Liberare i corpi
A novembre la popolazione mondiale ha superato gli 8 miliardi. L’ultimo rapporto del Fondo delle Nazioni Unite ci invita a capovolgere le domande: invece di chiederci se le donne fanno troppi o troppo pochi figli, per cambiare il mondo dovremmo concentrarci sullo stato della libertà di scelta
Troppo spesso si parla dell’umanità come di un numero e molti governi tendono ad affrontare problemi economici o ambientali, come il sistema pensionistico o la crisi climatica, con politiche demografiche mirate soprattutto al controllo delle nascite. A novembre scorso la popolazione globale ha superato la soglia degli 8 miliardi. I dati dell’ultimo rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) sullo stato della popolazione nel mondo ci dicono che i due terzi delle persone sul pianeta vivono in luoghi in cui il tasso di fecondità è sceso al di sotto del cosiddetto “livello di sostituzione”, 2,1 figli per donna. Questa cifra, spesso propagandata come garanzia di stabilità demografica, è diventata la linea rossa che porta media e governi a usare termini catastrofici come “bomba demografica” – quando viene superata – o “disastro/inverno demografico/crisi delle nascite” – quando non viene raggiunta.
L’analisi del nuovo rapporto Unfpa rivela una crescente ansia difronte alla prospettiva di un aumento esponenziale della popolazione in un mondo di crisi sovrapposte e di popolazioni longeve. I governi sempre più spesso trasmettono l’idea che esista un problema demografico che richiede l’intervento delle autorità pubbliche.
Nel rapporto, Unfpa, che svolge anche il ruolo di agenzia per la salute sessuale e riproduttiva delle Nazioni Unite, dichiara che i corpi delle donne non devono essere tenuti prigionieri delle politiche dei governi o delle “narrazioni allarmistiche” riguardanti la crescita della popolazione, e invece ci ricorda che tutti gli esseri umani hanno il diritto di scegliere quando (o se) avere figli, quanti averne e con chi. Si parla di diritto all’autonomia corporea e significa proprio questo: una scelta libera e informata, non ostacolata da esigenze di vita al servizio di qualsiasi rivendicazione più ampia di tipo demografico, economico, sociale, politico, ambientale o di sicurezza.
Le Nazioni Unite ritengono che l’approccio che trasforma il corpo delle donne in uno strumento per avere figli, porti spesso alla “manipolazione delle cifre” e a letture errate o distorte che conducono il più delle volte a soluzioni inutili. “Noi guardiamo i numeri, ma la popolazione riguarda le persone e i loro diritti”, riassume Natalia Kanen, direttrice esecutiva del fondo.
Troppo frequentemente si istigano politiche che, invece di promuovere la capacità delle donne di esercitare i propri diritti sessuali e riproduttivi, li strumentalizzano e li trasformano in un mezzo per raggiungere un fine. Negli ultimi 20 anni, alcuni paesi hanno lanciato programmi per incoraggiare famiglie più numerose in cambio di incentivi finanziari e premi per le donne e i loro partner; tuttavia, l’indicatore di fecondità non ha poi superato i due figli per donna. D’altra parte, ci sono state gravi violazioni dei diritti umani sotto forma di azioni che cercano di rallentare la crescita della popolazione attraverso sterilizzazioni forzate e contraccezione con mezzi coercitivi. Tra i casi più estremi c’è l’Iran che ha attuato restrizioni sull’aborto e ha vietato al servizio sanitario pubblico di offrire contraccettivi gratuiti per aumentare il tasso di natalità. O alcuni stati dell’India – paese che ha superato la Cina come il più popoloso al mondo – che stanno promuovendo misure per limitare le nascite, come la politica di imporre un massimo di due figli per donna.
Quindi, ci sono troppe poche persone al mondo? O ce ne sono troppe? C’è chi evidenzia l’esistenza di una relazione tra demografia e riscaldamento globale, ma l’Unfpa avverte che spesso questa interpretazione porta a conclusioni perverse: “Il presupposto logico che indica le catastrofi globali come il risultato di troppe persone è che il numero di persone deve essere ridotto, cioè che un numero imprecisato di persone deve sopravvivere e riprodursi, mentre altre non dovrebbero farlo”. Secondo le autrici e gli autori del rapporto, l’argomentazione secondo cui la popolazione mondiale è troppo numerosa per un pianeta con poche risorse limita la responsabilità dei sistemi e delle società nel trovare soluzioni a problemi complessi e mette in secondo piano la necessità di promuovere il consumo e la produzione sostenibili e l’uso di energia verde.
Il problema sono i giovani? Oggi una persona su sei ha un’età compresa tra i 15 e i 24 anni e quasi la metà della popolazione mondiale ha meno di 30 anni. Ma in un mondo limitato dalle risorse, dove la crescita demografica tende a essere vista come un problema e le grandi masse di giovani come il seme di una “bomba demografica”, l’Unfpa invita a considerare l’elevato numero di giovani come un punto di forza. Secondo l’Onu “i persistenti stereotipi negativi sui giovani li inquadrano come un problema da risolvere” mentre “più che un problema, i giovani sono sempre più parte delle soluzioni”, poiché le loro “azioni creative” sfidano lo status quo.
