L’estate al tempo di Minniti & Orlando
Non è una novità che ad agosto ci sia qualche “solerte esecutore di ordini” che approfitta del fatto che anche le militanti e i militanti più duri e puri si prendono qualche giorno di pausa. Ma questa estate del 2017, la prima al tempo delle leggi Minniti-Orlando, comincia ad essere preludio di un modo di concepire la sicurezza e gli spazi democratici che dire discutibile è poco. E si spera che dopo un’estate così, all’insegna degli sgomberi o delle retate, ci aspetti un autunno che si scaldi un po’, almeno nei nostri ambiti troppo spesso frammentati. Perché il rischio è che questo modo di agire alla fine risulti quasi normalizzato più che normale, e che a protestare si rimanga sempre gli stessi (pochi) e sempre meno ascoltati. E allora vale la pena ragionare sul perché questo aspetto, vada inquadrato con uno sguardo che vada oltre l’effetto visibile” che sia lo spazio occupato o un gruppo di rifugiati fuori da una stazione. È, appunto, la norma, che va intesa non solo come legge, che si vuol far passare. È una forma di legalità che non ha nulla a che vedere con la sicurezza, se per sicurezza si intende il vivere in una città, in un paese, in cui tutti e tutte si sentano tranquilli e non una “sicurezza securitaria” una gabbia per pochi privilegiati, rinchiusi dentro muri (reali o ideologici).
A Roma già a maggio ara stato sgomberato il Rialto. Uno spazio in cui trovavano casa una serie di associazioni, come il Forum Mondiale dell’Acqua. Lo stesso che aveva promosso quel meraviglioso referendum che aveva fatto dire a 27 milioni di elettori che l’acqua era un bene pubblico. Realtà associative che sono vitali per un paese democratico, e avere uno spazio in cui agire è vitale per le associazioni. Nel frattempo il combinato disposto fra i voleri del Viminale e una giunta M5S capace solo di bruciare assessori e di far precipitare la già disagiata situazione romana ha portato a rendere ancora più feroce e veloce la volontà di cacciare con la forza coloro che cercavano accoglienza in transito, dal “Baobab” a Via Vannina. E poi già a raffica, contro “l’illegalità delle case occupate” in una città con tante case senza gente e tanta gente senza casa. Tempo fa al quartiere della Montagnola, ieri a Cinecittà, con i bambini asserragliati sul tetto e sotto gli agenti in tenuta antisommossa. Sgomberi a ripetizione per poche centinaia di persone a cui era precluso un tetto.
A Bologna sono stati sgomberati due spazi sociali, il Laboratorio Crash e il Lábas, che era sostenuto e vissuto da tanti cittadini e cittadine, e che aveva supplito a carenze e mancanze proprio di quelle istituzioni che hanno dato il via allo sgombero, e poco importa l’eterna finta diatriba con rimpallo di responsabilità tra Questura e Comune nel nome dell’ordine pubblico e della (appunto) sicurezza. E due sono le immagini che rimarranno impresse di quello sgombero: la ragazza portata via “accompagnata” da un manganello accanto al volto, e la signora non proprio “antagonista” che pacatamente cerca di spiegare a un poliziotto quanto il Lábas fosse un bene pubblico, alla faccia dell’ordine pubblico.
Un’Ansa del 4 agosto riporta che sono arrivate 47 richieste di Daspo al Questore di Milano, un po’ da tutta la provincia, e in particolare dalla neo giunta di destra di Sesto San Giovanni (34 su 47). Alla luce di tale quantità, il Questore rimarca la necessità di avere un’applicazione rigorosa del meccanismo, per non incappare in un’interpretazione impropria. Insomma anche lui si preoccupa e pur ritenendo il Daspo un utile strumento per le amministrazioni, applicabile anche per questioni legate alla “movida” e accuse di spaccio, specifica che non è che gli amministratori possano proporre l’allontanamento prima, per richiedere il Daspo poi, per chi siede sulle panchine, o per chi è poveraccio e chiede l’elemosina senza dare fastidio a nessuno o in base al colore della pelle. Dice il Questore che si preoccupa… Poi però a Legnano è stato emesso sempre dal Questore di Milano un Daspo urbano per un giovane nigeriano di 29 anni, con una serie di segnalazioni a suo carico da parte della cittadinanza perché chiedeva l’elemosina in modo “intimidatorio e insistente” in un parcheggio. Non potrà stazionare in quel parcheggio per quattro mesi. Una grande soluzione per una persona in difficoltà. Evidentemente il giovane nigeriano a qualcuno dava sufficientemente fastidio.
E sempre a Milano, nel nome della sicurezza, alla stazione Centrale ci sono state tre retate nel giro di tre mesi, che hanno prodotto ben poche espulsioni perché la maggior parte dei fermati erano richiedenti asilo. In compenso l’eco mediatico ha dato di gran lunga i suoi frutti, incluse le belle riprese in diretta di Matteo Salvini, che evidentemente era più informato del blitz del sindaco di Milano che ha poi fatto la voce grossa sulla mancata informazione. Dopo la prima retata fatta a maggio, con elicotteri, cani, blindati e chi più ne ha più ne metta. Dopo la seconda e la terza, fatte a fine luglio a distanza di una settimana l’una dall’altra, non c’è stato nessun commento del primo cittadino, ma in compenso plauso della sua assessora alla sicurezza, manco a dirlo.
