Libia: “italiani brava gente?” una data da ricordare
Oggi la parola Libia evoca guerre, invasioni di profughi, contratti petroliferi e accordi con i trafficanti di esseri umani. Ma forse serve tornare indietro nel tempo per dare linearità ad un rapporto con quel grande paese
La data di oggi non è segnata come significativa in nessun calendario italiano. Ma lo è in Libia, lo è in una parte di mondo arabo che conserva la memoria del rapporto con l’occidente fatto di vicende come queste, raccontate, fra gli altri dallo storico Angelo Del Boca : «Sono le 9 del mattino del 16 settembre 1931. Intorno alla forca eretta nel piazzale del campo di concentramento di Soluch, in Cirenaica, sono assiepati oltre 20 mila libici, fatti affluire da Bengasi, da Benina e dai lager della Sirtica. Sono qui per imparare che la giustizia fascista è severa, spietata, inesorabile. Sono qui per assistere all’impiccagione di Omar al-Mukhtar, un capo leggendario che, per dieci anni, ha dato del filo da torcere agli eserciti di quattro governatori italiani. Quando il vecchio Omar, avvolto in un baracano bianco, viene fatto salire sul patibolo, il silenzio nel campo si fa totale. Ostacolato dalle catene e tormentato dalla ferita al braccio ricevuta nell’ultimo combattimento, il vicario della Senussia muove a stento i passi, tanto che debbono aiutarlo a salire i gradini del palco. Mentre gli sistemano il cappio intorno al collo, guarda per l’ultima volta la folla silenziosa, che trattiene a fatica il dolore e la rabbia. Poi, con un calcio allo sgabello, gli spezzano il collo. Con Omar al Mukhtar finisce anche la ribellione libica, cominciata vent’anni prima. Ma non finisce la leggenda di Omar.» Ancora un passo indietro, quando il regno dei Savoia, con il liberale Giolitti, decidono di intraprendere l’avventura coloniale in Libia, il fascismo non è ancora nato Siamo nel 1911. Il colonialismo, soprattutto inglese, francese, portoghese e belga, si è già diviso il continente africano All’Italia restano poche zone del Corno d’Africa (Eritrea e Somalia) ma insufficienti ai sogni di gloria del regno che compie i 50 anni di vita. Diviene relativamente facile impadronirsi della Tripolitania (ancora sotto l’Impero Ottomano ormai in disfacimento) e di alcune zone desertiche del Fezzan, di cui mai si avrà il controllo completo. Ma il sogno di quella che già viene definita “quarta sponda” può realizzarsi solo se ad essere occupata sarà anche cirenaica, la parte orientale di quella che oggi chiamiamo Libia. Già dal 1922 comincia il tentativo di conquista che, con l’avvento del fascismo, subisce una poderosa accelerazione. A governare il processo di occupazione vengono chiamati gli uomini più affermati del regime: Emilio De Bono (che della Tripolitania divenne governatore) Rodolfo Graziani che diresse gran parte delle operazioni militari contro i partigiani libici e non da ultimo, il Maresciallo, Pietro Badoglio, oggi ricordato come uomo cardine nel passaggio dal fascismo alla repubblica ma fervente longa manus di Mussolini. L’ occupazione italiana, nonostante l’immensa mole di propaganda e il tentativo di colonizzazione della Libia dove tante contadini e operai, che non vedevano speranze in Italia, intravvedevano un futuro da proprietari terrieri, commercianti, insomma un riscatto sociale, non portò almeno fino al 1931 ad avere un reale controllo del territorio. La guerriglia, soprattutto in Cirenaica, si andava unificando tramite la confraternita senussita il cui capo indiscusso era l’anziano Omar Al Mukhtar, capo militare quanto indiscussa autorità morale dell’area. Dopo essere stato ferito in un agguato e arrestato l’11 settembre 1931 (70 anni prima dell’attacco alle Twin Towers), Al Mukhtar venne sottoposto ad un processo farsa di 3 ore 4 giorni dopo e impiccato, come racconta Del Boca, il giorno successivo. La sentenza era stata già scritta e proveniva da Roma Negli anni successivi, mentre da una parte continuò la deportazione forzata già iniziata prima