Di fronte a una popolazione mondiale per lo più giovane, paradossalmente, alcuni dei paesi più sviluppati con popolazioni più anziane, optano per politiche di incremento della natalità con il pretesto di poter garantire la sostenibilità dei propri servizi pubblici e sistemi pensionistici. Tuttavia, i nuovi nati non saranno in grado di pagare le pensioni attuali, ma avranno bisogno di istruzione e assistenza sanitaria, sostiene l’Unfpa.
Limitare il tasso di natalità nei paesi con popolazioni molto giovani non rallenterà l’aumento del numero di persone sul pianeta, che si prevede raggiungerà i 10 o addirittura gli 11 miliardi nei prossimi anni. Questa cifra è il risultato di una “certa inerzia”, dovuta alla giovinezza della popolazione attuale, che continuerà a fare figli indipendentemente da un calo del tasso di fecondità, insieme a un’aspettativa di vita più lunga.
Le proiezioni fornite dall’Unfpa indicano che il tasso di crescita della popolazione entro il 2100 sarà negativo in gran parte del mondo – a eccezione di Africa e Oceania – a causa del calo della fecondità e dell’aumento delle migrazioni.
Sempre secondo il rapporto, i paesi che intendono aumentare la fecondità e quelli che non attuano alcuna politica di controllo delle nascite hanno indici di sviluppo simili. Tuttavia, questi ultimi “hanno livelli di libertà umana molto più elevati”.
Il calcolo di 2,1 figli per donna per garantire il ricambio della popolazione si basa su bassi livelli di mortalità infantile e non considera la migrazione, non tiene conto di come l’arrivo degli immigrati di fatto alimenta le popolazioni.
I tassi di fecondità, quindi, non sono l’unico meccanismo che influenza le dimensioni della popolazione. In molte parti del mondo, dagli anni ’70, si registrano tassi di fecondità inferiori allo zero, senza un conseguente calo della popolazione totale, perché molti di questi paesi sono tipicamente soggetti a immigrazione di massa. Secondo i demografi delle Nazioni Unite, questa tendenza è destinata a continuare. “Nei prossimi decenni, la migrazione sarà l’unico motore della crescita demografica nei paesi ad alto reddito, poiché il numero di decessi supererà progressivamente il numero di nascite”. Ma anche questo aspetto è spesso visto con preoccupazione, in genere per timori di natura economica e culturale. In tutti i paesi, a eccezione di Giappone e Nigeria, l’opinione più diffusa sull’immigrazione è che i livelli attuali nel proprio paese siano già troppo alti.
La rinascita di una ideologia anti immigrazione, con una forma ultanazionalista e xenofoba sulla popolazione come quella di Georgia Meloni in Italia, dell’estrema destra francese di Marine Le Pen, di Vox in Spagna, di Viktor Orban in Ungheria e di Vladimir Putin in Russia e adesso anche in diversi paesi del nord Europa e in molte nazioni a maggioranza bianca, sembra, più che manifestare un problema demografico, evidenziare un problema ideologico. L’Onu avverte che “Una visione etnonazionalista della demografia spesso nega la facoltà riproduttiva dell’individuo, adottando un’ideologia di genere che subordina i diritti delle donne, in particolare i loro diritti riproduttivi, agli obiettivi di un gruppo etnico o politico”. Secondo le Nazioni Unite, “l’etnonazionalismo può utilizzare una retorica volta a convincere sia le donne che gli uomini ad aumentare la fecondità” e nota un aumento delle politiche volte a rendere più difficile l’accesso ai contraccettivi o a limitare il diritto all’aborto.
Oltre ai punti di vista legati all’etnonazionalismo ci sono, ovviamente, molte norme socioculturali che cercano di subordinare la capacità riproduttiva delle donne e delle ragazze ai desideri di altri. Molte norme sulla disparità di genere, diffuse in tutto il mondo, ritengono che la funzione sociale primaria della donna sia quella di diventare madre e custode, mentre quella dell’uomo sia di diventare il capofamiglia. Questo modello eteronormativo di famiglia nucleare è visto come “tradizionale” e “naturale”, anche se le definizioni e le manifestazioni della famiglia sono variate ampiamente nel tempo e nella geografia. Sia che la disuguaglianza di genere sia perpetuata attraverso gli sforzi etnonazionalisti o attraverso le spinte contro il cambiamento delle norme di genere, le conseguenze per la salute riproduttiva e la fertilità delle donne sono spesso terribili.
