Le notti della Città Eterna. «La notte più buia»

Roberto Gramiccia con il suo dodicesimo libro, La notte più buia. Cronache di una generazione  (Mimesis), disegna il proprio diacronico autoritratto partendo da un risveglio notturno anomalo e traumatico in cui, per una serie di sfortunati eventi, si ritrovò solo e abbandonato, perso nella notte più buia e soprattutto più lunga della sua vita: come se le ore fossero secoli e la paura non dovesse finire mai. Saranno le donne – anelli forti nella catena della sua vita – a tirarlo fuori dal pozzo in cui era precipitato: a non finire mai è il desiderio e con esso la voglia di crescere, di sedurre e di essere sedotti.

Le basi sociopolitiche di una nuova generazione

I ragazzi con cui Roberto vive la sua infanzia di strada avevano come modelli di vita la centesima e ultima generazione contadina che esiliava nella città eterna e nei millenni la rigenerava, imparando e insegnando mestieri nuovi. Un popolo allegro e sincero, ben descritto dal Belli nei suoi sonetti, dove affrontava le avversità con inalterabile e serena filosofia, mettendo a punto i saggi consigli esistenziali di Seneca, la sintesi della cultura greca e latina. Anche se negli studi invece del Classico al massimo si fermavano all’Avviamento. Dalla fine del dopoguerra, inoltre, il Partito Comunista riesce a dare coscienza politica a questa classe, a trasformarla in un popolo lavoratore che sa scioperare per il salario, come per la fine della guerra in Vietnam.

Su queste solide basi materiali che segnano una intera generazione, Roberto Gramiccia intreccia attività politica e letture, formandosi una cultura omogenea per vedere, capire e trasformare il mondo: Spinoza, un marxismo dialettico che si ricollega a Eraclito e Hegel, un materialismo che risale fino a Lucrezio, ricercati e trovati poi tra le righe degli amati Leopardi, Gramsci, Pavese e Pasolini. Lenin, la Rivoluzione d’Ottobre e la lotta contro l’imperialismo: la rossa stella polare per la lotta politica, per un sempre necessario impegno antifascista, per la pace contro i rischi di una guerra nucleare che potrebbe determinare la fine della storia del genere umano.

Il medico Gramiccia immagina, pratica e teorizza quindi l’arte medica in modo coerente con questa visione unitaria del mondo e dell’uomo, in contrasto con l’ultraspecialismo che si afferma nella professione in questa fase iperfordista del turbocapitalismo in crisi permanente. I suoi libri su questo argomento andrebbero consigliati a chi volesse intraprendere la missione del medico, al posto dei test d’ingresso, dell’assurdo numero chiuso. Un approccio all’organizzazione sanitaria su base territoriale che avrebbe evitato al nostro paese una buona parte dei 200 mila morti per Covid di questi due anni.

Quale legame tra arte e fragilità?

Complice una pokeristica vocazione al rischio calcolato, negli anni Novanta, Gramiccia vive a suo modo la tendenza al consumismo sfrenato dei tempi e sfida la subcultura dell’effimero cominciando a collezionare opere d’arte.  Ben presto ciò lo trasforma, per una vecchia passione per la scrittura e il giornalismo, in critico d’arte militante. La consuetudine di rapporti con gli artisti lo porta, quindi, a riflettere sul rapporto tra fragilità e arte come chiave per capire e vivere con piena consapevolezza la condizione umana.

Per tenere insieme questa poliedrica attività, ben sintetizzata nella post fazione di Paola Paesano, occorre, oltre a energia e forse anche una tendenza all’iperattivismo, una visione d’insieme da consumato scacchista che Roberto sa mettere in moto nei momenti  delle scelte fondamentali, come quando decise di iscriversi a medicina. Per fortuna dei suoi pazienti e di noi lettori.

Un’eccellenza nel genere del pamphlet

L’autore infatti ha un talento speciale per la scrittura di pamphlet, del racconto ragionato o del saggio romanzato di derivazione francese; una scrittura che ricorda molto quella di Sciascia che in questa eccelleva ed è singolare che la prefazione l’abbia scritta proprio un suo nipote, Fabrizio Catalano, il quale sa cogliere in poche righe la profonda differenza tra la generazione del decennio ‘68 e ‘77 con quelle successive. Ma scrittura, linguaggio e voce di Roberto hanno di originale, di unico, proprio la consuetudine con il pensiero, il ragionamento del medico, teso alla ricerca della verità per poter formulare una diagnosi esatta. Aiuta anche l’intuizione, come, nella narrazione, una memoria che sappia modellare il ricordo per raccontare meglio la verità.

Echi letterari dietro il narratore

La mancanza di descrizione del dolore in La notte più buia (acquista) inoltre non è rimozione, ma fa invece emergere la pietas del medico e dello scrittore concentrato all’ ascolto, alla cura, alla sconfitta della morte evitabile, e rende anche per questa ragione concreta, semplice e nitida la scrittura. D’altronde la pietas, cioè l’assunzione di responsabilità, che rende simile il medico al vero politico, è un fardello pesante da portare come ci racconta Virgilio, descrivendo il viaggio di quell’Enea da cui discende la nostra civiltà.

Infine il personaggio Gramicca ricorda molto l’alter ego di Tolstoj che, guarda caso, scriveva i dialoghi proprio in francese, la lingua materna dei nobili. Quel Pierre Bezukhov che nei capitoli finali di Guerra e pace per descrivere i cambiamenti di umore e i comportamenti dei personaggi li collega ai problemi della digestione e dell’invecchiamento mostrando affetto e comprensione per i limiti e i difetti umani. Quindi anche per i propri.

Ultimo paradosso in forma di domanda. L’uomo Gramiccia, studioso della fragilità che attraverso un’infanzia costellata di fratture, diete sbagliate, notti insonni, conquista spavaldamente una solidità invidiabile e che ci appare robusto e malandrino come doveva essere il Partito secondo Togliatti, non avrà anche lui qualche fragilità nascosta? Forse lo scopriremo nel prossimo libro.

Recensione di Giuseppe Carroccia

14/11/2022 https://www.magmamag.it

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