulteriormente (mancano molti tipi di tumore e le patologie da stress lavoro correlato e più in generale da cattiva organizzazione sul lavoro). Va trasferita la competenza sul riconoscimento delle malattie professionali dall’INAIL alle ASL, trasferendo dall’INAIL anche le risorse necessarie, e mantenendo solo un membro INAIL nel collegio medico ASL. Come avviene per le visite INPS, in caso di mancato riconoscimento dovrà essere fatto ricorso direttamente al Giudice del Lavoro. All’INAIL dovrebbe rimanere solo il compito di gestire i singoli infortuni e le singole malattie professionali dal punto di vista amministrativo e finanziario, pagando i risarcimenti ai lavoratori. Come misura da prendere nell’immediato, andrebbe modificata da parte dell’INAIL la modalità di accertamento del nesso causale delle malattie professionali che viene attuata sia acquisendo acriticamente il DVR aziendale (difficilmente le aziende si autodenunciano!) sia non riconoscendo le malattie professionali ai lavoratori quando le aziende non hanno fatto la Valutazione dei rischi. Inoltre in applicazione della Legge 241 sulla trasparenza nella pubblica amministrazione l’INAIL dovrebbe smettere di frapporre ostacoli all’accesso agli atti per i lavoratori che devono effettuare ricorso.
Per una riforma compiuta dell’istituto INAIL sarebbe necessario dopo il Congresso la formazione di un apposito gruppo di lavoro. Si propone infine di ricostituire l’ISPESL che è stato inglobato nel 2010 nell’INAIL, accorpando in esso il Contarp e ricostituendo tutti i dipartimenti ivi compreso quello di Psicologia del Lavoro.
Va presentata una proposta di Procura Unica Nazionale per infortuni e malattie da lavoro
Occorre proporre un’apposita legge che preveda l’autogestione da parte dei lavoratori con un fondo statale congruo delle aziende che dichiarano fallimento, di quelle in cui il datore di lavoro fa perdere le sue tracce, e di quelle che delocalizzano l’attività con motivazioni pretestuose. Inoltre in applicazione della costituzione repubblicana andrebbe approvata una legge che preveda la cogestione (articolo 46 della Costituzione) delle aziende con più di 50 lavoratori fornendo ai lavoratori poteri decisionali reali e tutti gli strumenti economici e di conoscenza. Sia l’autogestione che la cogestione dovrebbero portare vantaggi alla salute e sicurezza sul lavoro nel momento in cui il valore della vita umana e della dignità del lavoro divenissero prevalenti sul valore del profitto; quest’ultimo andrà reinvestito in gran parte in misure di miglioramento delle condizioni di vita e di salute e sicurezza dei lavoratori.
Molte delle proposte che facciamo in particolare a livello normativo rischiano di rimanere però lettera morta senza l’appoggio dei lavoratori organizzati e senza la ripresa di una coscienza di classe, in particolare tra i lavoratori più giovani costretti spesso (vedi i cosiddetti “riders”) ad accettare condizioni di lavoro neoschiavistiche (quasi ottocentesche).
La caduta della coscienza di classe fa si che molto spesso i cittadini che difendono la loro salute dall’ inquinamento industriale si trovano contro il padrone e i lavoratori che difendono posti di lavoro nocivi, come è successo a Taranto per responsabilità anche del sindacato confederale, con l’unica e positiva eccezione dei “Lavoratori Liberi e Pensanti”.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”
Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus
3/5/2018
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!