Levare la maschera alle politiche xenofobe illegali sull’immigrazione
«Prove generali di sostituzione etnica in Italia. Nel 2015 più di 100 mila italiani hanno lasciato la nostra nazione per cercare fortuna all’estero … in compenso sono sbarcati in Italia 153 mila immigrati, nella stragrande maggioranza uomini africani. Questi sono i risultati della fallimentare politica del Governo Renzi-Alfano: porte aperte a tutti gli immigrati del pianeta e povertà crescente degli italiani costretti a cercare fortuna all’estero. Ma perché non espatriano questi incompetenti che ci governano?”.
Le parole roboanti pronunciate dall’allora leader di Fdl Giorgia Meloni risalgono al non così lontano 2016 e non smentiscono certo il chiaro pensiero xenofobo soggiacente alla semplicistica propaganda di allora come dell’anno scorso1, che come dimostrato dai provvedimenti intercorsi dalle elezioni ad oggi, non è chiaramente mutato. Nessuna tragedia lo sradicherà. Neppure il terribile naufragio di Steccato di Cutro del vicino 26 febbraio, o le celebrazioni farsa andate in scena in occasione del Consiglio dei Ministri tenutosi proprio a Cutro.
È mutato il comportamento, ma non l’attitudine profonda. L’omissione di certi termini dai discorsi pronunciati di fronte all’opinione pubblica e dei quali invece si fece pesante abuso prima delle elezioni, si è trasmutata, con un debito lavoro di ripulitura, ma facendosi organo di potere. E parla ancora una volta con la voce della decretazione d’urgenza. Come di consueto, si trova il modo di utilizzare una tragedia per dare un ulteriore giro di vite con l’utilizzo di una tecnica ormai inconfondibile, quella della criminalizzazione e della ricerca del capro espiatorio.
Dopo il decreto contro le ong dello scorso febbraio2, il governo ora dichiara di volere rafforzare “gli strumenti di contrasto ai flussi migratori illegali e all’azione delle reti criminali che operano la tratta di esseri umani, nonché a semplificare le procedure per l’accesso, attraverso canali legali, dei «migranti qualificati», oltreché introdurre un nuovo reato rubricato «Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina» – per il quale sono previste pene molto severe: da 10 a 20 anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone; da 15 a 24 anni per morte di una persona; da 20 a 30 anni per la morte di più persone”.
Amanti e nostalgici di una certa retorica ad effetto, dichiarano guerra ai cd. “scafisti” che il Governo pare si proponga di andarli a cercare “lungo tutto il globo terraqueo”. Ma anche altre parole, in una palese contraddizione in termini, avendo esplicitato appunto che la semplificazione di accesso si rivolge a “migranti qualificati”, escludendo chiaramente i profughi richiedenti asilo (i “migranti forzati”), ossia tutti coloro che nonostante siano in fuga da conflitti, dittature e catastrofi naturali, non riescono ad accedere alle vie legali per emigrare, ci rimandano ancora una volta ad un vocabolario ambiguo. L’uso della formula “Tratta degli schiavi del Terzo Millennio”. Perché debbano essere schiavi a priori lo si dovrebbe domandare al presidente Meloni e al consesso che ha architettato la struttura narrativa della conferenza stampa del Consiglio dei Ministri n. 24.
Ben osservando però, essi hanno appunto già largamente risposto.
La narrazione del governo volta ad una così grossolana stilizzazione delle persone che tentano di migrare da paesi extra-europei dove è negata una vita rispettosa dei fondamentali diritti umani viene smentita dalla realtà. La cronaca ci ha restituito proprio in questi giorni molte storie delle vittime del naufragio, che in moltissimi casi tentavano di raggiungere familiari in Europa. La realtà prima o dopo smentisce le categorizzazioni generiche, i discorsi suasivi e manipolatori.
Ma chi sono davvero gli scafisti? Il capro espiatorio delle tragedie? Con quanta facilità il governo punta il dito e cerca di aizzare il proprio elettorato realizzando una caccia alla streghe che non toccherà invece i veri trafficanti? I criminali di sistemi che giungono invece fino ad intrecciarsi con gli Stati? Falsificazione del linguaggio e strumentalizzazione della legge penale non possono realmente contrastare il vero fenomeno del traffico degli esseri umani.
