L’Europa all’impietosa prova dei numeri
In questi giorni complicati, in cui milioni di famiglie stanno facendo i conti con i danni della crisi da Covid, viene spontaneo chiedersi cosa stiano facendo le istituzioni europee per fronteggiare l’emergenza economica scatenata dalla pandemia. Circolano tanti numeri circa la portata dello sforzo messo in campo dall’Unione Europea, cifre che purtroppo finiscono spesso per alimentare una propaganda tanto becera quanto funzionale al contenimento della montante rabbia sociale. Ne abbiamo visto un esempio lampante la sera del 23 aprile: durante la conferenza stampa che ha fatto seguito al Consiglio Europeo, la presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen, interrogata da un giornalista circa i tempi presunti del Recovery Fund – un possibile fondo per la ripresa che dovrebbe essere attivo da gennaio 2021 – e sulla possibilità di anticiparne gli effetti, ha asserito che l’Unione ha già contribuito a rendere disponibili 3390 miliardi di euro per affrontare l’emergenza in corso (soldi che, vale la pena ricordarlo, dovrebbero essere destinati a tutti i Paesi dell’Unione). Insomma, stando alla Von der Leyen di soldi ne sarebbero già stati messi in campo una marea, e tanta fretta di metterne degli altri in fondo non ci sarebbe.
In effetti da qualche giorno sul sito ufficiale della Commissione Europea circola un’infografica ad effetto, che riportiamo di seguito, finalizzata a dimostrare questo presunto “enorme impegno finanziario” messo in campo dall’Unione Europea. Nella comunicazione socioeconomica i numeri sono armi affilate: qualche cifra qua e là è in grado di diffondere idee in modo rapido ed esteso ben più di lunghi e complessi discorsi o testi ai più incomprensibili. Talvolta però queste armi sono vere e proprie frecce avvelenate che occultano la verità per diffondere mera propaganda. Come vedremo, questo è proprio il caso dei numeri citati nel grafico a torta riportato dal sito della Commissione il cui contenuto è stato sbandierato dalla presidentessa.
Il lettore che si imbatta in questo grafico capirebbe che nel mezzo della tempesta l’Unione Europea ha messo in campo una enorme potenza di fuoco per fronteggiare l’emergenza. Ma il problema, prima ancora di ogni disquisizione qualitativa, è proprio che quel numero non esiste. È una vera e propria invenzione propagandistica. Ma cosa rappresentano in realtà questi miliardi di euro?
Iniziamo dalla fetta più consistente della torta, quella bianca, i 2450 miliardi indicati come “misure di liquidità nazionali inclusive di piani approvati sotto le regole europee temporanee e flessibili sugli aiuti di Stato”. Di che si tratta? Per prima cosa, stiamo parlando di un intervento dei governi nazionali e non delle istituzioni europee. Inoltre, non si tratta neanche di soldi spesi, ma questi importi rappresentano l’ammontare massimo delle garanzie pubbliche su prestiti bancari destinati alle imprese in difficoltà che ne facciano richiesta: insomma uno stimolo al credito, e non certo uno stanziamento di denaro, meno che mai uno stanziamento o uno sforzo economico a carico dell’Unione Europea. Per dare credibilità a questa fantasia viene aggiunta la specificazione “sotto la temporanea flessibilità concessa dalle regole europee”, come a dire che l’istituzione di queste garanzie è stata resa possibile da un temporaneo allentamento delle ferree regole di finanza pubblica. Insomma, messa in questi termini, se oggi possiamo permetterci il lusso di creare un fondo di garanzia pubblico per il credito alle imprese dovremmo ringraziare l’Unione Europea che ha stemperato il proprio dogmatismo sulla disciplina di bilancio, come se quel dogmatismo di partenza fosse una sorta di stato di natura che non ci siamo scelti.
La seconda fetta più grande della torta è quella gialla, pari a 330 miliardi di euro etichettati come “misure nazionali adottate tramite le regole di flessibilità di bilancio dell’Unione prevista in caso di emergenza”. Qui i soldi sono veri, sono soldi spesi e non garanzie, ma il giochino è lo stesso: non si tratta evidentemente di fondi europei. L’Unione Europea non c’entra nulla, sono soldi spesi degli Stati membri attraverso manovre finanziarie straordinarie varate per fronteggiare l’emergenza. L’aspetto più incredibile, anche qui, sta tutto nelle parole usate: si tratterebbe, stando all’infografica, di misure prese grazie alla flessibilità delle regole di bilancio europee. Si sostiene, senza ritegno, che i soldi spesi dagli Stati membri sino ad ora (molto pochi, peraltro, in Italia) siano il frutto della libertà di spesa concessa dal gendarme magnanimo. Un capolavoro di retorica. Dovremmo dire, semmai, che quei soldi sono stati spesi non certo grazie alle regole europee, ma nonostante quelle regole, nonostante l’Unione Europea e le sue politiche di austerità. Non soldi europei, ma, ancora una volta, denaro speso dagli Stati membri che un qualsiasi Stato operante fuori dai vincoli dei Trattati europei e orientato a difendere il benessere della propria popolazione avrebbe speso in quantità ben maggiori e adeguate al momento.
