Le sbarre del populisti
Il duo Salvini – Di Maio ha presentato al Capo dello Stato Mattarella il Contrattotra Lega e Movimento 5 Stelle per il Governo del cambiamento. Qualcuno dice che è una buffonata, ma una buffonata pericolosa. Non so ancora se valga per tutti i punti, ma per quel che riguarda carcere e giustizia sicuramente sì; ed è una buffonata non perché le modifiche proposte facciano ridere, ma perché, di fatto, prendono in giro i cittadini italiani; per la loro inutilità e per gli alti costi, che le rendono difficilmente realizzabili.
Nel 2015 – 2016 si sono riuniti gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale: intorno ai tavoli di lavoro persone con competenze diverse ma con uno stesso obiettivo: proporre un modello “costituzionalmente orientato” di esecuzione delle pene, l’unico in grado di garantire meno recidiva e, quindi, più sicurezza. In continuità ideale con questi lavori, nel dicembre 2016, a Roma è stato promosso il primo seminario formativo nazionale (dall’Ordine nazionale dei giornalisti e dalla Casa circondariale di Regina Coeli), dal titolo “Stampa e terrorismo internazionale, tra diritti e sicurezza”. Ed è il nodo centrale: muoversi tra diritti e sicurezza.
Poi, la Riforma dell’Ordinamento penitenziario: non comporta cambiamenti epocali, ma si inserisce “nella logica dei piccoli passi”.
Salvini la chiama “provvedimento salva – ladri”. Ci si chiede se l’abbia letta. È documentato che il tasso di recidiva di chi sconta tutta la pena in carcere è del 60,4 per cento. È questa la “sicurezza della collettività” che si vuole?
Il tasso di recidiva di chi sconta la pena in misure alternative scende al 19 per cento: la sicurezza aumenta e si genera un risparmio per le finanze pubbliche, perché i detenuti vengono reinseriti nel circuito economico.
Garantire la certezza della pena, nei termini in cui lo fa il “contratto” non significa affatto garantire la sicurezza della collettività.
Qualche anno fa, nel carcere di Rebibbia, all’ennesimo rientro di una donna, un’agente penitenziaria, sempre attenta, con lucida sensibilità, alle persone e alle situazioni, commenta:
“Questa è la prova che il carcere non serve, non rieduca nessuno; B. l’abbiamo cresciuta noi: è entrata che era appena maggiorenne e ha continuato ad entrare e uscire per tutti questi anni (più di trenta)”.
Sfugge ai nostri legislatori che è impossibile educare in un contesto privo di libertà e nella estrema limitazione dei rapporti affettivi, familiari e non. Adesso, con la riforma verso cui ci si potrebbe muovere, le persone saranno chiuse in cella per tutta la giornata; e “oggetto”, essenzialmente, di raffinati sistemi di sorveglianza. Il Contratto, infatti, promette un aumento del numero di agenti penitenziari; non di educatori, psicologi, psichiatri e altre figure che possano impegnarsi nella crescita della persona.
“Costruiamo le vostre case, ma non ne abbiamo nessuna“; così il movimento nato in alcune baraccopoli del Sud Africa. E la situazione non è diversa in Italia. A Roma, percorrendo Via Santa Croce in Gerusalemme e, superato il n. 42-46, svoltando a destra per raggiungere la metro, in uno spazio soltanto coperto e senza pareti protettive, dopo le 20 si potevano vedere, durante i recenti mesi invernali, più persone che si organizzavano per dormire su quei materassi, che avevano lasciati in un angolo arrotolati. Non so se un qualsiasi lavoro quelle persone lo avevano. Chissà se sono socialmente pericolose. Ma noi, nelle nostre case, saremo finalmente tranquilli: la riforma ci garantirà una difesa “sempre legittima”; potremo finalmente sparare, al primo rumore sospetto. E, questo, anche sul posto di lavoro.
Nel 2017 in Italia 632 morti sul lavoro; nessuno, vittima di una rapina.
Scrive Gustavo Zagrebelsky nella postfazione a Abolire il carcere, edito nel 2015 da chiarelettere:
“Il carcere è nato, più che come sanzione, come pulizia della società dai suoi scarti: poveri, vagabondi, mendicanti, sbandati, irregolari d’ogni genere, da offrire in sacrificio all’ordine sociale”;
Qualche secolo fa con lo stesso obiettivo nasceva il lazzaretto. La vittima sacrificale; che la società di volta in volta sceglie per la sua salute, il suo benessere, la sua sicurezza.
E per la sicurezza della società “occorre rivedere le nuove linee guida sul cd “41 – bis”, così da ottenere un effettivo rigore nel funzionamento del regime del “carcere duro”.
Forse, prima, converrebbe leggere il libro pubblicato nel 2002, per conto della Camera Penale di Roma, da Palombi Editori: Barriere di vetro; con queste parole vengono descritte, in una delle lettere dei detenuti, le massicce lastre di vetro antisfondamento, che arrivano al soffitto e che, nel corso dei colloqui con i familiari, impediscono ogni contatto fisico, ogni stretta di mano, ogni carezza ai bambini. A quelle barriere si aggiunge la segregazione totale, la riduzione al minimo, quando non l’eliminazione totale, delle cose che si possono tenere in cella, dei cibi che si possono mangiare, delle persone che si possono incontrare, dei minuti che si possono passare con loro: i figli minori sono ammessi a dieci minuti mensili di colloquio “senza vetro”. Più difficili anche le cure mediche.
Che tutto ciò sia in linea con la nostra Costituzione non è assolutamente dimostrabile; ma se diciamo di occuparci della sicurezza dei cittadini, dovremmo leggere con attenzione, a pagina 34 dello stesso libro, il capitolo “Conseguenze psicologiche e psichiatriche dei regimi detentivi di massima sicurezza”. L’autore, Stefano Ferracuti, professore presso il Dipartimento di Neuroscienze, Salute Mentale e Organi di Senso nell’Università La Sapienza, di Roma, partendo dalla considerazione che il cervello è un organo plastico ed evidenziando la stretta interconnessione tra funzionamento della mente e condizioni sociali ed ambientali, approda alla conclusione che i regimi di massima sicurezza non solo non rieducano e non riabilitano, ma aumentano la pericolosità di chi li subisce.
Se teniamo presente che i detenuti in 41 bis non sono tutti ergastolani, alcuni escono dopo qualche mese o qualche anno, dobbiamo chiedere ai nostri politici di impegnarsi perché qualunque regime detentivo di massima sicurezza venga abolito. Ne va della sicurezza dei cittadini.
Laura Fersini
Volontaria con l’Associazione VIC (Volontari In Carcere) – Caritas da vent’anni a Roma nel carcere di Rebibbia (Femminile e Nuovo Complesso); anni fa è stata anche volontaria nel carcere minorile di Casal del Marmo. Ha aderito alla campagna Un mondo nuovo comincia da qui
28/5/2018 https://comune-info.net/
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