L’ultimo a Milano, in ordine di tempo, è lo sgombero del centro sociale Soy Mendel, sempre a Milano, nel quartiere Baggio, dopo quello di LuMe spazio auto organizzato dagli studenti universitari della Statale: un’altra prova di forza contro chi cerca di a costruire un modello di città diversa da quella delle logiche speculative della “città vetrina”.
Si badi bene, tutte queste azioni sono state fatte nel pieno possesso dei requisiti legali per farle. E la legge Minniti Orlando sulla “sicurezza e il decoro urbano”, serve anche a questo. Non che prima non si sgomberasse, sia chiaro, ma quello che pare evidente è che con l’approvazione della legge si legittima una percezione della società basata su un modo di vedere (e di agire) nel nome della sicurezza attraverso la legalità. La stessa definizione di “decoro urbano” apre scenari preoccupanti nella narrazione del tipo di società “pulita” a cui si aspira. Il termine tornato in voga è quello di “sicurezza percepita”, quello per cui ci sono soldati inutilmente armati di tutto punto nei luoghi del turismo, per cui le forze dell’ordine hanno assunto come compito primario quello di nascondere sotto il tappeto la polvere di chi non riesce a vivere dignitosamente in una casa, di chi si occupa degli altri più che di se stesso, mentre le organizzazioni criminali vere e proprie hanno ripreso ad uccidere con ferocia (come a Foggia). Evidentemente quella sicurezza, che è sociale ed economica prima che repressiva, non paga dal punto di vista elettorale. Del resto, per diventare “normalità acquisita”, le notizie delle retate e degli sgomberi, ma anche quelle sulla criminalità organizzata spariscono rapidamente dai media. Più spazio si dedica ad attaccare, infangare, distruggere, chi si rende colpevole del “reato di solidarietà”, chi soccorre migranti come le Ong, rifiutando la polizia a bordo e non accettando di trasformare le loro “ambulanze del mare” in commissariati galleggianti in cui selezionare “sommersi e salvati”, si indaga anche su un sacerdote come Don Mussie Zerai che ha garantito legalmente soccorso a migliaia di connazionali eritrei e non solo, per sottrarli a morte sicura. Soggetti del genere vanno eliminati con clamore ancora maggiore, per avere la certezza che nessuno metta in discussione l’ordine costituito. Ecco perché schierarsi a favore di chi ha occupato gli spazi di cui sopra per renderli patrimonio collettivo, o schierarsi con chi manifesta in maniera pacifica contro un modello neoliberista e ingiusto, o schierarsi con chi sceglie di salvare vite, non si può tradurre in difesa della (presunta) illegalità, ma vuol dire mettere in discussione la visione e definizione della stessa, per arrivare ad avere una visione di collettività e di bene pubblico, di res publica, di cosa pubblica, che sia la base per una società più giusta, e quindi per tutte/i realmente più “sicura”.
E il silenzio o peggio ancora gli applausi su questi fatti sono figli della stessa cattiva cultura che fa costruire le barricate, mentali o reali come a Goro, contro i migranti, o che fa scendere in piazza madri e padri di famiglia per protestare contro l’arrivo di 30 bambini orfani, mentre nessuno obietta se vengono organizzate colonie estive per i “bambini italiani in difficoltà” che farebbero invidia a qualunque balilla, o se si derubrica ad “atto commemorativo” il saluto romano fatto da un centinaio di naziskin appartenenti a Casapound e Lealtà Azione al cimitero Maggiore di Milano, i raduni a Predappio o le manifestazioni non autorizzate davanti al parlamento da sedicenti difensori dell’identità nazionale contro lo ius soli, prosciogliendo così i soliti noti. E quanto accade in quell’area ormai di guerra che sono le coste libiche, ridiventa lo specchio di quanto avviene nelle nostre città. Si denuncia grazie a presunte intercettazioni e infiltrazioni di “barbe finte” le navi di chi salva le persone per indurle a togliersi di torno e si lascia scorrazzare una nave come la C-Star, noleggiata da un gruppo, Generazione Identitaria, che si è assunta il compito di “difendere l’Europa dall’invasione dei migranti. Una organizzazione che ha alle spalle figure inquietanti del nazismo internazionale.
Sono le due facce della stessa medaglia: due facce di destra in cui una si nutre della paura, che alimenta ad arte per legittimare le peggio leggi e loro applicazioni, e l’altra che come effetto collaterale (o voluto?) lascia e crea spazio alle formazioni di destra che su razzismo, sicurezza, ordine, pulizia e decoro hanno costruito la loro identità.
Diamoci una svegliata, e vale per tutti e tutte coloro che guardano ciò che accade, anche da sinistra, e pensano che la cosa non riguardi le loro vite, perché loro non occupano spazi abbandonati, loro non sono “indecorosi”, loro non sono “illegali”, loro sono nati dalla parte giusta del mondo che vogliono sicuro per se stessi e per i loro figli.
Facciamoci delle domande e diamoci la risposta giusta.
A proposito, tra le domande da farsi: com’è che c’è sempre qualche reporter sul posto che prontamente documenta quanto accade per i media mainstream e rende edotta la popolazione tutta sulle nuove imprese nel nome della (sua) sicurezza?
Diamoci una svegliata, prima che tutto questo si trasformi in un incubo peggiore di quello che già è.
Anna Camposampiero
Segreteria Provinciale di Milano Prc S.E.
11/8/2017
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