Le nuove forme di fascismo, istituzionale e non

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Eco nel suo libretto “Il fascismo eterno”, che riporta un suo intervento rivolto a studenti americani in un simposio organizzato dai dipartimenti di italiano e francese della Columbia University il 25 aprile del 1995, conclude dicendo: ”Il fascismo eterno è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili”. “Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue forme, ogni giorno, in ogni parte del mondo”. E indica una lista di caratteristiche tipiche di questo fascismo eterno. Analizzando le caratteristiche che sono menzionate, dal culto della tradizione, al contrasto alla cultura e di conseguenza agli intellettuali che esprimono critiche al sistema, al razzismo, al nazionalismo, al rifiuto del pacifismo – perché è la guerra che porta la pace – al disprezzo per i più deboli, dobbiamo ammettere che tutti questi elementi sono presenti, in gradi diversi, nelle scelte che sta compiendo l’attuale governo di destra nonchè nelle amministrazioni locali guidate da esponenti dei partiti di destra.

Naturalmente, dobbiamo aver coscienza del fatto che la pericolosità non è legata tanto agli atteggiamenti che si rifanno esplicitamente alla simbologia fascista. In questo caso, infatti, il pericolo può consistere nella sfida alla cultura democratica e nella riabilitazione di simboli eversivi, ma spesso si tratta di rigurgiti fascisti di sapore nostalgico, imputabili a frange minoritarie della destra estrema. La vera minaccia neo-fascista, invece, sta soprattutto in azioni, scelte di governo, comportamenti che mettono in evidenza il profilo di una nuova destra conservatrice e potenzialmente eversiva, che declina i principi del fascismo adattandoli al nuovo contesto. Cerchiamo, allora di interpretare ciò che traspare dall’azione delle destre a livello istituzionale. Un elemento dovrebbe essere preliminarmente messo in evidenza. Il governo Meloni è “qualitativamente diverso” dalle precedenti esperienze dei governi di centro destra a guida Berlusconi. In primo luogo, il partito guida, Fratelli d’Italia, è una formazione di ascendenza fascista che non ha mai messo in discussione la sua origine. Inoltre, Fratelli d’Italia condivide molti punti di vista con la Lega, al punto che su molte questioni è difficile riconoscere chi dei due abbia posizioni più estreme. I loro elettorati pertanto appaiono molto più omogenei di un tempo il che fa intravedere il consolidamento di una destra con pulsioni eversive, molto più estesa del passato e posta alla guida del Paese. Entrando più nel merito dei segnali che ci vengono dai governi nazionali e locali della destra, distinguiamo innanzitutto le scelte che riflettono l’humus culturale e che esercitano il loro influsso soprattutto – ma non solo – sul piano culturale. Il conservatorismo, inteso come rifiuto del moderno, che si cela dietro lo slogan di Dio Patria e famiglia è ben visibile, ad esempio, nell’atteggiamento tenuto in tema di diritti civili. Si considerino le tematiche afferenti alla questione di genere. Sulla vicenda drammatica dei femminicidi, il governo di destra ha cercato di fare scomparire l’imponente mobilitazione delle donne. Non si poteva certo negare la drammaticità del fenomeno, ma quello che si voleva impedire era l’associazione con la caratteristica maschilista della cultura prevalente. Come sappiamo il machismo ha fortemente connotato il pensiero fascista, ma in questo caso quello che è stato determinante è il rifiuto del riconoscimento delle disuguaglianze dei generi e quindi della violenza di chi vuole imporre alle donne un ben determinato ruolo e modello di comportamento. Al fondo, come scrive Umberto Eco, vi è la” paura della differenza” e il rifiuto di quello che viene interpretato come un inaccettabile “modernismo.” Qualcuno può controbattere sostenendo che sarebbe curioso negare il ruolo delle donne nel momento in cui il leader della destra è una donna. Attenzione però: ciò che viene riconosciuto alla Meloni non è il suo essere donna, ma il suo essere “capo”, una categoria che può trascendere quella del genere. La discriminazione di genere è però visibile anche a un livello istituzionale più ampio. Si pensi, nel caso della gestione delle strutture destinate alla procreazione e in particolare a quelle che gestiscono gli aborti assistiti, ai comportamenti preoccupanti di alcuni governi locali di destra.