dei libici per rompere i legami di appartenenza che potevano far rinascere focolai di conflitto, aumentò l’invasione italiana in Libia (a proposito di chi oggi ciancia di invasione dei migranti), in poco tempo quasi il 14% della popolazione era di origine italiana, ovviamente conservando i posti di potere. E mentre arrivavano gli “invasori italiani”, per ordine del Generale Graziani (criminale di guerra a cui ancora si dedicano monumenti) l’intera popolazione del Gebel, (altipiano della Cirenaica in cui vivevano circa 100 mila persone), furono deportate in campi di concentramento Ne morirono di stenti almeno 60 mila, soprattutto donne e bambini Nel 1934 venne istituito il Governatorato Generale della LibiaIl tentativo di far diventare i libici “musulmani italiani” garantendo una forma, seppur subalterna di cittadinanza agli abitanti del paese, le politiche di pacificazione, costruzione di moschee, di nuovi villaggi, di strade, produssero una memoria collettiva dal duplice volto. Per gli anziani è normale parlare ancora un po’ di italiano, per le generazioni successive l’anticolonialismo ha un valore fondante. Quando intelligentemente il colonnello Gheddafi, prendendo il potere, fece espropriare molte delle proprietà italiane rimaste dopo la sconfitta subita nella Seconda Guerra mondiale e costrinse i tanti italiani rimasti ad andare via dal paese che avevano occupato, raggiunse un estremo consenso.
L’uccisione di Omar Al Mukhtar, sparisce logicamente dalla narrazione storica occidentale, come spariscono per anni le vicende legate ad ogni crimine commesso dal colonialismo nostrano. L’immagine da riaccreditare è quella degli “italiani brava gente” che hanno fatto solo del bene con le loro missioni coloniali/civilizzatrici in Africa Ma nel 1981 esce un film, girato dal regista siriano, naturalizzato americano, Mustafa Akkad, dal titolo “Il leone del deserto” Si tratta di un kolossal con tutti i crismi del grande film, dal cast di primo livello (Omar Al Mukhtar è interpretato da un grande Antony Quinn), e poi Rod Steiger per la parte di Mussolini e Oliver Reed per quella di Graziani. Il film va anche al Festival di Cannes, ottiene critiche e tributi, viene distribuito il tutto il mondo tranne che…in Italia
La leggenda vuole che sia stato censurato perché lesivo dell’onore dell’esercito italiano, la realtà è molto più squallida. Ci furono in effetti interrogazioni fatte da parlamentari dell’allora MSI che volevano impedirne la distribuzione ma non ebbero alcuna risposta. Risposero per loro case di distribuzione che, forse per la delicatezza del tema, non vollero comprare i diritti, occuparsi del doppiaggio e quindi di fatto autocensurarono un pezzo di memoria nostrana. E l’assurdo è che negli anni successivi numerosi parlamentari chiesero ai vari governi di rimuovere la censura al film e i ministri interpellati dovevano rispondere che non era stato disposto alcun divieto Nessuno aveva proposto la circolazione del film. Per ironia della sorte Akkad venne ucciso in Giordania nel 2005 in un attentato di Al Qaeda, ma ormai il suo film era finito nel dimenticatoio. Oggi è disponibile in streaming, qualche tv privata lo ha trasmesso ma certo poca cosa rispetto alla ferita inferta.
Un ultimo ricordo, personale, che però può essere utile raccontare. Nel 1989 mi trovavo a Ramallah, in Palestina, durante la prima Intifadah, per iniziative di solidarietà con il popolo palestinese. Io ed altri compagni venimmo circondati da un gruppetto di ragazzi, che con aria minacciosa e tenendo pietre in mano ci chiesero da dove venivamo Uno di noi disse “Italia” La risposta fu sorprendente “Voi siete quelli che hanno impiccato Omar Al Mukhtar”. Uno dei nostri compagni rispose “Si ma i nostri padri sono quelli che hanno ucciso chi lo ha fatto impiccare” Finimmo a prendere il the a casa di uno di loro. La memoria storica dovremmo rivendicarla.
Stefano Galieni
16/9/2017 www.rifondazione.it
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