Così come dimostrato dal report Dal mare al Carcere, che fa luce sul fenomeno della criminalizzazione di coloro che si trovano a condurre le imbarcazioni con le quali le persone in cerca di salvezza tentano la traversata – meglio descritto come fenomeno dei cosiddetti ‘scafisti di necessità e forzati’- sappiamo che i veri criminali non sono coloro che perlopiù vivono il doppio dramma della fuga via mare e della reclusione e che in alcuni casi è a vita – su mille casi analizzati sono stati registrati sette ergastoli – oltreché il trauma di una stigmatizzazione con pesantissime ripercussioni sul rispetto dei fondamentali diritti umani in tutto il corso della procedura, dal fermo, all’incarcerazione, sino alle ripercussioni sociali e legali dopo aver scontato la pena.
Svolto all’interno di un ampio progetto di studio iniziato nel 2021 da ARCI “Porco Rosso” di Palermo, con il sostegno della rete Watch the Med – Alarm Phone’, collaborando con le onlus ‘Borderline Sicilia’ e ‘borderline-europe’, che hanno analizzato migliaia di casi riportati dai media italiani negli ultimi 10 anni, della cronaca locale in particolare, lo studio documenta le storie di queste persone, spesso loro stesse in fuga e sotto il giogo dei veri trafficanti, arrestate e condannate per favoreggiamento all’immigrazione irregolare via mare. Nel quadro normativo in vigore vengono infatti messe sullo stesso piano, la figura di colui che guida, o tiene la sola rotta, anche se non vi è finalità di lucro, e quella del trafficante dell’organizzazione criminale.
Attraverso una comparazione di dati provenienti dai report annuali della Polizia di Stato, disponibili dal 2013 al 2020, dell’Osservatorio europeo sul traffico dei migranti dell’agenzia Frontex, sino al 2018 in quanto il programma per il 2020 non fu mai approvato, e da quelli che i ricercatori hanno raccolto attraverso tutti i casi riportati dalla stampa a partire dal 2016, il rapporto esplicita l’inadeguatezza dei provvedimenti sanzionatori nei confronti dei conducenti dei barconi, che hanno al contrario aumentato la pericolosità della traversata, e riporta il discorso sulle reali cause delle tragedie, ascrivibili come dimostrato dagli esiti delle stesse, alle violente e ciniche politiche europee di chiusura e respingimento alle frontiere. Senza dimenticare che le organizzazioni dei trafficanti di esseri umani, appartenenti ad una criminalità organizzata che agisce su scala internazionale, sfruttano la contingenza e la dimensione di illegalità così generata all’interno del fenomeno migratorio.
“…La persecuzione sotto il profilo penale dei cosiddetti scafisti in Italia andrebbe letta nel contesto sempre più ampio della criminalizzazione della migrazione verso l’Europa…”.
Una persecuzione che si scaglia contro chiunque abbia un comportamento che aiuti a varcare il confine nazionale e agisca in solidarietà con le persone che si muovono attraversando le frontiere, con processi mediatici e procedimenti aperti contro gli equipaggi civili, condanne e decreti costruiti ad hoc, una stigmatizzazione condotta attraverso un linguaggio divenuto ormai istituzionale. ‘Taxi del mare’ per le navi che operano i soccorsi in mare da un lato, e ‘scafisti’ colpevoli di “un’invasione di extracomunitari dall’altro”, quella che la destra considera quale “sostituzione etnica”, come ben ci ricordano le parole di Giorgia Meloni, che non nascondono l’allusione a teorie complottiste come quelle del piano Kalergi3, o ancora la più recente teoria della grande sostituzione4.
Che cosa davvero si vuole contrastare perseguendo ogni forma di ingresso che non sia come annunciato quella rispondente alle sole necessità del settore produttivo che il governo vuole introdurre con il ripristino del decreto flussi? Non si inserisce anch’esso nel disegno più vasto, non solo europeo, dei confini militarizzati, degli investimenti ingenti volti a contenere la popolazione proveniente dal Sud del Mondo, definizione geopolitica anch’essa forse da riformulare?