Per inciso, benché non si possano automaticamente ascrivere al governo di destra le scivolate misogine o razziste del generale Vannacci, non può essere considerato irrilevante che un esponente delle gerarchie militari si permetta affermazioni tanto gravi e il fatto che ciò avvenga in tale situazione politica fa giustamente pensare. Sul piano dei diritti civili, il comportamento più grave della destra di governo è quello concernente il fenomeno dell’immigrazione. A tale riguardo si può imputare al governo Meloni una serie di decisioni gravi come quelle di utilizzare l’Albania, dopo la Libia, come luogo d’internamento degli immigrati, ma certamente l’apice del razzismo si è raggiunto con Salvini nel suo ruolo passato di Ministro degli Interni, con l’impedimento degli sbarchi e i provvedimenti esecrabili che ben conosciamo, responsabili di innumerevoli morti. Si trattava di un governo diverso – è vero – ma il personale politico è lo stesso. Il razzismo, come espressione del rifiuto del diverso cui accenna Eco, una delle caratteristiche significative del “fascismo eterno”, è ben presente nella destra di governo e costituisce un fenomeno allarmante. A tale proposito, l’apparente “ammorbidimento” del governo Meloni non nasce da una revisione del pensiero di fondo, ma da un calcolo opportunistico, teso a porre l’Italia in una condizione più favorevole nei rapporti con L’Unione Europea. Quest’aspetto delle destre – l’inclinazione opportunistica – non mette comunque in discussione i punti di vista radicati nelle loro culture originarie (nel caso di Fratelli d’Italia) o di quelle acquisite (nel caso della Lega).

Il rifiuto del dissenso e quindi l’ordine come comportamento imposto, è una caratteristica tipica del fascismo. Questo, alle origini, si è tradotto prima nella diffusione dello squadrismo e poi, una volta al governo, nella repressione sistematica del dissenso. Questa concezione non è estranea alle pratiche di questo governo e si può cogliere in alcuni episodi. Il più clamoroso è stato quello recente dei giovani studenti di Pisa manganellati dalle forze dell’ordine senza alcuna ragione. L’episodio, per la gravità che ha assunto, ha perfino richiamato l’attenzione del Presidente della Repubblica e costretto lo stesso Ministro dell’Interno, seppur timidamente e in ritardo, a prendere le distanze, senza tuttavia esprimere un’esplicita condanna. Queste inclinazioni alla limitazione del dissenso sono però emerse anche in altri episodi, non meno gravi. Si pensi al ricatto del ministro Salvini nei confronti dei lavoratori dei trasporti minacciati di precettazione, nel caso degli scioperi generali convocati a livello regionale dalla CGIL. Si pensi ancora alle assurde limitazioni poste alle manifestazioni pro-Palestina di questi giorni. Le destre non amano il dissenso, non è nelle loro corde tollerare la protesta. E questo è quello che avviene con questo governo, benché le forzature repressive incontrino dei limiti di cui le destre sono ben consapevoli. Non solo perché un’opposizione, benché poco efficace, c’è, ma soprattutto perché l’Italia sul fronte democratico è nel mirino delle autorità europee, a partire dai fatti di Genova. Un profilo decisamente autoritario non sarebbe gradito e il governo Meloni lo sa bene.

Un altro terreno che merita un approfondimento è quello dell’azione più dichiaratamente culturale e simbolica. Mi riferisco al tentativo palese di riscrivere la storia del paese in chiave revisionista. È evidente che gli sconfitti di un tempo mirano a ottenere una rivalsa. Le linee di attacco sono diverse e muovono dalle istituzioni nazionali e locali gestite dalle destre. Un primo fronte è quello del rifiuto a dichiararsi antifascisti. Sono passati i tempi di Bossi che, mentre rivendicava il federalismo per il nord, si dichiarava antifascista. Oggi la Lega ha dimenticato ogni ancoraggio all’antifascismo e Fratelli d’Italia rifiuta in ogni modo di definirsi antifascista. Le esternazioni di La Russa, la condiscendenza verso iniziative di nostalgici, le elusioni della questione da parte della Meloni dimostrano che se c’è una cosa che Fratelli d’Italia, nel suo ruolo di principale forza di governo, non può fare è recidere il legame con la sua origine fascista, che continua a costituire la fonte della sua identità. Da qui si dirama il tentativo di revisionismo storico attraverso la rilettura della storia recente, a partire dal periodo fascista e dai fatti legati alla seconda guerra mondiale. Un esempio significativo è l’uso del “giorno del ricordo”, utilizzato per interpretare gli episodi di violenza legati alle foibe come la dimostrazione dell’odio dei popoli slavi e, in particolare, dei comunisti slavi, verso gli italiani rimuovendo del tutto il ruolo avuto dal “fascismo di confine” nella storia dei territori interessati. Analogamente, vi è un succedersi negli enti locali di commemorazioni e intitolazioni di vie e piazze a esponenti del fascismo, il cui ruolo storico viene a essere edulcorato nella definizione di “autorevoli statisti”. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Quello che va sottolineato è che tale operazione non punta tanto a ripristinare la cultura fascista, cosa peraltro difficile da ottenere, quanto a delegittimare quella dell’antifascismo costituzionale. L’obiettivo: disintegrare il fondamento politico/ culturale della Costituzione e quindi della Repubblica.

Un aspetto decisivo, anche se fino ad ora molto trascurato, è la questione della possibile influenza del pensiero fascista nelle scelte di politica economica e sociale dell’attuale governo. Il fatto più rilevante, a tale riguardo, è che nella politica economica e sociale della destra il riferimento fondamentale è ormai diventato l’ideologia liberista. Chi volesse trovare nelle politiche del governo qualche cenno di statalismo o di dirigismo statale rimarrebbe deluso. Non vi è alcuna ambizione a controllare l’economia a partire dal governo centrale. Il mercato è la massima autorità. E’ semmai lo stato che deve fare un passo indietro. All’estensione dello stato nel sociale, praticato dal regime fascista, si contrappongono il ritiro dello stato dai servizi pubblici e il via libera alle privatizzazioni. Ciò che sta avvenendo nella sanità è evidente a tutti. Vi sono, però, aspetti in cui la matrice della destra si fa sentire e questo riguarda soprattutto l’atteggiamento tenuto nei confronti delle varie classi sociali. La destra, infatti, mantiene come riferimento privilegiato il rapporto con il lavoro autonomo e la piccola e media impresa. L’appello alle classi medie frustrate costituisce anche oggi il leit motiv della destra. Sia Fratelli d’Italia che la Lega, dal punto di vista sociale, trovano qui un punto di convergenza particolarmente forte. I provvedimenti fiscali ispirati alla flat tax rispondono in primis all’esigenza di dare risposte alla protesta fiscale di quei ceti, dislocati al nord ma non solo. Numerosi fattori impediscono, poi, che tale appoggio sia efficace, per la limitatezza delle risorse disponibili, per la forza che conservano la grande impresa e il sistema bancario, ma ciò non impedisce che a tali referenti sociali si rivolga la destra di governo. Non certamente al lavoro dipendente, né a quello privato, né a quello pubblico e meno che meno alla fascia del lavoro precario e dell’emarginazione sociale. Qui Il principio elitario offre una prima spiegazione, ma anche l’avversione per quelle fasce sociali troppo influenzate dalle organizzazioni sociali e in particolare dal sindacato o culturalmente poco condizionabili.

La destra al governo non può però acuire oltre un certo livello le tensioni che si produrrebbero se esibisse le sue matrici ideologiche. Il vincolo maggiore è probabilmente rappresentato dall’Europa che ha messo sotto osservazione il governo Meloni. E, infatti, la destra italiana, imparata la lezione, punta a convivere con l’Unione Europea, giocando nella trattativa il proprio peso ed evitando terreni di contrasto secondari. Questa vocazione “internazionalista” della destra ha fatto capolino già da parecchi anni. Si pensi alle strizzatine d’occhio di Alleanza nazionale alla destra repubblicana statunitense. Perciò chi si attendesse una sorta di antagonismo con l’Europa o scelte in contrasto con la NATO si farebbe illusioni. Peraltro, quello che ormai è in gioco non è più l’uscita dell’Europa, ma la conquista della maggioranza in Europa. Il nuovo traguardo diventa allora quello della costruzione in Italia di un nuovo tipo di regime.

Tale aspirazione è evidente nella presentazione di due provvedimenti che stravolgono la Costituzione: l’autonomia differenziata e il premierato. E’ qui che oggi si concentra il progetto eversivo della destra. Con il primo dei due si punta a dilatare le competenze delle regioni, trattenendo contestualmente risorse destinate allo stato, col secondo si punta a rafforzare il potere del capo del governo, eleggendolo direttamente e quindi riducendo il ruolo del Parlamento, sottraendo competenze al Presidente della Repubblica e garantendo alla coalizione vincente la maggioranza. L’obiettivo è il completamento di una struttura istituzionale basata su un forte potere centrale, attorniato da altrettanto forti poteri regionali. Un modello che efficacemente qualcuno ha definito “neo-feudale”. Il re al centro e tanti vassalli a livello locale. Se poi aggiungessimo i sindaci con minor funzioni, ma altrettanto potere, oggi amplificato con l’introduzione del terzo mandato, dovremmo aggiungere una rete estesa di valvassori e valvassini. L’allargamento delle competenze alle regioni congiunto con la riduzione delle imposte da versare al centro favorirebbe l’estendersi di un’egemonia sui territori. Gli squilibri che si determinerebbero verrebbero risolti con l’estensione delle privatizzazioni per ridurre gli oneri derivanti dalla spesa sociale e, se occorre, con la repressione della domanda sociale. Qual è il lascito della cultura fascista in tutto questo? E’ un lascito forte specie in tema di premierato, dove l’elitismo che traspare dall’esaltazione del capo del governo si associa al populismo che anima la sua elezione diretta. Il proposito di marginalizzare l’opposizione e di stravolgere i meccanismi della rappresentanza risponde poi all’idea di dominio come riduzione del pluralismo e controllo sugli altri poteri dello stato: magistratura, potere esecutivo e funzioni di Garanzia. In tutto questo, che spazio occupa l’autonomia differenziata delle regioni? Si rafforza il potere del signore locale (Il presidente della regione) mentre al premier resta il potere di gestire le fondamentali relazioni internazionali, l’esercizio del potere militare e dell’ordine pubblico, una serie di funzioni non delegabili e attinenti alla dimensione nazionale, la garanzia di una coesione nazionale essenziale sia sul fronte esterno che interno, basata sull’accresciuto potere personale.

Rita Scapinelli

Responsabile antifascismo PRC

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