L’Eni: a chi il gas di Gaza? A noi!
Pare incombente un nuovo massacro a Rafah – incurante di tutto il boia Netanyahu sostiene che “è già fissato il giorno”, e con lui la sua banda e il suo finto oppositore Ganz. Pare che lo stato sionista stia acquistando decina di migliaia di tende per “sfollare” dalla città la massa di palestinesi che vi si è rifugiata. Pare sia imminente anche l’invasione del Sud del Libano, e pronta una risposta “devastante” ad eventuali azioni di rappresaglia dell’Iran per la distruzione dell’ambasciata di Damasco. Mentre lo stato di Israele, e larghissima parte della sua società, è in preda ad un autentico delirio bellicista [ sul quale ci sono utili considerazioni in questo articolo https://pagineesteri.it/2024/04/09/medioriente/gaza-perche-gli-israeliani-non-vogliono-il-cessate-il-fuoco/ ], non si cessa un solo istante di mandare avanti gli affari che questo genocidio può agevolare.
Ed ecco il governo Netanyahu confermare la concessione di 12 licenze di esplorazione del gas a 6 compagnie locali e internazionali (tra cui l’Eni, l’inglese Dana Petroleum, la South Korean National Petroleum Company, etc.) in aree all’interno delle zone marittime palestinesi, esibendosi nell’ennesima spudorata violazione del “diritto internazionale” secondo cui le risorse del mare, fino a 20 miglia nautiche dalla costa, rientrano nella giurisdizione marittima dell’Autorità palestinese.
Già il 29 ottobre, in piena operazione-genocidio, il ministro dell’Energia israeliano aveva annunciato la firma di una convenzione con cui all’Eni e alle altre 5 società internazionali e israeliane era concessa la licenza per sfruttare il giacimento di gas offshore di fronte a Gaza che si trova all’interno della zona marittima G, al 62% palestinese. Un’ulteriore atto da colonialismo di insediamento, in questo caso: insediamento sul mare.
La notizia era emersa perché il 6 febbraio, su mandato di alcuni gruppi palestinesi per i diritti umani (Adalah, Al Mezan, Al-Haq e Pchr) lo studio legale Foley Hoag di Boston ha diffidato l’Eni e le altre società coinvolte dall’iniziare attività in queste acque. In caso contrario, si sarebbero rese corresponsabili di complicità in crimini di guerra. Ma nonostante qualche rischio sul piano legale, nulla si è fermato.
[ https://www.lifegate.it/eni-gas-gaza ]
Eni è, notoriamente, sotto il controllo dello stato italiano (che resta di gran lunga il primo azionista), quindi del governo italiano, che ha appena fatto sfoggio, con la Meloni e il cosiddetto “piano Mattei”, di una grottesca retorica “anti-coloniale”, atteggiandosi a nemico del «capitalismo predatorio» (in sedicesimo, s’intende, ci fa venire in mente il Mussolini che si travestì da anti-imperialista “spada dell’islam”).
Qualche parlamentare di AVS si è sorpreso della mancanza di “prudenza” (??) dell’Eni… che non si sarebbe fermato. E perché avrebbe dovuto farlo? Tajani, come da ipocrita copione diplomatico, ha replicato loro: “state buoni, l’accordo non è ancora operativo”. Più buoni e inoffensivi di così?
L’Eni, invece, tace. E, ovviamente, va avanti (è operativa). Si pone, allo stesso modo dello stato sionista, al di sopra delle stesse “leggi internazionali”. La sola legge che riconosce è la legge del colonialismo, della rapina coloniale, un’articolazione specifica della legge del profitto, quella che fa dichiarare al governo israeliano: «solo gli Stati sovrani hanno il diritto alle zone marittime, compresi i mari territoriali e le zone economiche esclusive, nonché di dichiarare i confini marittimi». Non essendo quello palestinese uno Stato riconosciuto da Israele, non ha alcun diritto legale sul mare antistante a Gaza (per cui lo stesso accordo concluso tra la British Gas e l’Autorità palestinese nel 1999 ha, per lo stato occupante le terre e il mare della Palestina, valore zero).
A chi, dunque, il gas di Gaza? A noi, risponde l’Eni.
9/4/2024 https://pungolorosso.com/
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