Veniamo quindi alle misure più propriamente europee. La prima per importanza quantitativa è quella in verde chiaro: i 240 miliardi di prestiti che potranno essere concessi agli Stati membri tramite il MES, il famigerato Meccanismo Europeo di Stabilità. Ma a quali costi? Qualora fossero prese in prestito, queste risorse, pari a circa 38 miliardi per l’Italia, non sarebbero altro che ossigeno oggi in cambio dell’abbraccio stritolante dell’austerità per il futuro prossimo. Un’operazione attraverso la quale il ricatto del debito troverebbe la sua applicazione più subdola. Pare se ne sia accorta anche la stampa padronale… Per farla breve, il prezzo del MES saranno i tremendi costi connessi alla condizionalità cui il prestito è sottoposto, ovvero l’adesione alle regole di finanza pubblica imposte dai trattati, sotto l’occhio vigile della sorveglianza rafforzata delle istituzioni europee. Accedere al prestito del MES oggi significa poter continuare ad usufruire di quel denaro solo se si rispetta pienamente la compatibilità con le politiche di austerità.
Restano le ultime tre voci: la BEI, in blu, per 200 miliardi; il SURE, in arancione, per 100 miliardi; e il supporto diretto dal bilancio dell’Unione, in verde scuro, per 70 miliardi.
La BEI altro non mette in campo che un fondo di garanzia di livello europeo per il credito rivolto alle imprese in difficoltà. Si tratta quindi di soldi europei, ma anche in questo caso, al pari delle garanzie messe in campo dai singoli governi, non si tratta di soldi ad oggi effettivamente spesi, né dall’Unione né dai singoli Paesi membri.
Il SURE, un programma mirato a finanziare le diverse forme di sostegno al reddito per coloro che hanno perso il lavoro, ammonta a 100 miliardi. Queste risorse saranno effettivamente spese, ma occorre tenere a mente che si tratta di un fondo che potrà spendere un massimo di 10 miliardi all’anno tra tutti i 27 Paesi membri. Per farci un’idea della portata esigua del SURE, l’Italia da sola spende in tempi normali circa 30 miliardi ogni anno per la Cassa Integrazione e Garanzia, e ne ha spesi 9 per sole nove settimane di cassa integrazione con il decreto di marzo.
Resta, fanalino di coda, la spesa di 70 miliardi derivante dallo striminzito bilancio comunitario.
Questa breve disamina mostra allora che dei 3390 miliardi di euro sbandierati come “sforzo europeo” per l’emergenza, 2450 miliardi, ovvero il 72% del totale, non esistono, e se mai esistessero non sarebbero comunque di matrice europea. Inoltre, 330 miliardi, un altro 10% del totale, rappresentano risorse spese dagli Stati membri non grazie all’Unione Europea, ma malgrado l’Unione Europea e le sue soffocanti regole di bilancio. Un ulteriore 7% della somma millantata, pari a 240 miliardi, sono soldi europei sotto forma di prestiti condizionati alla prosecuzione ad aeternum dell’austerità. Altri 200 miliardi, pari a circa il 6% della somma evocata, sono soldi europei, ma al momento puramente teorici e non stanziati. Infine, le ultime due voci pari rispettivamente al 3,4% e al 2% del totale, sono effettivamente soldi europei stanziati.
Proviamo a confrontare ora le varie somme finora riportate con un’infografica più realistica. A conti fatti, soltanto il 18% di quella roboante cifra rappresenta lo sforzo messo in campo dall’Unione Europea (MES, BEI, SURE e bilancio europeo), per un importo pari a 610 miliardi, mentre il restante grava sui singoli Stati membri. Ciò che sembra ancora più surreale è prendere coscienza che di questa ostentata potenza di fuoco, soltanto il 2,3% (10 miliardi del SURE e i 70 del bilancio europeo), pari a 80 miliardi, si sostanzia in una spesa effettivamente destinata a generare reddito e occupazione a favore di tutti i Paesi membri dell’Unione. Il grafico di seguito riportato ci dà la misura del rapporto tra la spesa effettivamente realizzata e lo sforzo propagandato.
I numeri sono frecce appuntite e a volte avvelenate: prima di maneggiarli meglio sempre leggerli per bene per evitare di farsi del male. Farsi del male, in questo caso, significherebbe abboccare ad un’ignobile propaganda che vuole perpetuare il sogno di un’Unione Europea solidale e disinteressata. Una propaganda non certo figlia del caso, bensì finalizzata a perpetuare lo status quo, ossia un modello sociale ed economico basato su disoccupazione, precarietà e sfruttamento – quello incarnato dall’Unione Europea – in cui gli interessi di pochi, anche in tempi di Coronavirus, continuano ad essere anteposti a quelli della stragrande maggioranza della popolazione.
CONIARE RIVOLTA
Collettivo di economisti
2/5/2020 https://coniarerivolta.org
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