L’hotspot di Porto Empedocle e le politiche del colore. Turismo e detenzione in Sicilia

“I lavori sono quasi terminati: il nuovo hotspot di Porto Empedocle ha preso colore. Non è più – né mai lo sarà – un luogo tetro”. Questo è quanto scrivono i quotidiani locali per annunciare un nuovo passo della guerra che si sta dando in Sicilia, quella che in quest’isola vorrebbe imporre il business della detenzione e della frontiera e l’industria del turismo come orizzonte in cui immaginarsi la vita.

L’hotspot di Porto Empedocle, ovvero il “Centro attrezzato per il primo soccorso, identificazione e accoglienza dei migranti che sbarcano presso Porto Empedocle”, è una delle tante strutture di trattenimento e detenzione per le persone razzializzate e impoverite che sono presenti in Sicilia. Un’isola con molte isole dove ci sono cinque hotspot e tre Cpr (oltre alle ventitré carceri per adulti e quattro per minori). L’hotspot è stato ufficialmente aperto a fine febbraio 2024, ma per tutto il 2023 un’area di confinamento era già attiva: in una tensostruttura accanto alla zona di sbarco sono state ammassate sul cemento per giorni persone provenienti da Lampedusa, in attesa di essere smistate tra altri hotspot, centri di “accoglienza” e Cpr. A metà agosto di quell’anno, sono arrivate a essere anche mille e trecento le persone accatastate contemporaneamente: antisommossa contro chi chiedeva cibo e tante fughe. In settembre di nuovo gli stessi numeri: ragazze e donne, rinchiuse da sette giorni e indebolite dal calore e dalla mancanza di acqua, si erano autodifese, arrampicate sulle inferriate tentando di evadere. Forme di insubordinazione e fallimenti nell’imporre ordine e disciplina a cui porre termine.

Nel luglio 2023 la prefettura bandisce un “avviso pubblico urgente”, l’obiettivo è dotarsi di un centro logistico funzionale. Vengono scelti i margini della zona portuale di Porto Empedocle, in contrada Kaos, dove a essere accatastati erano i rifiuti. I lavori vengono compiuti da imprese edili siciliane (T. Metalzinco di Cammarata, SCM di Favara e SI.CO.EDIL. di Agrigento) che hanno guadagnato tre milioni e trecentomila euro. Oltre alle cosiddette “unità abitative”, ovvero container con posti letto per almeno duecentottanta persone, si è ovviamente messo a budget un impianto di videosorveglianza e l’installazione di “barriere di sicurezza”, blocchi in calcestruzzo su cui sovrastano pannelli zincati alti due metri che fanno da recinzione. A gennaio 2024 la gestione del campo è stata data alla Croce Rossa Italiana, da decenni grande esperta nel proteggere i soggetti “vulnerabili” per permetterne la loro detenzione. Dal campo non si potrà uscire fino a quando le procedure di identificazione non saranno espletate; i tempi per farlo, come d’uso, a discrezione della questura. Frontex sempre presente, così come le altre forze armate.

Ora il centro è attivo. E anche colorato. Firmando nel dicembre 2023 un protocollo d’intesa con la prefettura, la Farm Cultural Park con sede a Favara, cittadina dell’agrigentino, si è offerta di portare artisti a dipingere l’hotspot e l’ufficio immigrazione. Prima associazione culturale ora fondazione, la Farm Cultural Park è considerata nel mondo dell’arte e dell’architettura come una realtà di avanguardia nei processi di rigenerazione urbana. Ideato da un notaio e sua moglie avvocata, figlia di un impresario edile, il progetto si è avviato nel 2010 con l’intenzione di trasformare una parte del centro storico di Favara in una residenza per artisti e centro di esposizione di arte contemporanea: un parco turistico culturale come l’hanno definito. Per i due si sarebbe trattato di assumersi la responsabilità di abbandonare la confortevole vita parigina per prendersi cura, in quanto siciliani, della loro terra. Raccontando di voler mettere il centro storico in sicurezza e liberare questo angolo di Sicilia da arretratezza e marginalità, hanno così inizialmente comprato due palazzine, mettendole a profitto scommettendo sul cosmopolitismo della classe creativa. La narrazione fondativa di questo parco giochi per hipster, “a place that makes you happy”, mette così l’accento sull’impresa culturale come mezzo per contrastare lo svuotamento demografico e la povertà, e riflette un’ideologia politica che intende dare “potere al privato in una nuova dimensione pubblica”. Nel 2017 è stato anche tentato di privatizzarlo definitivamente questo pezzo di città, proponendo di mettere a pagamento, anche per le e gli abitanti di Favara stessa, l’accesso ai “loro” cortili e viuzze.

