L’iceberg del razzismo
Abbiamo una aspirante presidente del Consiglio, che si definisce in continuazione (problemi di identità?) “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una mamma, sono cristiana e sono italiana” e che lo ha dimostrato recentemente con due leggiadre azioni. La prima, scontata, prevede il blocco navale contro “l’immigrazione incontrollata” (qualcuno le spieghi che per farlo in un Paese circondato dal mare occorrerebbe una cifra corrispondente ad una manovra finanziaria e qualcun altro che si tratterebbe di un atto unilaterale che la porterebbe davanti ad un tribunale internazionale). Ma è propaganda e in un mese tutto è permesso. La seconda è più misera, ma continua ad intasare i social. Si verifica l’ennesimo stupro, commesso da un maschio (di chi compie un atto così squallido ci interessa poco la nazionalità) e la mamma, donna, cristiana, non trova di meglio da fare che pubblicare il video della violenza – al punto che chi ne è stata colpita risulta identificabile – al solo scopo di mostrare i danni arrecati dalla presenza di maschi “stranieri” violenti. Può farlo senza problemi per una ragione. Lo sdoganamento di un codice di comportamento razzista e maschilista che tanto richiama il nefasto ventennio (di cui la suddetta dichiara di non voler perpetuare la memoria), è divenuto da troppo tempo prassi condivisa non solo nella destra nostalgica ma anche sui media mainstream e, persino, fra le righe, in ambiti sedicenti progressisti.
Non basta l’orrida statistica dei dati di violenza, fino all’omicidio, consumati dentro le poco tranquille mura domestiche, non basta l’immaginario osceno racchiuso nella frase “se l’è cercata”, c’è qualcosa forse di più sordido e vigliacco che, da troppo tempo, si muove nelle viscere di un pensiero collettivo. La razzializzazione dei reati e dei comportamenti è entrata da tempo nella normale sfera cognitiva: se un reato è commesso da uno “straniero”, peggio ancora se da una persona dalle caratteristiche somatiche non corrispondenti a quelle della decantata (quanto inesistente) identità italiana, è doppiamente grave e andrebbe – anche se il pensiero è giuridicamente impronunciabile – perseguito con maggiore severità. Il reato di stupro, ancora di fatto raccontato come “appropriazione indebita delle nostre donne”, ne è la cartina di tornasole. Si invoca la castrazione per il reo (chimica o meno), se ne chiede il linciaggio, deviando in tale maniera l’attenzione dal crimine e da chi l’ha subito. In sintesi il reato va punito in quanto commesso da uno che, in quanto ospite spesso sgradito, non poteva arrogarsi il diritto di comportarsi come un “esuberante maschio italiano” magari traviato dal comportamento “discinto” (questo si legge sui media) di donne aggredite. Infatti il “se l’è cercata” colpevolizzante e vigliacco vale e pesa per fornire se non una giustificazione almeno un’attenuante laddove il violentatore è appunto di italica certa origine. Negli articoli di molti giornali, nei servizi televisivi, nei commenti social, questo avviene a volte con sottigliezza – un particolare in più nel dar conto della notizia, un’immagine di sfondo, un riferimento ai “giovani privi di valori” o ai danni portati dalla “movida” – ed è così che si costruisce uno sfondo che premia personaggi come l’aspirante premier, mamma, donna e cristiana.
Ma questa, si diceva, è la punta dell’iceberg. Oramai occorre che una persona venga uccisa perché si riaccendano i riflettori, come per la vicenda che ha riguardato Alika Ogorchukwu, pestato a morte da un operaio italiano a Civitanova Marche il 29 luglio scorso. Ma da anni, con una accelerazione non casuale in questa estate pre-elettorale, sono aumentate e aumentano le aggressioni, spesso di gruppo, verso uomini e donne colpevoli di avere il colore della pelle troppo scuro e, spesso, anche di essere poveri. Sembra quasi che nell’attesa che la profezia si compia e che la custode della fiamma di Predappio venga investita della più importante carica esecutiva dello Stato, in molti si sentano più liberi di credere, obbedire e combattere in nome della difesa di quella “identità italiana” di cui la suddetta si fa fiera portatrice. E se una presidente del Consiglio potrà (nella sua propaganda) effettuare blocchi navali lasciando crepare in mare chi fugge da condizioni di vita inimmaginabili o semplicemente alla ricerca di un futuro negato da un passaporto che inibisce la libertà di movimento, come può sostenerla un umile simpatizzante? Pestando il “nero” di cui non si sopporta la presenza, elargendo insulti, rifiutandone le cure se medico, non affittandogli casa, sfruttandolo di più sul luogo di lavoro eccetera eccetera. Ogni “fratello d’Italia” o parente alla lontana può sentirsi in dovere di rendere la vita impossibile agli ospiti sgraditi. Ci sarà chi potrà farlo dal parlamento, rifiutando modifiche alla legge sulla cittadinanza, impedendo l’accesso all’asilo, inasprendo le normative già feroci per chi non ha un titolo di soggiorno, rendendo più precaria la vita di chi lo perde. E ci sarà, c’è già, chi nelle città italiane dimostra che “la pacchia è finita”, altro slogan che tornerà di moda (pacchia mai vista a dire il vero) e che ora regneranno ordine, disciplina e sicurezza. Per chi? Nella Piacenza tanto attenzionata dalla mamma, donna, cristiana ecc. fino a giugno scorso governava una giunta che doveva avere il pugno di ferro, Possibile che in meno di 2 mesi la città sia divenuta regno del degrado? Molte delle amministrazioni in cui si sono verificate aggressioni di cui diamo conto, come nella regione Marche, sono guidate dai soliti Fratelli e la stessa Piacenza, fino alle precedenti elezioni, godeva di una giunta tutta di un pezzo e composta da fieri difensori dei valori nazionali, primi fra tutti (secondo i tribunali ma si attendono le sentenze) la corruzione e il voto di scambio. Reati che ovviamente non rappresentano per i nostalgici camuffati alcuna preoccupazione per la sicurezza pubblica.