“I corpi delle donne non possono dipendere da obiettivi demografici”, ha affermato la direttrice Unfpa, Kanem. “Se vogliamo costruire società prospere e inclusive, indipendentemente dalle dimensioni della popolazione, abbiamo bisogno di ripensare radicalmente il modo in cui parliamo e pianifichiamo il cambiamento demografico”. Quindi se c’è una crisi climatica la soluzione non può essere quella di convincere le donne a avere meno figli, né se le società invecchiano si può convincerle a farne di più.
Insomma “la riproduzione umana non è né il problema, né la soluzione” afferma Kanem. “Quando mettiamo parità di genere e diritti al centro delle nostre politiche demografiche, siamo più forti e più capaci di affrontare le sfide derivanti dal rapido cambiamento delle popolazioni. Inseguire obiettivi di fecondità e cercare di influenzare il processo decisionale riproduttivo delle donne lo farà solo finire in un fallimento”.
“Le persone non sono unità di procreazione destinate a soddisfare un livello ideale di riproduzione o costrette a riprodursi secondo una quota o una formula” continua Kanem. “Le persone – gli esseri umani – possiedono intrinsecamente una serie di diritti, tra cui, molto importante, i diritti sulle scelte riproduttive che fanno. La domanda da porsi non è quanto velocemente le persone si riproducono, ma se tutti gli individui e le coppie sono in grado di esercitare il loro diritto umano di base di scegliere quanti, o quanti figli vogliono. La risposta a quest’ultima domanda, tragicamente, è no”.
Unfpa propone di cambiare la prospettiva e di capovolgere le domande. Anziché chiedersi se il tasso di fecondità sia troppo alto o basso, è più importante capire se le persone siano in grado di realizzare i propri diritti sessuali e riproduttivi o se hanno accesso completo all’assistenza sanitaria o se è garantito per tutte e tutti lo spazio per poter scegliere, come richiedono gli standard dei diritti umani.
I dati pubblicati nel rapporto dimostrano chiaramente la mancanza di libero arbitrio sperimentata da milioni di donne in tutto il mondo. Secondo il rapporto, circa il 24% di donne e ragazze non ha il diritto di prendere decisioni informate sul proprio corpo in relazione ai rapporti sessuali (il numero cresce a 44% in un gruppo di 68 paesi), mentre l’11% non è in grado di prendere decisioni sull’uso di contraccettivi o di cercare assistenza sanitaria, una proporzione davvero schiacciante. A livello globale, si stima che 257 milioni di donne abbiano un bisogno insoddisfatto di contraccezione sicura e affidabile.
Le prove raccolte in questo rapporto possono essere riassunte in grandi linee come segue: le politiche che limitano i diritti riproduttivi non funzionano e danneggiano le società nel loro complesso; le politiche che sostengono i diritti riproduttivi, invece, liberano il potenziale di tutte le persone per prosperare e adattarsi alle mutevoli realtà del nostro mondo. In effetti, i diritti sono solo teorici se non ci sono politiche forti a sostenerli.
La disuguaglianza di genere, le disuguaglianze razziali, le ingiustizie di classe e altre ingiustizie sistemiche minano la realizzazione del benessere sessuale e riproduttivo, ma non sono sufficientemente affrontate dai sistemi legali o sanitari. Le organizzazioni della società civile, le organizzazioni di base, le organizzazioni femminili e altri forum che valorizzano i punti di vista e le esperienze dei più emarginati sono leader e partner essenziali per far progredire la giustizia riproduttiva e assicurare la responsabilità dei sistemi legali e sanitari che possono altrimenti perpetuare intenzionalmente o meno i danni.
La parola popolazione viene anche usata in modo intercambiabile per descrivere gruppi locali o nazionali, etnici o religiosi, regionali o globali. La popolazione di un paese comprende anche i migranti irregolari e i rifugiati? Se no, queste persone hanno i meccanismi necessari per garantire i loro diritti? Quando i politici parlano in generale di popolazioni che crescono troppo velocemente o troppo lentamente, si riferiscono implicitamente ad alcune persone o ad alcuni gruppi minoritari e non ad altri?
Quando i commentatori si torcono la mano per l’imminente “collasso demografico”, stanno dicendo che le donne stanno fallendo nel loro ruolo di macchine riproduttive, o stanno dicendo che le condizioni sociali e legali non permettono alle donne e alle coppie di realizzare i loro obiettivi riproduttivi?
Quando i leader chiedono di aumentare l’uso dei contraccettivi per ridurre i tassi di fecondità nelle comunità più svantaggiate, stanno dicendo che quelle comunità dovrebbero avere meno figli o che questi individui non sono sufficientemente in grado di esercitare l’agenzia riproduttiva alle loro condizioni?
Per parlare in modo più significativo di popolazione, dobbiamo usare un linguaggio e una specificità che affermino i diritti. Alla fine, l’ansia da popolazione è un modo semplice per evitare la complessità delle sfide che dobbiamo affrontare.
Marina Turi
4/5/2023 https://www.ingenere.it/
Immagini tratte dal rapporto State of World Population 2023 – 8 Billion Lives, Infinite Possibilities
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