All’interno del Farm Cultural Park sono state aperte strutture ricettive, nulla di nuovo rispetto a quanto sta succedendo nelle città e cittadine del sud del Mediterraneo, ma qui alla parola b&b si è accostata quella di “community”. Perché un’altra preoccupazione “civica” che muove questo duo imprenditoriale è che “la comunità inizi a prendersi cura di sé stessa”, come se questa non sia in grado di farlo senza il governo di due magnati che da un lato chiedono soldi a una banca amica e dall’altro fanno ricorso a “volontari” assicurandosi forza-lavoro, spirito di sacrificio e competenze. Negli anni non si sono fatti mancare nulla del manuale della gentrificazione, neanche la commercializzazione della controcultura, come con la mostra “City Rebels, storie di ribellione urbana”. È la stessa dinamica che si osserva in altre parti dell’isola, in primis Catania, dove Trame di Quartiere, un’associazione che negli anni si è trasformata in cooperativa sociale, anch’essa dichiaratasi esperta di rigenerazione urbana, in un mix micidiale di telecamere di videosorveglianza, approccio umanitario ed eventi orientalisti, sta partecipando alla turistificazione del quartiere di San Berillo, allo sgombero e deportazione di chi attualmente ci abita. È stato per altro il fondatore di Farm Cultural Park che ha contribuito a far vincere a Trame di Quartiere centoventimila euro.

Negli ultimi anni la Farm Cultural Park ha quasi abbandonato Favara e i commenti su Tripadvisor di chi è tornato a visitare dopo anni il luogo, così come la chiusura di varie attività economiche, lo testimoniano. La fondazione ha scelto di espandersi su scala nazionale, con vari progetti tra cui anche PrimeMinister – Scuole di politica per giovani donne, che hanno definito come un intervento di “diplomazia culturale”. In Sicilia gli investimenti sono stati dirottati nella provincia di Caltanissetta. Nel 2022 a Mazzarino, culla dell’architettura barocca, hanno aperto in un antico palazzo di pregio l’Embassy of Farm. Nello stesso anno una delle loro figlie ha aperto un crowdfunding per portare in Italia cinquantaquattro profughi ucraini, messi poi simbolicamente a valore per promuovere la reputazione sociale della loro impresa. Forse per questo motivo si sono appassionati dell’hotspot, traumatica esperienza che, per chiari motivi razziali e geopolitici, lo Stato ha voluto risparmiata agli esuli ucraini.

“Il colore stimola sensazioni positive e fiducia. Contribuisce a lenire le ferite psicologiche provocate da vicende violente e traumatiche. E poi, il colore è un segno tangibile di accoglienza”, questo si racconta sui giornali. Ricorda quanto sta succedendo al Cpr di via Corelli a Milano, dove la nuova direzione ha dichiarato questo aprile di aver introdotto un “corso di mindfulness” per i detenuti. Dentro l’hotspot di Porto Empedocle il primo “intervento artistico” è ora compiuto. Il titolo dell’opera “Salvation”. Il testo di presentazione evoca Alicudi, isola delle Eolie, che avrebbe offerto riparo all’artista siciliano durante una tempesta. Altri sei “padiglioni”, ovvero altri sei gruppi di container, devono essere ancora colorati e Farm Cultural Park pubblicizza sui suoi social un iban e chiede donazioni per le “spese di alloggio e viaggio per gli artisti che verranno da fuori”. Artisti e turisti da un lato, liberi di viaggiare ed esprimersi, e ingrati e insubordinati neri da confinare dall’altro. Nuove riformulazioni della frontiera spinata tra chi ha diritto di approdare e chi verrà deportato. Tra chi consuma e tranquillizza, l’artista e il turista, e chi è pericoloso. Nel mezzo la tolleranza discrezionale per chi “aiuta l’economia”, stranieri docili fin tanto che si lasciano sfruttare e giovani disoccupati col ricatto di dover aggiungere voci sul curriculum.

Una fanzine di qualche anno fa scritta da Firenze illustrava come il turismo come forma mentale sia “riflesso condizionato del terrorismo di chi militarizza gli spazi contro la libertà individuale, di chi recinta, rinchiude, reprime […], e poco importa se lo faccia in nome di una frontiera o di uno stile di vita che non è vita, ma semplicemente denaro”. Quanto sta succedendo intorno all’hotspot di Porto Empedocle ce lo mostra: la Farm Cultural Park che vuole rendere la Sicilia “una delle regione più ricche, cosmopolite e divertenti”; il ministero dell’interno che in un comunicato in cui pubblicizza il protocollo d’intesa scrive che “i colori e l’intensità della loro luce cingeranno in un ideale abbraccio l’hotspot […], l’idea che anima questo importante progetto, a costo zero per le finanze pubbliche, è quello di contribuire a valorizzare l’immenso patrimonio di bellezza che contraddistingue il nostro Paese”. Di fronte alla possibilità che questa estate l’hotspot diventi meta turistica in cui la street art legittima nuovi zoo umani, si tratta di non restare passive di fronte alle rivolte nei campi detentivi per migranti, alle forme di autodifesa portate avanti da chi vive in uno dei quartieri sotto attacco della cosiddetta lotta al degrado. (zanna occhipinti)

22/5/2024 https://www.monitor-italia.it/

Immagine: disegno di sam3

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