Verrebbe da dire, allora, che chiamare all’unità antifascista in questa tornata elettorale assume un senso. La risposta è un secco no. Partiamo proprio dalla gettonata Piacenza. Beh, ad essere coinvolti in numerose indagini sono tanto amministratori e consiglieri della destra (persino un parlamentare) quanto colleghi del sedicente centrosinistra (sarebbe ora che si omettesse di utilizzare il secondo termine nel definire le accozzaglie liberiste dal volto umano). E che, allo stesso tempo, i Comuni e le Regioni governate dal suddetto blocco che richiama all’antifascismo, poco fa e poco ha fatto per contrastare lo sdoganamento sistematico del razzismo più becero. Da almeno un ventennio (curiosa assonanza), le ordinanze più becere per la sicurezza e contro il degrado, ovvero contro poveri, stranieri, comportamenti (altro tratto comune con la mamma, donna, cristiana ecc.) definiti devianti, portano la firma di illustri menti del mondo sedicente progressista, avanzato. Anche quando hanno avuto in mano completamente o quasi le sorti del Paese, coloro che oggi chiamano all’unità antifascista non sono stati in grado né di perseguire i crimini di odio razziale, né di sciogliere le organizzazioni neofasciste, né tantomeno di promuovere progetti di educazione al pluriculturalismo, di sradicare le leggi che rendono difficile la vita di oltre 5 milioni di persone. E, in nome e per conto di un conservatorismo di stampo clericale (altra similitudine con la cosiddetta avversaria), neanche c’è stata la capacità di intervenire sull’aumento dei casi di violenza sulle donne, non solo attraverso provvedimenti giuridici (necessari ma non sufficienti), ma attraverso la costruzione di una pedagogia delle relazioni fra i generi che deve divenire tema portante di reali valori progressisti. Se nei provvedimenti legislativi riguardanti l’economia, il lavoro, i servizi sociali, il welfare, la scuola e la cultura, destra e centro (di questo si parli da ora in poi) si sono fatti unicamente concorrenza nel peggio, anche nell’affrontare questioni che almeno apparentemente non intaccano la iniqua distribuzione delle risorse, i due schieramenti non hanno mostrato che parziali diversità, a volte solo di tono più che di sostanza. Per non parlare della vigliaccheria ipocrita con cui tale schieramento si è in gran parte sfilato sostanzialmente nelle battaglie in difesa dei diritti LGBTQI.
Ora, volendo uscire fuori dall’approssimarsi delle scadenze elettorali, è possibile cercare nel mondo valoriale di PD e affini un contesto in grado di produrre un reale cambiamento capace di aprire delle crepe nella cultura patriarcale, misogina, xenofoba e tradizionalista dominante? Certamente alcune personalità che potrebbero entrare in parlamento con detto schieramento marcano un proprio elemento di distinzione. Ma hanno accettato di convivere in un campo in cui saranno a volte minoranza silenziata e altre, peggio ancora, foglia di fico per nascondere l’ipocrisia di fondo e la connivenza con cui si è costruito l’incattivimento nel Paese. Ma c’è ancora una parte di popolazione, per ora non rappresentata nelle istituzioni come nella narrazione mediatica, che produce e lavora per invertire la rotta, che non è allineata ai dogmi tanto di mercato quanto di costruzione del consenso. A questa forza, non residuale, bisogna prestare attenzione.
Stefano Galieni
24/8/2022 https://transform-italia.it
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!