Le scuole dell’esclusione
E’ positivo che ci siano tante reazioni indignate sui social, sulla “pubblicità” dei licei “prestigiosi”, che si vantano di avere pochi immigrati e disabili e di essere frequentati dalla buona borghesia.
Il silenzio assordante del ministero e del governo, nonché dei maggiori sindacati, ad eccezione della FLC CGIL, da il senso del punto a cui siamo arrivati, di una classe dirigente connivente con le peggiori pulsioni classiste, lontana in modo irreversibile dalla Costituzione repubblicana e da leggi, che ancora oggi e forse per poco ancora, promuovono l’inclusione e l’uguaglianza.
A distanza di quasi vent’anni, le “riforme Berlinguer” e il recente salto regressivo della “buona scuola” danno il frutto avvelenato di atteggiamenti escludenti, che vedono in prima linea tante/i dirigenti scolastici, privi di quel pudore che fino all’accelerazione della “buona scuola” impediva di metterli in atto.
Fummo l’unica forza politica in parlamento a votare contro le riforme del ministro Luigi Berlinguer, che sdoganavano il finanziamento delle scuole private e con l’autonomia tracciavano il percorso che ha portato ad una progressiva differenziazione, anche economica, tra le istituzioni scolastiche.
I pericoli li avevamo visti tutti e li abbiamo denunciati con forza, ma molti intellettuali e molte/i insegnanti che vedevano nell’autonomia un’opportunità, una maggiore agibilità democratica per la realizzazione di una sorta di autogoverno, colsero quella riforma come un elemento di progresso, senza vederne la direzione.
Certo la scuola superiore non ha mai superato la sua impostazione classista, nella divaricazione tra licei, tecnici e professionali, per questo ci siamo sempre battuti almeno per un biennio unico, che avrebbe tracciato una direzione diversa, con l’elevamento dell’obbligo scolastico di ulteriori due anni di scuola uguale per tutte e tutti.
Una divaricazione mai superata quindi, ma che dal punto di vista dei finanziamenti non discriminava e permetteva a tecnici e professionali di avere almeno buoni laboratori, per cui i bilanci di queste scuole erano molto più importanti di quelli dei licei.
Poi arrivarono i tagli e l’autonomia, che come se le scuole fossero aziende le spingeva a trovare risorse “all’esterno”; ovviamente solo alcuni istituti del nord trovarono imprese disposte a fornire contributi in cambio di manodopera formata su misura o collaborazioni di altro genere. Molti laboratori sono scomparsi e con loro insegnanti tecnico pratici che li gestivano.
Taglio dopo taglio, dalle scuole di base in su, è diventato sempre più necessario il contributo “volontario” delle famiglie, alle quali in molti casi si è lasciato credere che fosse una tassa obbligatoria.
Facile immaginare quali scuole e dove si usufruisce al meglio di questi contributi. Alunni e studenti da utenti a clienti e in alcuni casi clienti più esigenti, specialmente nei prestigiosi licei che disdegnano immigrati e disabili.
La propaganda dei licei più “prestigiosi” d’Italia rompe anche quell’egualitarismo formale, di cui fino a tempi non lontani si pregiava la scuola statale. E’ caduto un velo che copriva le disuguaglianze sostanziali, ma anche qualche altro diritto, come quello all’integrazione. La brutalità della negazione di diritti che erano acquisiti, non solo nel campo dell’istruzione, conta sulla naturalizzazione delle differenze sociali, la gerarchizzazione serve a far rimanere ciascuno al suo posto.
il capitalismo ha la grande capacità di dominare così la realtà presente, ma non gli sarà possibile, in fondo non lo è stato neanche durante il fascismo, rompere del tutto la spontanea solidarietà che le relazioni presenti nella scuola comunque costruiscono. Da lì bisognerà ripartire e dalla ricostruzione di un punto di vista di superamento delle differenze sociali.
Loredana Fraleone
Resp. Scuola Università Ricerca del PRC/SE
12/2/2018 www.rifondazione.it
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