Le scelte demagogiche sulla sanità in Sardegna
Un giornale locale ha recentemente pubblicato un articolo di Dott. Franco Meloni dal titolo La Sardegna che invecchia, sulle attività sanitarie nell’isola.
L’autore rammenta l’attenzione che in passato era posta sugli ospedali, che venivano considerati il fulcro dell’attività sanitaria. Nell’articolo scrive: “adesso scopriamo, un po’ in ritardo, che la nostra società è terribilmente indietro sul versante opposto, quello territoriale, che rappresenta oggi il futuro dei servizi assistenziali”. L’andamento demografico, la diminuzione delle nascite, l’allungamento della vita media, l’aumento delle patologie croniche e delle pluripatologie pone un problema sociosanitario rilevante che impone il rovesciamento del paradigma assistenziale: i servizi territoriali devono essere portati in primo piano.
Dott. Franco Meloni è persona competente, è stato un importante dirigente della sanità pubblica in Sardegna e successivamente della sanità privata. Ha pertanto competenze e responsabilità sulla situazione esistente. Alcune considerazioni sono necessarie.
Nel 1978 si svolse ad Alma Ata la Conferenza internazionale sull’assistenza sanitaria primaria (vi aderirono 134 paesi e 67 organizzazioni internazionali) che chiedeva a tutti gli stati aderenti un’azione per sviluppare l’assistenza sanitaria primaria in ogni parte del mondo.
In Italia lo stesso anno fu approvata la Legge di riforma sanitaria n. 833/1978, che istituì il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), i cui due pilastri fondamentali sono: l’ospedale e l’assistenza primaria, che dovrebbe garantire a tutti i cittadini il primo accesso alle cure.
Tale riforma introdusse la gratuità e l’universalità delle cure. L’organizzazione mondiale della sanità giudicò tale riforma tra le migliori al mondo.
Le dichiarazioni di Alma Ata furono confermate quarant’anni dopo (nel 2018) ad Astana durante la Conferenza globale sull’assistenza primaria, dove si prese atto che quasi la metà della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi sanitari essenziali. Oggi dobbiamo prendere atto che in Sardegna circa un sardo su quattro non ha accesso alle cure, non sono garantiti i Livelli essenziali di assistenza (LEA). Sempre più spesso i cittadini sono costretti a pagare le prestazioni sanitarie a causa delle liste di attesa e dello smantellamento del SSN.
L’organizzazione delle Cure primarie si basa sui Distretti, la cui funzionalità è stata ampiamente trascurata. In Sardegna nel 2008 furono finanziate le prime Case della
salute con delibera della Giunta regionale. La Legge regionale n. 23, del 17/11/2014 modificò tre leggi precedenti e adottò norme urgenti per la Riforma del sistema sanitario regionale, introducendo le Case della salute e gli Ospedali di comunità.
Il 02/12/2015, dopo confronto con un tavolo tecnico di operatori sanitari appositamente istituito, fu approvata una DGR sul sistema regionale delle cure territoriali con le Linee di indirizzo per la riqualificazione delle Cure primarie. Si voleva sperimentare un modello sardo di Cure primarie.
Entrambi i provvedimenti legislativi si ponevano l’obiettivo di garantire l’integrazione socio sanitaria, sviluppare l’assistenza territoriale e di prossimità, gestire le malattie croniche secondo il Chronic Care Model (CCM), un modello assistenziale che non porta più il malato/cittadino verso l’ospedale ma i servizi verso il territorio, l’impiego delle nuove strutture come le case della salute, maggior erogazione di prestazioni da parte dei distretti sanitari, l’introduzione delle figure come l’infermiere di famiglia, l’implementazione delle forme di associazionismo medico di tipo strutturale come le Unità di cure primarie (UCP) e le Associazioni funzionali territoriali (AFT) e medicina in rete. Era previsto inoltre il lavoro multidisciplinare e pluriprofessionale per la gestione delle malattie croniche. Le scelte in favore del territorio sono state confermate e ribadite nella legge n. 24 del 11/09/2020 dell’attuale Giunta.
Purtroppo, questi provvedimenti non trovarono adeguata applicazione, nonostante i finanziamenti e l’istituzione di nuove Case della salute, con fondi POR e altri, da parte delle varie amministrazioni regionali succedutesi.
Altra criticità è legata alla riorganizzazione della rete ospedaliera, in applicazione del DM 70, con riduzione di posti letto e di servizi, accorpamenti, senza aver prima attuato la riqualificazione delle cure primarie, in base a quanto previsto dalla normativa regionale.
Il PNRR, per poter concedere i finanziamenti, impone la riorganizzazione della medicina territoriale. Per ottenere tali finanziamenti è indispensabile: prevedere l’istituzione di strutture sociosanitarie col compito di programmare l’attività sociosanitaria territoriale di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, con programmi di gestione – a livello di Distretto sociosanitario – delle malattie croniche con maggior rilevanza sociale ed epidemiologica, con adozione di forme di medicina d’iniziativa e proattiva; favorire e gestire l’integrazione socio sanitaria nell’ambito delle Case della salute (declinate a Case di comunità nel PNRR) e degli Ospedali di Comunità. La mancanza di personale sanitario rappresenta la principale emergenza, il PNRR non prevede interventi. Inoltre, in questi giorni apprendiamo di una significativa riduzione dei finanziamenti stanziati per la sanità (Missione 6). Si tratta di un ulteriore definanziamento complessivo della sanità.
Il ricorso eccessivo all’ospedale, a causa delle mancate risposte nel territorio, è sbagliato, crea ulteriori problemi ai cittadini, al servizio di emergenza e urgenza e ai Pronto soccorso, non è efficiente né efficace. In una situazione di malfunzionamento della sanità pubblica, di emergenza sanitaria, i cittadini abbandonano le cure e si rivolgono sempre più spesso alla sanità privata, che cresce grazie all’impossibilità del SSN di dare risposte sia nel territorio che in ospedale.
La classe dirigente degli ultimi decenni ha la responsabilità di non aver garantito il funzionamento del servizio pubblico per favorire e incentivare il ricorso ai privati. Le lobby della sanità privata condizionano le scelte della classe dirigente per impedire il funzionamento del settore pubblico. Questa tendenza ha subito un’accelerazione in questa legislatura, dopo il finanziamento pubblico al Mater Olbia che di fatto crea concorrenza al Servizio Sanitario Regionale. La sanità privata deve tornare ad avere una funzione integrativa e non sostitutiva del SSR.
In una situazione di grande emergenza sanitaria la Giunta regionale vorrebbe costruire quattro nuovi ospedali riproponendo una logica ospedalocentrica che aveva annunciato di voler superare con la riorganizzazione dell’assistenza territoriale. Il buon senso ci dice che è preferibile investire sulle strutture ospedaliere esistenti e rafforzare la medicina territoriale.
Sarebbe utile un intervento del Dott. Meloni per dissuadere la Giunta da questa scelta demagogica e anacronistica. Abbiamo bisogno di scelte inserite in un programma sanitario democratico, partecipato e condiviso. La politica sanitaria deve cambiare paradigma, e mettere al centro il cittadino e le esigenze sanitarie della collettività, non interessi lobbystici.
Francesca Carta
1/8/2023 https://www.manifestosardo.org/
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