Le nuove istituzioni totali

I grandi player del settore digitale come Googlee Facebook rappresentano una novità assoluta all’interno delle istituzioni umane dal momento che superano di gran lunga il ruolo sociale svolto dalla forma impresa così come l’abbiamo conosciuta finora. Tanto che questo ruolo non può essere sintetizzato dalle classiche metriche economiche nelle quali pure essi primeggiano: il fatturato, il numero di dipendenti, le quote di mercato, o ancora la capacità di esibire un brand in grado di esercitare attrattiva e fascinazione. Tale ruolo eccede di gran lunga anche la strutturazione dei rapporti sociali e di distribuzione del valore che essi stanno determinando, producendo livelli di ricchezza smisurati per i loro proprietari. Non si tratta più solo di questo, l’egemonia non si gioca più esclusivamente sul piano della produzione materiale ma anche e soprattutto su quello della produzione immateriale, ove il prodotto immateriale non è tuttavia semplice merce destinata ad assolvere il circolo denaro-merce-denaro, in gioco vi è molto di più. 

Com’è noto questi soggetti offrono servizi immateriali gratuiti a fronte dei quali richiedono il semplice accesso alle informazioni dei loro utenti. Se è vero, da un lato, che queste informazioni servono a effettuare delle profilazioni a fini commerciali, dall’altro, tuttavia, esse costituiscono di per sé un prodotto finale il quale, a fronte della continua loro accumulazione prende il nome di Big Data o scienza dei dati, producendo una nuova forma di capitalismo che è stata definita dalla psicologa sociale statunitense Shoshana Zuboff come «capitalismo della sorveglianza». Tutti noi, compiendo i più piccoli gesti quotidiani, contribuiamo all’accumulazione capitalistica dei dati semplicemente utilizzando un cellulare, consultando internet, leggendo un articolo di giornale o utilizzando la carta di credito, in un processo che la stessa psicologa ha definito di «estrazione digitale». 

L’ambiente in cui viviamo, il nostro habitat, è ormai forgiato da strumenti idonei alla raccolta dati i quali, oltre a svolgere questa funzione, dialogano in tempo reale con i server in cui questi dati sono dislocati ed elaborati, rimodulando il loro funzionamento secondo quanto prescritto dagli algoritmi che li analizzano. I devices che utilizziamo rappresentano, così, le estensioni nodali di una mente che è contemporaneamente centrale e diffusa e che dunque riceve informazioni ma contestualmente le rielabora e le invia in un processo senza pause e senza fine. Questo processo non è semplicemente capace di indirizzare i nostri comportamenti. Esso si sta guadagnando il potere di rimodulare e riconfigurare l’ambiente in cui viviamo. La conoscenza e l’elaborazione delle informazioni sui modi con cui esaminiamo gli oggetti esposti in un negozio, le nostre esitazioni, i tempi medi di permanenza in un determinato luogo, offrono la possibilità per una riconfigurazione della struttura di quei luoghi nonché dei codici e dei canali comunicativi che si producono al loro interno. Tutto questo senza dover intervenire necessariamente in modo drastico sulle strutture fisiche ma operando in modo sempre più liquido e meno soggetto a controlli esterni. 

Così, per esempio, mentre scrivo questo articolo conduco una serie di ricerche su Googleil cui algoritmo finirà per influenzare in modo più o meno incisivo il mio prodotto finale. O ancora, il modo in cui si svolgono i dibattiti politici televisivi è letteralmente guidato da un’analisi in tempo reale del gradimento sui social, in questo modo a essere radicalmente trasfigurata è la possibilità stessa di comunicare dal momento che il messaggio non va più da un mittente a un destinatario ma, schiacciandosi sui desideri di quest’ultimo, finisce per far collassare i due poli comunicativi in un unico centro, trasformando la relazione con l’altro in relazione con sé. Il mondo fisico e il mondo digitale non sono più due mondi separati e interagenti, costituiscono un unicum inseparabile. 