Lo studio ci rende attenti su alcuni punti essenziali relativi al fenomeno della criminalizzazione. Dieci anni di inasprimento delle pene per il reato di ‘favoreggiamento dell’ingresso clandestino’, art. 12 del TUI, hanno condotto in realtà ad un innalzamento dei processi penali in Italia, oltre 2.500, dal 2013 perlopiù nei confronti delle persone accusate di aver guidato le imbarcazioni con a bordo migranti, dopo essere state fermate in relazione all’accusa. Le pene più gravi comminate ad oggi raggiungono già i trent’anni di carcere in alcuni casi e questo certo non è valso ad arrestare gli ingressi, senza contare che il fenomeno investe anche dei minori e che l’obiettivo politico della ricerca del colpevole conduce a metodi di identificazione approssimativi e a ricostruzioni fuorvianti, negazione all’accesso di una difesa piena e garantita, violazioni del principio di non colpevolezza, esclusione dal riconoscimento della protezione internazionale a causa dei ‘pacchetti sicurezza’, di Maroni prima e Salvini poi, per chiunque abbia ricevuto una condanna come ‘scafista’.
Se è il blocco del flusso migratorio ad ogni costo ciò che le politiche europee vogliono perseguire, la criminalizzazione e l’inasprimento delle pene, è in verità uno strumento di violenza per ottenere il risultato sperato. Esso infatti, unito alla militarizzazione delle frontiere, non ha fatto altro che rendere sempre più pericolosi i viaggi via mare e via terra, oltreché alimentare una forma di razzismo che per parafrasare, si può ben definire del terzo millennio.
Da anni ormai l’Unione Europea, si è trasformata in «fortezza Europa»5, ha adottato la politica illegale dei respingimenti di migranti, richiedenti asilo e profughi alle frontiere che anche criminalizza le organizzazioni non governative umanitarie che li salvano in mare da morte certa (le loro navi sono state definite dei «taxi del mare»). Il non respingimento è il principio fondamentale alla base del diritto internazionale sui rifugiati: una persona che necessita di protezione non può essere rimpatriata con la forza in un luogo in cui subirà un danno. La politica europea contro le persone non bianche che cercano un rifugio e una vita migliore in Europa, viene attuata sia dai singoli governi (in particolare da quelli dei paesi mediterranei: Spagna, Italia, Grecia, Cipro, Malta), sia dall’agenzia per la protezione delle frontiere dell’UE Frontex, sia dai governi più o meno «amici» della sponda sud del Mediterraneo (Turchia, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco) e del Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania, Sudan, Chad) con i quali sono stati fatti accordi con l’obiettivo di favorire i respingimenti e trattenere in carceri o campi di concentramento i migranti subsahariani, medio-orientali e asiatici in cambio di denaro e concessioni politico-commerciali. Reagendo alla politica migratoria dell’UE, Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha affermato di non essere sorpreso e ha definito razzismo la politica dell’UE di respingere altri rifugiati attraverso «legislazioni restrittive, filo spinato, blocchi navali», accogliendo con favore gli ucraini. L’approccio dell’Europa alla migrazione dal Sud del mondo riproduce gerarchie globali che negano alle persone di colore – quasi tutti i migranti africani sono classificati come «irregolari» (dato che non esistono canali legali di migrazione dall’Africa) – pari accesso alle opportunità di partecipazione politica ed economica e in effetti alla vita stessa. Le politiche migratorie europee non sono solo «modellate dal razzismo», sono razzismo.
Da Lesbo e altre isole greche del Mare Egeo e dalle sponde turca e greca del fiume Evros alle coste libiche, dalle enclaves spagnole di Ceuta e Melilla in terra africana all’isola di Lampedusa e alle coste siciliane e calabresi, dalle spiagge dell’Andalusia alle isole atlantiche delle Canarie, sono questi alcuni dei principali punti caldi della mortifera frontiera tra Unione Europea e il sud del mondo. Nel solo 2021 almeno 3 mila persone hanno perso la vita tra Mediterraneo e rotta atlantica per le Canarie, per raggiungere l’Europa, il doppio del 2020. Si stima che oltre 40 mila persone del sud del mondo hanno perso la vita tentando di entrare nell’Unione Europea attraversando il Mar Mediterraneo dal 1993 e la maggior parte è morta sulla rotta del Mediterraneo centrale. Questi numeri non includono i morti lungo le rotte terrestri, come attraverso il deserto del Sahara, né quelli morti nei centri di detenzione gestiti da contrabbandieri libici i cui sopravvissuti hanno denunciato violenze sessuali, matrimoni e lavoro forzati. Di fatto, le politiche migratorie xenofobe, razziste, disumane, violente ed illegali propugnate da politici reazionari e suprematisti bianchi sono già quelle adottate dall’Unione Europea e dai paesi con essa alleati.
Elena Coniglio, Alessandro Scassellati
15/3/2023 https://transform-italia.it/
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