Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un inasprimento dei provvedimenti repressivi nei confronti di attivisti dei movimenti sociali e sindacali, dalle lotte per la casa a quelle contro il Tav e le grandi opere, dai migranti agli studenti, dai lavoratori, ai tifosi. L’accanimento contro l’opposizione sociale non risparmia nemmeno il mondo della ricerca, che viene perseguita all’interno della più generale criminalizzazione di quella parte di società che chiede protagonismo politico, al punto di provare a imbavagliare persino la narrazione stessa dei conflitti sociali.
Oltre a un crescente ricorso alle misure cautelari, si moltiplicano le misure di sicurezza e di prevenzione di ottocentesca e mussoliniana memoria – dai fogli di via agli obblighi di dimora, dagli avvisi orali emessi in numero elevato dai questori di diverse città come primo passo verso la sorveglianza speciale, alla sperimentazione del Daspo di piazza- dentro una trasformazione del diritto penale che punta a neutralizzare chi rivendica diritti e migliori condizioni di vita, facendosi spesso portatore di un sistema di valori contrapposto e alternativo a quello dominante.
Un contesto pericoloso nel quale non prolifica soltanto la produzione di nuove norme penali, ma a questo si affianca l’utilizzo di disposizioni amministrative e misure di polizia volte ad acuire il controllo e a limitare la libertà di movimento nei confronti di soggetti giudicati non per un presunto reato, ma per il loro stile e comportamento di vita, arbitrariamente bollati come socialmente pericolosi.
Un contesto in cui la commistione tra apparati giudiziari e di pubblica sicurezza, dentro un sistema che utilizza un diverso peso per giudicare quello che avviene nelle piazze, conduce a giustificare ex ante l’operato delle forze dell’ordine. Una situazione in cui sempre con maggiore foga viene aggredita anche la sfera dei diritti sociali, civili e politici con provvedimenti come l’art5 della “Legge Lupi” che impedisce di ottenere una residenza a coloro che occupano immobili per necessità.
Dentro la nuova fase di governo fortemente repressiva, dunque, l’ordine pubblico diviene pericolosamente categoria politica, e viene impiegato come dispositivo volto al contenimento e al silenziamento al contempo del disagio e del dissenso sociale. In assenza di risposte alla grave crisi economica e all’impoverimento diffuso che ha generato, si consegna nelle mani degli apparati di sicurezza la doppia funzione di polizia e di soggetto politico senza poterne mettere in discussione l’operato, in un contesto in cui in nome della legalità, attraverso una ventennale decretazione d’urgenza in tema di sicurezza e ordine pubblico, si è arrivati a prefigurare una vera e propria guerra contro un nemico interno di volta in volta da individuare e mettere nel mirino, come accade da tempo in Val di Susa.
Una presunta legalità, a senso unico, rivolta tutta contro chi dissente – e non può fare altro che violarla per difendere legittimamente diritti e libertà – e che punisce arbitrariamente, persino sulla base di sospetti, con il doppio obiettivo di isolare gli oppositori e di intimidire i movimenti, per provare a svuotare le piazze e zittire il dissenso.
L’accanimento nei confronti di soggetti irriducibili delle lotte, come Nicoletta Dosio, sottoposta ad un arresto che continua a rifiutare e a violare, o come Paolo Di Vetta e Luca Fagiano, sottoposti al regime di sorveglianza speciale, vanno fermati e respinti con forza non solo da chi in prima persona porta avanti le lotte contro la devastazione dei territori e per i diritti sociali, ma da tutti e tutte in nome di valori fondamentali come la libertà di pensiero e di dissenso. Valori conquistati con la resistenza, che ora vanno difesi collettivamente con coraggio in quanto confine ed argine verso qualsiasi nuova forma di totalitarismo e autoritarismo.
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19/12/2016 www.osservatoriorepressione.info
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