Un nuovo habitat umano 

Definisco il nuovo habitat umano ambiente globale mentalizzato. Per mentalizzazione globale intendo, riprendendo la definizione dello psichiatra Anthony Bateman e dello psicanalista Peter Fonagy, la capacità di una mente globale, prodotta dalla somma delle singole menti relazionali, di integrare ed elaborare tutti quei processi coinvolti nell’evoluzione identitaria di ogni singolo individuo. Come se la mentalizzazione non sia più esclusivamente un processo interno alla mente ma anche un processo proiettato e dislocato all’esterno in grado di percepire e interpretare i comportamenti dell’essere umano come il risultato di stati mentali (ovvero desideri, credenze, aspettative, bisogni, obiettivi e sentimenti) interni e intenzionali. La mentalizzazione globale consiste dunque in una meta-mente co-costruita, potenzialmente dotata di «neuroni specchio» e neuroplasticità sinaptica, in grado di vedere gli altri dal di dentro e sé stessa dal di fuori. Una meta-mente che, sfruttando l’intelligenza informatica, elabora e trasforma, in termini di rappresentazioni e simbolizzazioni, le esperienze degli individui, ne comprende i comportamenti e ne organizza i processi di pensiero riflessivo, guidando e direzionando comportamenti, motivazioni e obiettivi. 

Questi ultimi vengono percepiti come il risultato di stati mentali interni ma in realtà sono frutto del nuovo ambiente in cui è impossibile distinguere tra interno ed esterno, tra mente singola, mente globale e meta-mente. In questo senso l’ambiente non è più il luogo in cui l’uomo vive, agisce e lo trasforma soddisfacendo istinti o creando istituzioni, è piuttosto uno spazio in cui la vita biologico-digitale, fisica e immateriale, accade trasformandosi. In questo modo tale processo depriva l’ambiente dai suoi significati originari rendendo sempre più difficile una sua semantica e sostituendo a essa nuove sintassi. Queste sintassi sono al tempo stesso esclusive e inclusive: inclusive nella misura in cui lasciano gli individui liberi di interagire; esclusive perché imposte coattivamente dalle poche grandi aziende che ne detengono la proprietà, non solo sul piano del diritto ma anche e soprattutto su quello fattuale. Queste sono le uniche a conoscere le nuove sintassi e godono così di un diritto incontestato alla loro riprogrammazione. In questo modo diventano delle istituzioni che oltrepassano di gran lunga il potere degli Stati i quali devono muoversi in contesti che, al di là di quanto valore si voglia attribuire al controllo democratico, sono comunque regolati dal diritto e dalle istituzioni previste dalle carte costituzionali (ivi inclusi tutti gli apparati di cosiddetto sotto governo). E se il modo di funzionamento di questi ultimi non può che passare dalla burocrazia (con le sue regole e i suoi tempi dilatati), in quelle non si prevede, al contrario, alcun tipo di burocrazia, al pari della lingua esso accade nei momenti del suo uso. 

Abbiamo così di fronte una società nella quale le nuove istituzioni che la plasmano sono da un lato infinitamente più solide rispetto alle vecchie e dall’altro enormemente più fluide. Questo le rende, di fatto, inattaccabili. Ogni istituzione umana, infatti, ha sempre prodotto delle micro o sotto istituzioni che hanno finito per rappresentare una alternativa. Ad esempio l’istituzione del matrimonio ha prodotto dapprima quella del divorzio e poi forme alternative dell’intendere il rapporto di coppia. Se pensiamo ora al caso dei social potremmo affermare che questi producono un’intensità di interazione del tutto sconosciuta in passato con un potenziale politico sociale enorme. Ora mi chiedo: le micro-istituzioni che nascono e nasceranno sostenute da questa nuova forza di interazione, possono ambire a giocare, nei confronti di questa, lo stesso ruolo che per esempio hanno giocato i sindacati nei confronti dei datori di lavoro e della società intera, oppure siamo di fronte a una discontinuità radicale nella storia delle istituzioni umane? E se il mio dubbio è legittimo, chi sarà in grado di assumere l’onere di arginare questo potere dal momento che tale processo si situa al di là e dunque di fatto al di sopra della legge? 

Le nuove istituzioni totali

A essere fortemente minacciata è quella che il filosofo Georges Canguilhem ha definito attività normativa del vivente, il quale agendo non trasforma più il mondo circostante ma si limita a utilizzarlo. È come se a un incremento delle possibilità di azione sia corrisposto un inaridimento delle possibilità di incidere attraverso di esse. Utilizzare piuttosto che normare il mondo significa esserne utilizzati o, se vogliamo usare le parole di Robert K. Logan, divenire un’estensione di quel media. In questo senso più le banche dati immagazzinano informazioni di ognuno di noi meno esistiamo.

Società come Googleo Facebookassumono così il ruolo di quelle che sono state definite in sociologia istituzioni totali quali sono per esempio le prigioni, le caserme, gli ospedali psichiatrici. Come quelle reprimono l’individualità al fine di renderla a esse conforme. A differenza di quelle, tuttavia, questa operazione non si compie per mezzo di divieti e imposizioni secondo quanto prescritto dalla società disciplinare descritta da Michel Foucault, ma avviene lasciando, almeno in apparenza, ciascuno libero. Come ha fatto notare il filosofo Byung-chul Han: «non si produce alcuna mancanza, bensì un’abbondanza, anzi un eccesso di positività: siamo tutti sollecitati a comunicare e consumare». Non ponendo limiti essa stessa non ha limiti. Così il problema dell’esercizio del potere non afferisce più alla sua legittimità, esso infatti è sempre legittimo nella misura in cui non impone nulla ma lascia agli individui la possibilità di scegliere tra diverse alternative le quali, tuttavia, sono tutte funzionali al suo funzionamento. Il problema del potere, oggi, riguarda non la sua legittimità ma la sua realizzazione, il suo paradigma non è più di natura ontologica ma operativa, la sua autorità non consiste più tanto nel definire ciò che gli individui possono o non possono fare, quanto nel riuscire a «descrivere» fedelmente (anticipandolo, indirizzandolo, codificandolo) ciò che essi fanno e non fanno. La rivoluzione digitale, provocando il sorgere di quella che Jeremy Rifkin ha definito come «era dell’accesso» in cui «sono le idee, i concetti, le immagini – non le cose – i componenti fondanti del valore», ha inaugurato una fase del tutto inedita per il capitalismo in cui l’accumulazione di capitale cessa, per la prima volta, di essere l’unico fine, per essere accompagnata da altri fini non secondari di cui il capitalismo della sorveglianza fa senz’altro parte. 

È nell’agire intersoggettivo che è custodita l’essenza del potere capitalista di oggi, questo agire, apparentemente potenziato dalla tecnica, è in realtà deprivato di una delle sue qualità intrinseche più importanti, quella di poter essere trasformativo. L’affermazione del potere che i capitalisti della sorveglianza stanno attuando, con l’assenso della quasi totalità della popolazione, passa proprio da questa capacità di ridurre l’azione umana a un puro eseguire, che anche quando si auto comprende come volontaria risulta sempre più conforme a (quanto previsto). 

Rivendicare il diritto dell’essere umano di vivere in contesti in cui l’azione, tanto singolare quanto collettiva, possa rendersi difforme a, dunque trasformativa; in cui l’ambiente dell’uomo non cessi di servire al suo fine principale, ovvero quello di poter essere abitato, di poter servire alla creazione di senso collettivo da cui unicamente scaturisce la libertà, sta diventando desiderabile non solo per i vecchi detrattori del capitale ma anche per i liberisti più ortodossi. È arrivato il tempo per una presa d’atto comune capace di aprire a una battaglia che si preannuncia altrettanto comune. 

*Francesco Abbate è laureato in Filosofia presso l’Università Sapienza e in Economia presso l’Università Tor Vergata. Vive e lavora a Rio de Janeiro.

24/2/2022 https://jacobinitalia.it

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *